da "AURORA" n° 46 (Febbraio 1998)

ANALISI STORICA

Teologia della Liberazione

Gaspare F. Fantauzzi

 

Antefatto: Cuba, Castro e il Papa

«Nel 1957, all'Avana si contavano 300 case-chiuse ufficiali e un migliaio di altri ritrovi adibiti alla pratica del vizio; l'8% di proprietari possedeva l'80% dei terreni coltivabili (...) l'analfabetismo raggiungeva un terzo della popolazione (...) i piaceri proibiti organizzati e controllati da gangs mafiose statunitensi erano riservati ai turisti nordamericani (...) i Cubani venivano rallegrati, con periodicità quotidiana, dalla lotteria nazionale». (1) In breve: F. Batista governa Cuba con il pugno di ferro; cattolici e comunisti collaborano con il suo regime. Tuttavia, Batista deve essere tolto di mezzo perché non rispetta più i patti stretti con le cosche nordamericane. Quindi, Castro, con l'aiuto degli USA, spodesta Batista, ma, a causa delle sue insospettate riforme socio-economiche, si pone nella condizione di essere a sua volta spodestato. Infatti, il 27.4.1961, gli anticastristi sbarcano a Cuba, ma vengono uccisi, catturati o ricacciati in mare. L'incidente assume un'allarmante dimensione internazionale. In uno spregiudicato gioco delle parti, l'URSS prende le parti di Cuba e il mondo sembra precipitare nella IIIª guerra mondiale. Non succede nulla, salvo il fatto che Cuba passa da un protettore all'altro. F. Castro sa bene ora di avere un solo nemico, la «Russiamerica», ma ama il potere e gli piace gestirlo ad ogni costo. L'articolo continua e anticipa, per così dire, l'atmosfera che caratterizzerà l'incontro di Castro con il Papa polacco: «(...) i sintomi continui di allineamento ai voleri delle Superpotenze, l'accoglienza quasi servile riservata a Mons. Casaroli, il disgelo diplomatico con gli USA dopo la fine di Nixon e soprattutto la misteriosa morte di Guevara, alla quale non sarebbero estranei lo stesso Castro e il KGB, dimostrano quanto sia spontanea ed efficace l'alleanza russo-americana quando vi sia da circoscrivere, reprimere o snaturare una rivoluzione socialnazionale». (ivi)

Gli intendimenti conflittuali dell'incontro Castro-Papa polacco si palesano in due occasioni. Sull'aereo diretto a Cuba, quando il Papa risponde ad un giornalista che «La parola rivoluzione può significare rivoluzione di Cristo e anche di Castro e Lenin, sono due significati. Il primo vuole dire rivoluzione dell'amore, l'altro rivoluzione dell'odio, della vendetta, delle vittime»; come a dire che l'inquisizione sarebbe un'invenzione contro-leninista e che gli zar erano tanti stinchi di santo. La seconda volta all'aeroporto, dove Castro fa la conta delle vittime dei conquistatori; come a ribadire che la molto benestante famiglia dei Castro, lungi dall'essere di diretta discendenza iberica, proverrebbe non si sa bene da quale pianeta. Poi il viaggio prosegue sui binari tracciati dalle due diplomazie.

L'incontro rivela -ove ve ne fosse bisogno- che due vacillanti riformismi non fanno una rivoluzione. Chiesa e castrismo si strumentalizzano a vicenda e, in qualche modo, ci riescono. Al di là del reciproco declino e della rispettiva crisi di credibilità, gli spettacoli pseudo-religiosi di massa però mal celano il problema vitale che attanaglia l'America Latina (AL): il debito estero.

Nessuno conosce il contenuto del colloquio privato tra Castro e il Papa. Comunque, la vampirizzazione del debito estero rimane. I tassi d'interesse sono da usura e, tenuto conto che i debiti possono essere estinti soltanto con valuta pregiata e che questa deriva prevalentemente dall'esportazione, si ha che il debito del Nicaragua, ad es., è uguale all'ammontare di 30 anni delle sue esportazioni, le quali -fermo restando il capitale- ogni anno riescono appena a coprire l'ammontare degli interessi dei 12 mesi precedenti (2); e che il Brasile, terzo maggior produttore di cereali del mondo, è costretto ad esportarne oltre l'80% e costringere perciò la popolazione alla fame.

La plutocrazia prospera con il dissanguamento continuo di interi popoli, i quali lavorano quasi esclusivamente non per saldare i loro debiti, ma per pagare gli interessi che ne derivano, permanentemente restando nella dilacerante impossibilità di destinare sufficienti risorse agli investimenti interni.

L'aver saputo camuffare con il folklore caraibico la macroscopica estrapolazione di Cuba dal suo naturale contesto ispano-americano, si è rivelato un autentico capolavoro di ipocrisia che tuttavia reca malinconici presagi di cose morenti.

 

Premessa

Personaggio ricco di storia e di notevole religiosità, C. Colombo, non paventando gli errori e gli orrori che sarebbero derivati dalla sua scoperta, così descrive gli indigeni ai reali di Spagna: «Questa gente è così docile che giuro alle Vostre Maestà che non vi è al mondo nazione migliore. Essi amano i loro vicini come se stessi e i loro discorsi sono sempre dolci e gentili, e accompagnati da un sorriso». (3) Uno dei primi missionari, padre B. de Las Casas, nella sua "Apologetica" riferisce che nelle Antille: «Non si sapeva che cosa fosse il furto, né l'adulterio, né violenza contro le donne, né altra viltà».

Gli indios, dunque, manifestavano comportamenti interpersonali assai simili ad una ben intesa condotta di vita civile e cristiana. S. Agostino infatti, già da un migliaio d'anni, aveva intuito che: «Dio era noto a tutte le genti anche prima che abbracciassero la fede in Cristo». (4) Singolare coincidenza: il termine «Dio», che nel linguaggio universale designa la Realtà ultima trascendente che regge e guida il mondo, è interamente compreso nella impropria denominazione di indio, «in-Dio», appunto. Colombo, non a caso pone l'accento sull'elemento più teologicamente significativo, l'«amore», e sottolinea che il Dio-Amore dell'apostolo Giovanni o -a chi piace, quello di Dante: «... che move il sole e l'altre stelle»- era vivo e operante nell'animo e nelle relazioni sociali delle genti appena conosciute.

