da "AURORA" n° 45 (Gennaio 1998)

POLITICA E SOCIETÀ

Articolazioni di classe e strategia del proletariato

Giovanni Luigi Manco

 

L'insanabilità del conflitto sociale è per Mussolini un assioma, anche se in veste di primo ministro postula machiavellianamente, per tranquillizzare la borghesia, la conciliazione fra le classi e inaugura addirittura, dopo la resa al padronato del '23, il corporativismo interclassista, cui peraltro si rifiuta scientemente di dare attuazione. Che il conflitto di classe sia e rimanga insanabile per Mussolini si evince anche dalla sua stima e fiducia per un uomo, Tullio Cianetti, che volle alla presidenza della Confederazione dell'Industria, sottosegretario e titolare alle Corporazioni, e avrebbe voluto (senza riuscirvi per l'opposizione della Corona e le gerarchie conservatrici del regime) alla guida del Partito, tanto nel '39 quanto nel '43, come risulta dalle ammissioni di Ciano e di Tarabini, vice di Scorza, nel carcere Di Verona. L'uomo che dal '38 si impegnò a predisporre, su incarico di Mussolini, un elaborato progetto di socializzazione delle maggiori Imprese; progetto che avrebbe dovuto vedere la luce nella fatidica seduta del 25 luglio.

Ebbene Cianetti coltivava idee molto chiare sulla lotta di classe. Diceva: «Negare l'esistenza della lotta di classe è come negare la luce del sole. La lotta esiste in quanto esistono le classi e queste sono divise da un solco profondo al quale si può dare il nome di miseria, di egoismo, di ingiustizia, di sopraffazione. Non si poteva negare che le critiche acerbe che il Marx aveva rivolto alla società borghese fossero giuste ed esatte. La borghesia emancipata dalla rivoluzione francese ed ingigantita dall'avvento della rivoluzione industriale, si era chiusa nel sancta sanctorum del suo egoistico interesse senza accorgersi che essa stessa contribuiva a creare, nei confronti del proletariato, quel clima di insofferenza e di rivolta che la nobiltà e il clero avevano creato nei suoi confronti... Se la lotta tra le classi era violenta nell'ambito di ciascuna nazione, non meno vivace si presentava sul piano internazionale. Ad una solidarietà mondiale del Capitalismo si contrapponeva una non meno potente solidarietà internazionale del proletariato». E ancora: «La lotta di classe è un'utopia? No, è una realtà, una tremenda realtà e, vorrei dire, anche una preziosa realtà. (...) La lotta di classe non può essere abolita -pretesa questa che possono coltivare soltanto gli scemi o i bari».

Evidentemente Mussolini dal momento in cui lascia la filosofia per dedicarsi esclusivamente all'attività governativa (come confessa a Ludwig nella celebre intervista), lascia dire ad altri quanto pensa veramente e lascia comunque intuire dalle confidenze con i più stretti collaboratori. Sulla teoria della lotta di classe non fa passi indietro ma in avanti, riformulandola e adeguandola alle novità secolari. Assistendo a novità che Marx non poteva antivedere, riformula coraggiosamente la sua teoria anziché commentarla fideisticamente e guadagnare il plauso degli ortodossi.

Il proletariato, dagli inizi del XX secolo è una componente sempre più articolata, stratificata, non riconducibile ad una omogeneità di condizioni.

«I proletari di tutti i paesi invece di unirsi si massacrano, le classi invece di nuclearsi ed irrigidirsi alle due estremità della piramide sociale si sfaldano, si frazionano e creano rapporti e interferenze fra di loro assai complesse. Il capitalismo ci fa assistere a trapassi, trasformazioni che il marxismo non poteva antivedere. (...) esistono i proletari, gli uni divisi dagli altri con differenze non solo di mentalità ma spesso "di interessi" (...) Insomma i sistemi dottrinari sono rigidi, ma la realtà è mobile. I sistemi sono la lettera morta che sigilla "una" realtà di un dato momento, di un dato luogo, non tutta la realtà attuale e futura» (Mussolini 7-5-18).

Il concetto di classe come omogeneità di condizione sociale e interessi da salvaguardare mal si presta a interpretare l'effettiva situazione dei lavoratori subordinati. Nelle grandi aziende il mondo dell'individualismo borghese è in liquidazione: gli imprenditori trasformatisi in azionisti, in massa indifferenziata, risultano tecnicamente, quanto praticamente, incapaci di esprimersi; una categoria di lavoratori dipendenti, i dirigenti, pur vessati da aziende e gruppi finanziari che possiedono consistenti frazioni indivise del pacchetto azionario, dispongono notevoli poteri di pressione e d'azione diretta.

L'interpretazione marxista impedisce di sfruttare le fratture esistenti fra i componenti della élite dirigente industriale, in particolare fra i membri della élite patrimoniale e quelli della élite tecnica, allo scopo di isolarne gli elementi assenteistici e reazionari, per procedere quindi alla loro eliminazione storica e politica.