Facendo giustizia delle lacunose riflessioni dei primi osservatori spagnoli, la nuova fenomenologia ha individuato gli aspetti fondamentali delle religioni incaiche, atzeche e maya le quali, per forma, tipo e struttura, si palesano come insiemi di credenze politeistiche e di culti feticistico-naturalisti (Sole, montagne, antenati, ecc.) caratterizzati da notevoli tensioni enoteistiche, suffragate dal culto di un solo Viracocha, il creatore. Grandi città, grandi templi realizzati con un'architettura gradevole e funzionale, estese reti stradali (costiere e trasversali, per oltre 16.000 km.), complessi sistemi di irrigazione, un artigianato artistico diffuso e una avanzata medicina (sebbene su prevalente base magica) testimoniano la presenza di civiltà progredite e originali, e di sistemi politico-amministrativi efficienti.

 

Dov'erano i «barbari» da domare con la forza?

Al fine di una interpretazione corretta degli avvenimenti verificatisi nell'America Latina negli ultimi 500 anni e dell'animus spoliandi che caratterizzò la conquista, la notazione teologica di Colombo è di capitale importanza, atteso che lo sviluppo storico dei popoli, in quanto influenzato da fattori geografici, antropologici, bio-psicologici, delle tradizioni, ecc. non si discosta mai significativamente dalle linee di tendenza in essi connaturate. Pertanto, nessuna vera storia è pensabile senza il preliminare ascolto critico anche delle ragioni dei vinti e dei gruppi minoritari o marginalizzati, e senza aver cautamente penetrato quello che i fenomenologi tedeschi definiscono «Sitz im Lenen», l'ambiente vitale dal quale scaturisce il Verstehen, ossia il conoscere originario.

A 2.000 anni dalla venuta del Cristo, il mondo è ancora diviso in oppressori-sfruttatori e oppressi-sfruttati. Non deve importare quindi il colore della camicia di quel popolo che, coerentemente con la parola di Dio (Gn 1, 28), volesse ancora tentare di travolgere tale irreligiosa e disumana situazione, fieramente cantando la Marcia delle Legioni:

Terra, ti vogliamo dominar.
Mare, ti vogliamo navigar ...

Non si tratta di sognare, ma di guardare con mente lucida questo mondo mercificato e appassito, di conoscerne le regole, le aporie sociali, gli squilibri economico-monetari, il multiforme quadro delle flagranti discriminazioni e, infine, non vedere altra via che quella di propiziare la vittoria della forza del diritto sul diritto della forza. L'intento che muove queste note è quello di chi, avendo qualche dimestichezza con le scienze delle religioni, mediante l'analisi storico-fenomenologica della Teologia della liberazione (TdL), ne travalica gli aspetti esegetico-ermeneutici, per individuarne le potenzialità e le intenzionalità rivoluzionarie. Ciò posto, non costituirà motivo di cruccio se taluno vorrà apprezzarle catholicae veritati haud consonae.

Per procedere con ordine, è necessario preliminarmente distinguere tra chiesa in quanto comunità di fedeli, fede nel Cristo e l'agire storico del papato. Al riguardo è utile altresì tener presente la riflessione di un ambasciatore presso il Vaticano: «... mi sono reso conto che è quasi impossibile formarsi un giudizio valido o esprimere un'opinione autorevole sulla politica papale. La decisione del papa può o deve essere influenzata da tanti elementi imponderabili o invisibili. Inoltre, l'atmosfera che aleggia in Vaticano non è soltanto sopranazionale o universale... ma anche quadridimensionale, i componenti della gerarchia vaticana pensano in termini di secoli e fanno piani per l'eternità; questo rende la loro politica inevitabilmente imperscrutabile, disorientante e, in certe occasioni, riprovevole ...». (5)

 

La conquista e l'evangelizzazione

L'invasione del Subcontinente americano rappresenta uno dei maggiori genocidi della storia. Comportò la distruzione fisica di circa il 90% della popolazione indigena. La fortissima mortalità degli indios non fu dovuta però unicamente alle stragi e alle disumane condizioni di vita loro imposte dai conquistatori, bensì anche al fatto che gli europei erano portatori sani di microrganismi patogeni (tubercolosi, vaiolo, influenza, morbillo, ecc.) da cui gli indigeni non erano immuni. Diversamente da quelli del Nord, che erano dotati di notevole spirito bellico e che si contrapposero sempre combattendo all'avanzata dei bianchi, gli indigeni del Sud erano pacifici e pressoché privi di eserciti. Dovunque essi accolsero gli europei con gentilezza e benevolenza. In Messico e in Perù, in virtù di un mito ancestrale secondo il quale le rispettive divinità più importanti erano scomparse con l'impegno di ritornare da Oriente, essi furono ricevuti come dei.

Nel suo complesso, la cristianità si presentò a quelle genti in termini sprezzanti e tracotanti. Fu drasticamente negata ogni validità alle religioni e alle tradizioni indigene e i luoghi di culto furono profanati e saccheggiati. In ciò non fu estranea la teologia del tempo, la quale asseriva essere gli indigeni destinati naturalmente alla schiavitù. Il teologo G. Sepùlveda affermò: «... i barbari non solo devono essere invitati, ma anche costretti al bene (...) con l'uccisione di pochi uomini dalle due parti, i barbari possono essere ridotti in schiavitù, e si può così provvedere al vantaggio perpetuo di una moltitudine quasi infinita di mortali». (6) La polemica intorno alle stragi sembra non aver mai fine: nel ricevere il Papa, Castro ha attribuito ai conquistadores lo sterminio di 70 milioni di indigeni e di 12 milioni di africani. La questione della schiavitù degli indios durò a lungo e coinvolse laici, teologi, uomini di scienza, sovrani e pontefici, senza adeguatamente riflettere sui costi umani dell'«operazione».

Un testimone maya esclama: «Ci hanno insegnato la paura (...) s'introdusse tra noi la tristezza (...) tra noi fu introdotto il cristianesimo». (7)

Il molto religioso Filippo II, che nel 1563 aveva dato inizio alla costruzione del superbo Escorial in onore di S. Lorenzo, nel 1577, impose la distruzione degli scritti etnografici elaborati dai missionari, la cancellazione della memoria civile e religiosa degli indigeni e la estromissione dalle missioni dei Francescani, dei Domenicani e dei Gesuiti, perché ritenuti eccessivamente benevoli nei confronti degli indios. Le missioni perciò furono riservate al clero secolare. In linea con tale orientamento, i primi concilii provinciali di Lima e del Messico esclusero dagli ordini religiosi gli indios, i meticci, i mulatti e i loro discendenti di primo grado, in quanto considerati «creature non propriamente umane». Queste ed altre drastiche misure impedirono il formarsi di una chiesa e di una classe politica autoctone, sconvolsero le culture aborigene e innescarono quel processo psicologico che comporta l'assoggettamento mentale allo straniero, il disconoscimento delle tradizioni e delle culture dei popoli colonizzati, il rendersi ricettacolo del modo di pensare, di agire e di vivere dei colonizzatori (gli Italiani odierni ne sanno qualcosa).

Negli indigeni si verificò infatti una sorta di kènosi, uno svuotamento, una intensa alienazione, dovuti alla permanente caduta di tensione psichica, che produsse in essi disperazione, impotenza e smarrimento di valori. La debilitazione psico-fisica degli indigeni sopravvissuti alle stragi rese necessario l'incremento della tratta degli schiavi in direzione Africa-AL, che durò per oltre tre secoli e comportò il trasferimento coatto di alcune decine di milioni di esseri umani. Le cifre ad essa inerenti vengono sistematicamente ingrandite o ridotte a seconda del colore politico degli storici. Ad ogni modo, chiunque modifichi i dati relativi ai genocidi per motivi di propaganda politica (sport praticato, soprattutto dalla fine della IIª guerra mondiale, da esponenti delle varie chiese cristiane), non può che essere ritenuto moralmente più abietto degli stessi schiavisti.

I proventi della tratta arricchirono la Corona inglese e sovvenzionarono la prima rivoluzione industriale. I. Newton, J. Locke ed altri esponenti dell'illuminismo, cointeressati nella Royal African Company, conseguirono lauti guadagni con lo schiavismo. La schiavitù è stata abolita nello Stato del Mississipi con il voto del senato in data 17.2.1995, a 130 anni dalla fine della Guerra di secessione. (8) Ove però si guardi al sordido lavoro minorile, alla compravendita dei bambini, alla pedofilia, alla servitù da debito, alla prostituzione minorile, ecc., ci si avvede che il commercio di «merce umana» è tuttora fiorente. Oltre 100 milioni di persone di ogni età sono attualmente soggette a forme di schiavitù. (9)

Dalla metà del 1.400 fino al 1789, i rapporti della chiesa con gli altri Stati erano regolati dal giurisdizialismo, in forza del quale i governi mettevano a disposizione della chiesa le loro polizie (braccio secolare), si accollavano l'onere delle missioni e, in compenso, ottenevano il controllo degli atti da essa compiuti. Per quanto concerneva le colonie, lo jus patronatus stabiliva inoltre che lo Stato Spagnolo e quello Portoghese, si riservavano la facoltà di nominare i vescovi e di autorizzare i missionari. Dai primi del 1.600 fino al 1767 (anno della loro pretestuosa espulsione dall'AL), i Gesuiti istituirono numerose reducciones in Paraguay, Argentina, Uruguay, Bolivia e Brasile, in cui furono radunate alcune centinaia di migliaia di indigeni. Nelle «riduzioni» (che godevano di uno statuto particolare) venne realizzata una lodevole opera civilizzatrice. A smentire che quae communiter possidentur, communiter negligentur, si formarono fiorenti aggregazioni basate sulla proprietà comune dei beni. Come sovente avviene nella storia, accanto ai soprusi dei «grandi», anche in AL, si verificarono esempi di autentica testimonianza di fede cristiana. (7)

La disomogeneità razziale e culturale, esasperata dall'individualismo iberico, è stata finora la causa principale dell'instabilità politica dell'AL: nella sola Bolivia, dal 1826 al 1968, si sono verificati 180 tra colpi di Stato o rivoluzioni. L'unico efficiente tentativo d'insurrezione armata contro i conquistadores posto in atto dal nobile indio discendente dell'ultimo re Inca, Tupac Amaru (1780), era rigorosamente fondato su princìpi etnico-culturali autoctoni.

 

I movimenti indipendentistici e la dominazione USA

L'invasione della Spagna da parte di Napoleone diede l'avvio a questi movimenti. La lotta antifrancese che si combatteva in Spagna, nelle colonie assunse connotazioni di vera e propria guerra d'indipendenza dal dominio iberico. Il venezolano Simon Bolivar e l'argentino Josè de San Martìn furono i protagonisti di maggiore rilievo di quei movimenti; il loro sogno di una unione federale di quelle nazioni s'infranse tuttavia contro perniciose tendenze separatiste, le quali portarono alla costituzione di ben 20 repubbliche. Alle velleità della Spagna (spalleggiata dalla Santa Alleanza), intese a rivendicare la sovranità nelle ex-colonie americane, si opposero gli USA e l'Inghilterra. Con la dottrina che porta il nome del presidente Monroe, gli USA decisero unilateralmente (1823) di non interferire negli affari europei e d'impedire eventuali ulteriori interventi europei negli Stati americani. Da colonia europea, l'AL divenne «giardino di casa degli USA». Dal canto suo, l'Inghilterra esercitò nell'area attività prevalentemente economico-finanziarie a carattere di rapina per oltre un secolo.

Attraverso guerre o trattati prevaricanti, in pochi anni, il Messico perse a favore degli USA il Texas, la California, e l'Arizona meridionale. A seguito della guerra con la Spagna (1898), gli USA inglobarono Porto Rico e ridussero a protettorato Cuba. Ai primi del '900, al fine di consolidare il loro controllo militare e la direzione dell'economia nell'America centrale, crearono la Repubblica di Panama, sbarcarono in Nicaragua, Santo Domingo, Cuba e Haiti. La crisi del '29 e lo stato di prostrazione dell'economia statunitense produssero il risveglio nazionalistico dei Paesi dell'AL, che si manifestò con il rafforzamento dei rispettivi apparati statali, le nazionalizzazioni, le politiche autarchiche, ecc. Gli USA corsero ai ripari e attuarono la c.d. «politica di buon vicinato». Nel 1933 abbandonarono il Nicaragua, nel '34 Cuba e Haiti; Panama ottenne più accettabili condizioni. Nel '36 si riunì a Buenos Aires la "Conferenza di consolidamento della pace" in conseguenza della quale gli ambienti nazionalistici latino-americani caddero nell'abbaglio di prendere per buone le false intenzioni del «buon vicinato», dei «rapporti paritari» e delle concessioni loro elargite dagli USA in vista della guerra già in programma contro l'Europa. Soltanto l'Argentina non dichiarò guerra alle nazioni del Tripartito.

 

Antecedenti della teologia della liberazione (TdL)

Il peronismo è stato il primo movimento ispano-americano ad attuare una linea politica autonoma dagli USA. La sua importanza sta nell'essersi posto come modello di contrapposizione globale al sempre più oneroso vassallaggio imposto dagli USA all'AL. Vista nella prospettiva della sua probabile «esportazione» nell'area, la nuova situazione argentina allarmò i due compari di Yalta. Donde, con la concomitante azione delle gerarchie militari e di quelle ecclesiastiche, un colpo di Stato militare disarcionò Peron e criminalizzò il suo regime. Il comportamento del Vaticano in quel drammatico frangente fu inqualificabile: nessun motivo religioso o morale aveva il cattolicesimo di condannare il regime peronista. Ancora una volta prevalse la malsana politica pacelliana-montiniana di rendere un buon servizio al (pre)potente di turno.