Dalla metà degli anni '60 diversi sociologi, politici, economisti e filosofi di formazione marxista hanno di fatto aderito all'analisi mussoliniana includendo nel proletariato tutti gli strati sociali estranei ictu oculi alla classe borghese: tecnici, dirigenti, impiegati, professionisti, insegnanti, intellettuali, militari, funzionari di banca, studenti. Un'impostazione, purtroppo, ancora marginale, benché proprio l'incapacità di guardare al proletariato in tutte le sue articolazioni è responsabile in modo determinante dell'involuzione negli anni '20 del regime fascista e della politica europea in genere, quanto della ripresa di motivi reazionari dopo il '68.

Tra i lavoratori di grado superiore e inferiore, tra i produttori cioè, in antitesi ai rentiers borghesi, non dovrebbe esserci dissidio ma intesa. Gli interessi sono naturalmente diversi in tutte le categorie ma tra queste Mussolini vede la concreta possibilità di un coordinamento fondato sui comuni obiettivi di medio e lungo periodo. Un orientamento che presuppone la capacità di autosuperamento e autonegazione, la capacità di trascendere gli interessi strettamente personali nella visione del bene comune, la capacità di abbracciare idealisticamente la causa. Volutamente pone l'accento sul termine «idealismo» per sottolineare che solo nel segno dell'ideale sia possibile di volta in volta superare la realtà. Idealismo non come posizione filosofica, ma come motivazione profonda di ogni concezione filosofica e politica, a prescindere dall'orientamento.

Il capitalismo può essere sconfitto se i lavoratori, anziché restare preda di antiche suggestioni e consumare le energie nel privilegiamento di interessi settoriali, riconoscono nelle fabbriche il luogo naturale di incontro e massima forza per «inserirsi, in virtù dell'influenza politica dell'intera comunità, nel processo produttivo con la corresponsabilità nella gestione delle aziende dalle quali dipende il loro benessere e quello della comunità», per stabilire un proficuo incontro «a) tra base operaia ed elementi tecnico-dirigenti; b) tra interessi sezionali di categoria, e interesse della produzione e dell'economia; c) tra fabbrica, comunità circostante e amministrazione locale e regionale». (Risoluzione degli operai di Ivrea, 1955)

Non pochi autori postulano l'autogestione, oltreché nell'azienda o unità produttiva, anche a livello di tutte le aziende di uno stesso settore e a livello del complesso di aziende di tutta la società (Chauvey, 1970). Il riferimento sono naturalmente le corporazioni proletarie, di classe, nell'accezione del pensiero libertario e sindacal-rivoluzionario.

Come le municipalità sono state l'arma più efficace della borghesia contro l'aristocrazia, oggi, per il contenuto organico con la vita e i problemi quotidiani, sono le corporazioni a costituire il mezzo più efficace contro lo strapotere finanziario.

La lotta di classe esiste, il problema è di ripensare la sua strategia, di fondarla appunto sulla realtà effettiva.

«A un dato momento può accadere che i produttori proletari si ritengano sufficientemente maturi per realizzare un loro tipo di economia e allora nell'antagonismo delle forze, degli interessi, degli ideali vinceranno i più forti. Noi crediamo: a) che gli operai debbano cooperare coscientemente per portare al massimo del rendimento le forze produttive dell'economia nazionale di cui fanno parte; b) che gli operai abbiano il diritto di migliorare le loro condizioni; c) che sia possibile l'elevazione di parte di queste masse enormi al grado di sufficienza tecnica e morale necessaria per dirigere -senza precipitare nel caos- il vasto, complesso, delicato gioco di una economia nazionale, parte, che si inserisce e non può assolutamente prescindere dal tutto dell'economia mondiale. L'essenziale è "produrre". Questo è il "cominciamento". In una nazione ad economia passiva, bisogna esaltare i produttori, quelli che lavorano, quelli che costruiscono, quelli che aumentano la ricchezza e quindi il benessere generale. Produrre, produrre con metodo, con diligenza, con pazienza, con passione, con esperienza e soprattutto nell'interesse dei cosiddetti proletari. Solo quando la quantità dei beni in circolazione sia ingente, può toccare alla sterminata massa dei proletari una quota-parte discreta. (...) Il produttore operaio si rende conto della necessità della economia capitalistica e si accinge a negarla. Sa che la marcia è faticosa e la tappa lontana. Più è perfetto, depurato, "decantato" il processo dell'economia capitalistica, più decise sono le antitesi, più facile, con uno sforzo, il superarle. È nell'interesse dell'operaio produttore portare alle sue espressioni estreme l'economia capitalistica, moltiplicarla in intensità e in estensione. S'egli crede di essere un giorno l'erede, gli conviene di aumentare il patrimonio. Il produttore operaio che non si rende conto di ciò e si ritiene estraneo al gioco della produzione e la disorganizza nel momento più difficile per un vantaggio parziale e immediato, appare simile al selvaggio che per cogliere il dattero abbatte la palma ...» (Mussolini 18-8-18).

Lo sciopero è un'arma preziosa, troppo preziosa per essere usata con leggerezza, anche per gli effetti negativi sull'intera comunità. I produttori devono poter coltivare l'idea dell'enorme, irresistibile potere dello sciopero per essere capaci di resistere alle lusinghe e minacce della borghesia quando la maturazione della coscienza rivoluzionaria consentirà di superare il dissidio classista attraverso lo sciopero generale quale disubbidienza collettiva del proletariato, atto supremo e finale di liberazione.

Giovanni Luigi Manco

 

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