Permeato da mentalità militare e tecnocratica, Peron non era un rivoluzionario e lo stesso giustizialismo, incapace di elevarsi dal proprio intrinseco riformismo, è sempre più scivolato verso l'ingloriosa fine dei regimi a carattere socialdemocratico. Lo si costatò a distanza di qualche anno dalla caduta di Peron, quando i sindacati peronisti non seppero cogliere l'occasione per attuare il vitale collegamento rivoluzionario offerto da Mao Tze Tung. Collegamento e sostegno che, senza pretendere l'adesione al comunismo, avrebbe permesso loro di scavalcare a sinistra il castrismo e di fare quel che Castro, essendosi tarpate le ali mediante l'alleanza con l'URSS, non sarebbe più stato in grado di fare: sconvolgere il Subcontinente americano con un vasto movimento rivoluzionario nel momento stesso in cui gli USA erano impantanati nelle risaie del Vietnam.

Negli innovatori politici o religiosi si ha spesso una fase critica. La superano soltanto quei pochi che hanno in sé la ferrea vocazione alla rivoluzione totale, quelli cioè nei quali le ragioni della rivoluzione oscurano e nullificano ogni altra ragione. Essi vedono la storia non come anàmnesis, bensì come permanente movimento proiettato nel futuro. Attenti a cogliere le potenzialità di cambiamento insite nelle umane vicende, nell'intento di adeguare il mondo alla loro volontà, questi eterni perdenti vivono a cavallo del «già» e del «non ancora». Il mondo borghese li reputa degli «spostati», ma ad essi si deve se la storia, talvolta, accelera il passò verso meno disumane direzioni.

Ernesto Guevara era uno di loro: amava perdita mente l'umanità oppressa e la rivoluzione in quanto strumento per riscattarla; non era marxista, ma del marxismo usava il linguaggio. Dotato di notevole spiritualità, insegnò che il guerrigliero è: «Un uomo capace di una condotta morale che lo presenti come sacerdote delle riforme che chiede, il guerrigliero deve essere un asceta». Senza capirlo, l' Europa, ne ha fatto un mito da baraccone. Incapace di comprendere Pisacane, Mazzini e Mussolini, ma lesto a reimmergersi nel buio mondo radical-progressista, il «68» italiano lo ha fatto scadere a strumento di futile retorica. Guevara cade in combattimento nel disperato tentativo di vietnamizzare l'AL. Lascia scritto: «In qualsiasi luogo ci sorprenda la morte, sia la ben venuta, poiché altri uomini tendono la mano ad impugnare le nostre armi per intonare il canto funebre con il crepitio della mitraglia e con nuove grida di guerra e di vittoria».

Nel coagularsi dello spirito interno della TdL hanno agito due diverse concezioni del mondo e due antitetiche visioni delle soluzioni da offrire ai problemi dell'AL; concezioni che possono compendiarsi nelle emblematiche figure di due sacerdoti: Camillo Torres e Helder Camara, corrispondenti a due differenti tipologie antropologiche, la nomadico-guerriera e la stanzial-sedentaria.

Nato e morto giovane, Torres mette sangue e anima nelle idee e nei comportamenti. La religione e l'esistenza stessa sono per lui atti di libertà. Le sue opzioni etico-politiche non discendono da ordini cardinalizi. Egli combatte l'oppressione e l'ingiustizia con lucidità e spregiudicatezza: «... non sono né sarò mai comunista (...) ogni sincero rivoluzionario riconosce che la via armata è l'unica che rimanga ... la misura suprema dell'azione umana è l'amore». Non soffre dei «mali oscuri» che s'annidano nell'arido mondo dei teologi borghesi, che generano timori e impotenza. L'ultimo suo grido : «... non un passo indietro, liberazione o morte» lo porterà a morire in combattimento in una formazione maoista, poiché i comunisti «ortodossi» non lo avevano accettato. Per aver scritto: «Ho scelto il cristianesimo perché è la forma più pura per servire il prossimo», al gesuita C. Torres sono state ingenerosamente attribuite intenzioni teologicamente del tutto infondate: l'aver fatta propria cioè un'opzione errata e temeraria che tendeva a sostituire il senso religioso con quello sociale e le virtù teologali con la solidarietà umana. Sia Torres che Guevara, a mio avviso, erano immuni dall'«odio del cristianesimo (...) per ogni forma virile e autosufficiente di spiritualità e di virtus (che) può propiziare il superamento della condizione umana ...». (10)

Nato e vissuto da vecchio, nulla sapendo di fascismo e di comunismo, a 24 anni, E. Camara, su indicazione del suo vescovo, aderisce all'integralismo del «fascista» G. D. Vergas, il quale -a dimostrazione che il missismo, in quanto radicale degenerazione del fascismo, è un qualcosa non soltanto italiano e non è un fenomeno del dopoguerra- una volta al potere, dichiarò guerra ai popoli dell'Asse e inviò una spedizione militare che combattè in Italia nel '44 contro la RSI e i suoi alleati. All'età di circa 30 anni, il prete Camara giunge a Rio de Janeiro dove il Card. Leme gli ordina di smettere la camicia verde e di passare sulla sponda opposta. Ubbidisce. In seguito, al fine di generare confusione in quel calderone di tensioni e di contraddizioni che era diventata l'AL, si atteggerà a «vescovo rosso» e a «testimone scomodo». Privo affatto di una qualsivoglia Weltanschauung etico-politica, in perfetta consonanza con la Curia Romana nel raccomandare la non violenza ai poveri, dal momento che: «Senza pressioni legittime e democratiche né i grandi possidenti, né i governi si muovono». (11) Una sola cosa di lui non si comprende, perché abbia confessato ad O. Fallaci di essere stato fascista in gioventù e di essersene pentito.

Purtroppo, la pubblicistica odierna tende al «far sapere» a scapito del «far comprendere e conoscere», quindi si giudica senza aver capito. Per il fascino che evoca il termine «scienza», i cristiani hanno attribuito valenza scientifica alla teologia, in quanto massimo approfondimento della loro fede. Tuttavia, nell'accezione moderna del termine, la teologia non può essere considerata scienza, poiché essa altro non è che: «Un'operazione del credente in pacifico possesso della sua fede ch'egli intende approfondire per meglio conoscerla, amarla, viverla e comunicarla agli altri ...». (12) Il possesso della fede, quindi è l'elemento essenziale che stabilisce in termini incontrovertibili la non scientificità della teologia; condizione questa resa di tutta evidenza nel convegno tenutosi a Roma il 13-14 dicembre 1941 (13), convocato da G. Bottai, allora ministro dell'Educazione Nazionale, per decidere sull'opportunità di ripristinare lo studio della teologia nelle università statali. Ovviamente, si pervenne ad una decisione negativa che, tutto sommato, non dispiacque neanche al Vaticano. Fu una vittoria della ragione, ma è la fede che trascende la ragione, non viceversa.

La Scrittura, la Tradizione e la stessa teologia insegnano un qualcosa di non dimostrabile per via scientifica, giacché, in quanto è materia di fede, postula adesione non dimostrazione. Come dimostrare scientificamente, ad es., l'unione ipostatica nel Cristo, che implica la compresenza in Lui della natura divina e di quella umana, le quali conservano intatto ciò che è loro proprio, «senza trasformazione, senza confusione, senza divisione, e senza separazione» (14), oppure la verginità di Maria ante partum, in partu, post partum? Più cogenti sono le definizioni del Card. Ratzinger: «La teologia suppone la fede. Essa vive del paradosso di una unione di fede e scienza. Chi vuole negare questo paradosso, nega la teologia. Alla teologia appartiene il credere e alla teologia appartiene il pensare. La mancanza dell'uno o dell'altro ne provocherebbe la dissoluzione (...) A questo punto la teologia potrebbe improvvisamente ridivenire "scientifica" nel significato più attuale, nello stesso tempo, più concreto della parola. E solo a partire da ciò si riesce a comprendere anche ciò che in sé è del tutto incomprensibile, cioè che nello stesso tempo i teologi e le loro comunità sono divenuti tra i più efficaci sostenitori del movimento neo-marxista». (15) Del tutto diverso è il giudizio del Gutiérrez: «La teologia è l'intelligenza di una scelta esistenziale (...) di una scelta storica, di come si situa il cristiano nel divenire dell'umanità, di come vive la sua fede (...) La teologia non viene prima, prima viene l'impegno; la teologia è un'intelligenza dell'impegno, e l'impegno è azione». (16)

Si può quindi concordare con il prof. Sartori quando sostiene che la teologia: «... deve limitarsi a riflettere sul senso profondo dei rapporti che legano il cosmo e la storia a Dio, principio e fine di tutto». (17) Comunque, quel che veramente importa sta nel realizzare condizioni etiche tali da consentire che ogni atto o riflessione che abbia per oggetto l'uomo, il mondo Dio ecc., possa svolgersi apertamente e responsabilmente in una serena e sinergica cooperazione, senza sincretismi e irenismi e senza preclusioni aprioristiche. Pertanto, non si può non rilevare che questa è oggetto di costante ostracismo per il fatto di aver assunto connotazioni politiche non gradite alla Curia romana. Va però sottolineato che la chiesa nel suo complesso ha pagato un non lieve tributo di sangue. In pochi anni, vennero soppressi circa 30 tra arcivescovi e sacerdoti, colpevoli di aver simpatizzato con la TdL; in El Salvador, per la stessa ragione, Mons. O. Romero fu assassinato mentre celebrava la messa.

 

Le teologie della liberazione (TdL)

L'eresia (dal greco Hàiresis = scelta, deviazione, divisione) è una dottrina che si oppone a una verità rivelata o ad una «definizione» del magistero ecclesiastico. La genesi delle TdL risiede, a mio parere, nell'antinomia esistente fra le due antitetiche concezioni teologiche del teocentrismo e dell'antropocentrismo; la prima pone al centro di ogni realtà Dio, come unico referente dell'uomo, e la seconda assume la realtà, ivi compreso Dio, in funzione dell'uomo e della sua condizione terrena. Ad es., la concezione del Lamennais del «Vangelo che si realizza nella lotta per la libertà dei popoli» è stata preceduta e seguita da molte comunità di sacerdoti e di laici decisi a gettare un ponte fra le sofferenze degli umili e la fede nel Cristo. Senza andare tanto lontano, sappiamo che cospicue aliquote di cattolici italiani ritengono compatibile il cristianesimo con l'appartenenza a partiti di sinistra. È nota la lettera pastorale dell'abate di S. Paolo, G. B. Franzoni, con la quale sostiene che: «La chiesa è compromessa con lo sfruttamento capitalistico a livello strutturale-economico, a livello giuridico-politico e a livello ideologico». (18)

Don Bagget Bozzo ha formulato due bizzarre osservazioni: con la prima, il teologo-politologo-politicante sostiene che la TdL sarebbe nata in Germania; con la seconda, che essa sarebbe fallita in AL. Iddio ci salvi dai preti tuttofare e da coloro che se ne stettero alla finestra quando era difficile essere fascisti e che fanno gli antifascisti soltanto ora che gli americani gli hanno portato la libertà. È vero nondimeno che i primi teologi della liberazione sono tributari delle riflessioni della teologia politica e di quella detta «della rivoluzione» di matrice tedesca (Rahner, Metz, Kung, ecc.). Prescindendo dal fatto che, per chi scrive e per il suo popolo, la c.d. liberazione si è «incarnata» in vera e propria oppressione, il termine «liberazione» racchiude in sé significati tanto ambigui che la teologia istituzionale ne fa uso esclusivamente per indicare la vicenda biblica dell'Esodo, altrimenti impiega quello di «redenzione».

Comunque, al di là delle interminabili confutazioni reciproche, si è verificato un fatto assolutamente nuovo: attraverso la TdL, laici e sacerdoti si sono resi «soldati» di Cristo e hanno impugnato le armi per una fede che non può e non deve essere chiamata «eresia». Né è lecito contrapporvi argomentazioni rigidamente dottrinali, secondo le quali Gesù è sempre liberatore nel senso di «redenzione» e «riscatto dal peccato». (19) Le accuse rivolte alle TdL di essersi rese facili preda di infatuazioni e di entusiasmi eterodiretti sono appropriate semmai a quanti, dopo ubriacature castriste, maoiste, guevariste, poterenegriste, terzomondiste ecc., sono tornati con la coda fra le gambe negli agiati ovili della democrazia italiota. Mussolini li definiva «leoni erbivori». Anche tra noi -ma con ben altri intenti- vi furono Evola ed altri che sperarono di far «cavalcare la tigre» a delle «tigri di carta». Pertanto, non si può non prendere atto che nel teologo-guerrigliero che rischia la vita per i propri fratelli in Cristo, vi sia la convinzione profonda che soltanto dalla eliminazione del Capitalismo, il quale non è mai più o meno morale, ma è sempre più o meno immorale) e delle sue «strutture di peccato (il tempio, i mercanti, ecc.), potrà iniziare la venuta del Regno, che soffre violenza, e i violenti se ne impadroniscono» (Mt. 11, 12) . Di fatto i teologi della liberazione accusano i confratelli curiali di aver rinunciato all'attuazione del Vangelo e questi ribattono che: «Una ideologia, anche se si attribuisce il titolo di teologia, che si fonda essenzialmente sull'accusa dell'altro, autore di ogni male, non può essere confusa con una valida interpretazione del cristianesimo». (20)

Non a caso, è stato rilevato che «... la teologia ha finora condotto essenzialmente solo battaglie di retroguardia e ha fatto concessioni che toccano palesemente la sostanza della fede ...» (21) e che «Quando il Cristianesimo divenne teologia, perse qualcosa di importante, la capacità di recepire la sofferenza». (22) Per completare il quadro, si può aggiungere la sferzante riflessione di Hegel rivolta a quanti attendono «... il Regno di Dio, le mani inerti sul grembo».

È fuor di dubbio che con il suo lusso e la sua pompa, la chiesa contraddice all'umiltà del Cristo e la teologia, più che un affinamento e un rafforzamento della fede, agisce spesso alla stregua di incomprensibile ginnastica intellettuale, aliena dalla sua funzione salvifica e soteriologica. Ciò è confermato dall'attuale travaglio della teologia curiale, teso alla ricerca di un più adeguato modello.

Fra centinaia di trattati, un autentico progetto teologico con carattere rivoluzionario emerge, con carattere di sistematicità, di chiarezza e di autonomia di pensiero, dall'opera del più significativo teologo della liberazione, il peruviano Gustavo Gutiérrez. (23) Questi non cela sotto una patina teologica l'analisi marxista della storia, ma riflettendo all'interno di un disegno teologico originale, innesta quell'analisi alle radici dell'Esodo, alle riflessioni dei profeti e all'opera salvatrice del Cristo. A suo parere, il testo di Mt 25, 35 e ss. (dare da mangiare, ecc.) impone concreti atti politici i quali, dal momento che il prossimo è costituito principalmente dalla classe degli sfruttati, non possono che sfociare nella «... trasformazione di una società strutturata a benificio di una minoranza che si attribuisce il plusvalore del lavoro della maggioranza. Trasformazione che deve arrivare a cambiare radicalmente la base di questa società: la proprietà dei mezzi di produzione». (ivi, p. 75) La teologia, pertanto, deve porsi come atto secondo, cioè come «operazione» dell'atto primo il quale si fonda sull'impegno essenziale del servizio e della carità da parte della comunità cristiana. Quindi «La teologia come riflessione critica della prassi alla luce della fede, non solamente non sostituisce le altre funzioni della teologia, come sapienza e come sapere razionale, ma le presuppone e le richiede», in quanto, avendoci il Cristo «liberati perché godessimo in libertà» (Gal 5, 1), il peccato altro non è che un «... negarsi all'amore verso gli altri, e conseguentemente anche verso lo stesso Signore». (ivi, p. 89)

Nel linguaggio e nelle intenzionalità del Gutiérrez, si intuisce, come conseguenza della individuazione dell'unione storica fra carità teologale e opzione concreta per i poveri, un dinamismo etico e teologico che si sprigiona dal Dio-Amore nel quale è compresente l'amore del prossimo e la chiara tensione al cambiamento radicale della società.

Non si tratta qui di giustificare o avallare le posizioni di chicchessia, bensì di metterle in parallelo con quelle della teologia curiale: «L'organizzazione sindacale è necessaria per dare al lavoratore quella forza contrattuale che la proprietà conferisce alla controparte (...) Ma niente autorizza a ritenere che il lavoratore debba servirsi degli organi interni di tutela e di collaborazione per usurpare le funzioni dell'imprenditore» (24) Per Gutiérrez, quindi, quel Regno «che soffre violenza», può concretizzarsi soltanto rendendo l'umanità più fraterna e più giusta, prima in questo e poi nell'altro mondo. Non è cristianamente tollerabile che, ad es. «La vita di un minatore boliviano si può così compendiare: a 15 anni entra in miniera, a 25 va in pensione, a 35 muore di silicosi». (25)

Né si può negare che l'opposizione del Cristo ai potenti, la sua venuta per liberare gli umili e gli oppressi e la sua stessa crocifissione, non rechino inconfondibili valenze politiche. I Vangeli stessi costituiscono gli strumenti concettuali di una delle più grandi rivoluzioni politiche della storia. Tutt'al più ci si può domandare se tale rivoluzione sia definitivamente fallita, ovvero se siano ancora validi i suoi presupposti etico-filosofici e quale sia il compito della chiesa oggi. Gutiérrez non ha dubbi: «Quando la chiesa rifiuta la lotta di classe, si comporta oggettivamente come un ingranaggio del sistema in vigore che giustifica i privilegi dei suoi beneficiari e quindi la sua scelta non è altro che una opzione di classe». (ivi, p. 147) È evidente che l'impostazione di Gutiérrez e della quasi totalità dei teologi della liberazione è classista in sede sociale e secolarizzante in sede teologica, nondimeno sarebbe azzardato vederle in stridente opposizione con l'enunciato del Concilio che sancisce: «La ricerca metodica di ogni disciplina, se procede in maniera veramente scientifica e secondo le norme sociali, non sarà mai in reale contrasto con la fede, perché le realtà profane e le realtà della fede hanno origine dal medesimo Iddio». (GS 36/b)

 

Alcuni aspetti delle TdL

Per rendersi conto dei timori suscitati dalle TdL, si devono considerare alcuni dati:

a) i cattolici rappresentano circa il 18% della popolazione mondiale, il 52% del quale risiede nell'America Latina;

b) la linea di politica estera del Vaticano è ancora quella indicata da Paolo VI con il discorso all'ONU nel 1965: «Il nostro messaggio vuole essere, anzitutto, una ratificazione morale e solenne di questa istituzione (...) I popoli si volgono verso le Nazioni Unite come verso l'ultima speranza della concordia e della pace (...) Noi osiamo dire: è il riflesso del disegno di Dio per il progresso della società umana (...) Signori, voi state compiendo un'opera grande, l'educazione dell'umanità alla pace». Concetti analoghi sono stati ribaditi dal regnante Pontefice nel '79 all'ONU, nel 1980 all'UNESCO e nel 1988 al corpo diplomatico. Paolo VI a Medellin ('68) e Giovanni Paolo II a Puebla ('79), al di là della retorica e dei «bagni di folla», a stento riuscirono a rianimare l'incerto episcopato latino-americano e a rimetterlo in linea con la politica dei poteri costituiti. La TdL, per contro, ha accelerato il passo e la guerriglia (sandinismo, Sendero Luminoso, Fronte Farabundo Martì, Tupac Amaru, ecc.) ha accentuato le azioni armate e in qualche Paese ha governato non indegnamente per alcuni anni.

Nell'azione di contrasto alla TdL s'inscrivono le «istruzioni» della S. Congregazione per la dottrina della fede del 6.8.84 e quella del 22.3.86, con le quali, premesso che «... l'espressione "teologia della liberazione" è un'espressione pienamente valida (...) designa una riflessione teologica incentrata sul tema biblico della liberazione e della libertà e sull'urgenza delle sue applicazioni pratiche», si sostiene che «l'uomo non intende più subire passivamente il peso schiacciante della miseria con le sue conseguenze di morte, di malattie e di decadimento», avverte pastori, teologi e laici «... sulle deviazioni e sui rischi di deviazioni pericolosi per la fede insiti in certe forme della TdL, che ricorrono in maniera non sufficientemente critica a concetti mutuati da diverse correnti del pensiero marxista (...) Ad alcuni sembra addirittura che la lotta per la giustizia e la libertà dell'uomo, intese nel loro senso economico e politico, costituisca l'aspetto essenziale ed esclusivo della salvezza». Con la seconda istruzione, il Card. Ratzinger, dopo aver ammesso che «Le inique disuguaglianze e le oppressioni di ogni sorta, che colpiscono oggi milioni di uomini e di donne, sono in aperta contraddizione col Vangelo di Cristo e non possono lasciar tranquilla la coscienza di nessun cristiano», in fine ammonisce: «Il cristiano preferirà sempre la via del dialogo e della reciproca intesa. Pertanto, la liberazione nello spirito del Vangelo è incompatibile con l'odio dell'altro, inteso sia individualmente che collettivamente, ivi compreso l'odio del nemico».

Siffatta concezione teologica fu confutata, contraddetta e tacciata di «ipocrisia» da quel complesso organico di riflessioni teologiche elaborato in Italia prima e durante la RSI, in forza del quale l'odio per il nemico (inteso come male) non soltanto è compatibile col Vangelo ma è necessario dovere del cristiano.

Accanto alla TdL latino-americana sono sorte, con finalità analoghe, altre TdL: l'africana, l'asiatica e la teologia nera o Black Power, negli USA.

È evidente tuttavia che la chiesa, come del resto le altre concretizzazioni storiche del potere mondiale, fingono di non comprendere che, loro per prime, hanno voluto un mondo «di classe» composto di proprietari e di proletari, e che K. Marx, ha concepito la lotta di classe per unire i proletari contro i proprietari e per eliminare le classi.

Alleate e corree di Stalin, di Mao Tse Tung, ecc., queste forze si guardano bene dall'ammettere che il fascismo soltanto tentò seriamente di abbattere quel mondo e di abolire tutte le classi nel supremo interesse della Nazione, cioè di tutti. La situazione viene così chiarita dal Gutiérrez: «... la chiesa è, in un modo o nell'altro, legata a coloro che detengono il potere economico e politico nel mondo d'oggi. Appartenga essa ai popoli opulenti o oppressi, oppure ai paesi poveri, come l'AL, è pur sempre legata alle classi sfruttatrici (...) Concretamente, la distinzione dei due piani (politico e religioso - N.d.R.) serve, in AL, per nascondere la reale scelta della chiesa in favore dell'ordine stabilito». (26)

 

Il socialismo nazionale ispano-americano

Provvisoria e insufficiente, la scienza spiega i princìpi di ordine fisico, chimico, biologico, psicologico, ecc, e le religioni sono ferme dinanzi alla grande parete da cui sembrano filtrare confusi barlumi del mistero di Dio. In questo orizzonte precario e incerto, la teologia sistematica volutamente ignora gli insegnamenti tradizionali che l'hanno preceduta e s'illude di essere lo strumento atto a ghermire qualche frammento di luce in più fra quei barlumi. Nata dal popolo e per la fede del popolo, essa se n'è distaccata per confinarsi in sterili torri d'avorio, così disdegnando quanti suggerivano che lo spirito di Dio si manifesta attraverso l'anima del popolo (Mazzini) e di chi, avendo decretato la morte di Dio, proponeva di rinvenirne le vestigia al di là di un bene e di un male, frutto di umane, troppo umane finzioni (Nietzsche).

In quei luoghi non filtra di certo la luce che irradia dalla primigenia liturgia dei pastori che adorarono il Figlio appena nato nella più grande umiltà, né di quella -suprema- celebrata sul Calvario, all'aperto, in mezzo all'irridente popolo ebraico. Ma, se in una nuova prospettiva teologica, che proceda dinamicamente dal basso verso l'alto, assumiamo come orizzonte l'AL -per molti versi avulsa dalla crisi spirituale che attanaglia il cattolicesimo europeo- ci rendiamo conto che essa può svolgere un ruolo non marginale nel dare soluzioni originali ai problemi politici, sociali e spirituali del Subcontinente latino-americano.

In effetti, l'importanza della TdL sta principalmente nelle interrelazioni dinamiche che connettono non soltanto le tematiche religiose e culturali, bensì principalmente quelle di carattere sociale, economico e politico, poiché soltanto queste, ora, sono espressione di improrogabili esigenze di emancipazione da ogni forma di asservimento, e le conferiscono credibilità sociale e legittimazione storica.

Dall'esame dell'AL fin qui condotto, emerge che ivi è in atto una situazione di sfruttamento, di violenza e di asservimento istituzionalizzati, promananti dalla perversa alleanza di tre forze negative:

1) l'imperialismo USA, in quanto potenza economico-militare in sede mondiale;

2) il regime semifeudale dei latifondisti locali;

3) i governi, espressione delle due forze precedenti e le rispettive strutture di sostegno (eserciti, polizie, burocrazie e chiesa). Non volendo innalzare la violenza rivoluzionaria ad unico metodo di lotta, ma nemmeno senza ipotizzare di farne a meno ad ogni costo, la soluzione può individuarsi nella enunciazione di un «socialismo nazionale ispano-americano» fondato sulla volontà di effettiva indipendenza, ma immune dal virus capital-marxista che riprodurrebbe analoghe situazioni di servilità e di alienazione.

Per nazione intendendo tutti i popoli dell'area che si estende dal Messico a Cabo de Hormos, le radici di un siffatto socialismo sono reperibili sia nelle ataviche esigenze degli indios, che in quelle dei più rappresentativi uomini politici espressi dalle lotte per l'indipendenza dalla dominazione straniera, fino a C. Torres e ad E. Guevara. Non v'è dubbio che quelle genti rechino in sé un accumulo di consapevolezze socioculturali e politiche tali da costituire una civiltà contraddistinta da specifici valori e da connotazioni affatto originali: una civiltà spiritualmente e culturalmente superiore a quella demo-massonica che, con le armi e la frode, la opprime.

Sappiamo quanto la mancanza di collegamenti affidabili conduca alla dispersione di energie, al riflusso rivoluzionario e all'abulia. Pertanto, al di là delle dispute teologiche, la TdL, intesa come componente non secondaria della riflessione politica dell'intera nazione ispano-americana sul proprio avvenire, a mio avviso, può fornire validi apporti al coordinamento e alla valorizzazione delle naturali aspettative e delle volontà innovatrici latenti nel suo popolo.

Le TdL hanno il merito di aver messo a fuoco le deficienze interne alle strutture ecclesiastiche e posto in crisi la loro legittimazione a testimoniare nel mondo i valori eterni e trascenenti dello spirito. Tuttavia, il fatto di non aver assunto una linea politica univoca, le hanno messe nella condizione di aderire con leggerezza alla prassi marxista e di alimentare un ambiguo dialogo con la teologia curiale. Da siffatta errata impostazione di rapporti, ha preso corpo la sua più grave lacuna politica e culturale: il non aver autonomamente indagato sulle cause della IIª guerra mondiale e, quindi, il non aver preso consapevolezza della genesi dell'attuale situazione internazionale di dominio e di oppressione dei popoli, di cui le condizioni dell'AL sono soltanto un aspetto. L'implicito antifascismo, immotivato e acritico, mutuato da ambienti capital-marxisti, ha condotto le TdL a tenere i non cale, per es., le non poche lotte combattute dal giustizialismo per l'effettiva indipendenza del popolo argentino. Ne consegue che la TdL, sul piano di una visione realistica della storia recente, procede un po' alla cieca: ignora chi e per quali ragioni volle la IIª Guerra Mondiale, e non recepisce le intenzionalità profondamente innovatrici e liberatrici del fascismo. Il Gutiérrez che non è digiuno di cultura europea e in particolare di quella italiana (lo provano i suoi riferimenti a Vico, a Croce e a Gramsci), non intuisce, per es., che, per abbattere secolari imperi di sfruttamento, al fascismo fu giocoforza darsi un proprio impero di popolamento, così come rilevato anche da F. Moricca in questo periodico: «... è innegabile il fatto che prima e durante il secondo conflitto mondiale i popoli oppressi dall'imperialismo anglo-francese abbiano visto l'Italia e il suo imperialismo come un potente fattore di liberazione, da Gandhi al Gran Muftì di Gerusalemme». (27) Eppure, a smentire uno dei caposaldi del Manifesto comunista che «i proletari non hanno patria», C. Torres nel suo ultimo proclama aveva affermato: «La lotta di classe popolare deve trasformarsi in una lotta nazionale».

Gutiérrez e i suoi colleghi ignorano la profonda religiosità del pensiero mussoliniano. Scambiare Vargas e Pinochet per fascisti vuol dire che, nonostante la dovizia di informazioni che si ha del fascismo, l'Idea fascista è una realtà sconosciuta o adulterata. La conoscenza critica del fascismo in AL si pone quindi come necessità rivoluzionaria oltre che politica e culturale. E, ove s'intenda agire politicamente secondo il volere del buon Dio, è anche un'esigenza squisitamente teologica: «La proprietà inviolabile non è affatto un principio dello Stato fascista, che ha dimostrato di saper colpire anche la proprietà in nome della patria. La proprietà inviolabile è un dogma liberale e non fascista, inglese e non romano: da noi proprietario è depositario e non altro. (28) Precisamente come previsto in Gn 2, 15. L'etica sociale fascista capovolge radicalmente il concetto di proprietà, non abolendola, bensì socializzandola e ponendola al servizio dell'uomo considerato realisticamente nelle sue naturali attitudini.

 

Degenerazioni della TdL

La Conferenza episcopale nicaraguense del 1977 paventò l'insorgere di «Movimenti che si dicono liberatori, e che potrebbero finire con l'essere nuovi padroni». Preso atto poi del consolidarsi del movimento sandinista, nel '79, la medesima Conferenza attenuò la precedente poco lusinghiera previsione: «... dispiacciono gli estremismi delle insurrezioni rivoluzionarie, ma non si può negare la loro legittimità morale». Tatticismi a parte, va preso atto che la TdL è ancora riguardata con la perplessità e il timore derivanti dall'ambigua utilizzazione della prassi marxista in ambito sociale che, se trasferita in quello religioso, potrebbe fuorviare il sentimento religioso delle popolazioni. A tali ambiguità va aggiunto il fatto che i teologi della liberazione non hanno espresso una più alta visione del mondo in forza della quale gli uomini, possano raggiungere la condizione spirituale dell'«impersonalismo attivo» (J. Evola) che consenta loro di vivere e operare non per più cospicue mercedi, ma per un qualcosa che li innalzi nella ricerca della virtù e della saggezza. È raro infatti cogliere in essi pensieri e tensioni che travalichino la pura contingenza: «... fino a quando non avremo sconfitto l'egoismo, non avremo ancora compiuto la liberazione dell'uomo (...) quando l'uomo non vivrà più per se stesso, ma sarà capace di aprire le porte del suo cuore e consegnarlo agli altri. Quel giorno avremo fatto la rivoluzione». (29)

Non sono molti i sacerdoti e i teologi latino-americani che hanno aderito toto corde alle teorie marxiste. Una minoranza estremistica in bilico fra eresia e ortodossia, ha radicalizzato il procedimento che tende a sostituire la politica alla religione, e propugnato la trasformazione dei sacramenti, la riduzione del termine «grazia» con quello di «cammino verso il socialismo» ed altre bizzarre elucubrazioni. Altri ancora sono stati coinvolti in poco chiare azioni all'interno dei gruppi rivoluzionari e hanno ordito macchinazioni con gli apparati dei poteri locali in danno dei gruppi medesimi. In dispregio della massima evangelica che non si combatte il male con altro male, taluno di loro non ha esitato neppure dinanzi al commercio della droga per sovvenzionare la guerriglia.

La guerriglia, in quanto espressione concreta della guerra rivoluzionaria, sfrondata dall'aureola di romanticismo e di leggenda da cui è stata avvolta dai romanzi e dalle cronache ad effetto, è la forma più dura e più drammatica di guerra. Essa è per uomini che sanno amare e odiare in grado superlativo. Chi non possiede tale carica interna di amore-odio può anche essere un buon soldato di un esercito regolare, mai un vero guerrigliero. Fare la guerra senza odio, diceva il bolscevico Eremburg, è come fare l'amore senza passione. Stando ai Vangeli, fra i dodici che seguivano il Cristo, soltanto Pietro possedeva le doti dell'uomo di guerra: Chi sapeva che il cristianesimo avrebbe avuto bisogno anche di duri combattimenti, gli affidò la guida della sua chiesa, ora ridotta a comunità disorganica di uomini queruli e imbelli ...

Tali abnormi comportamenti hanno favorito il proliferare delle sette religiose, che anche in AL hanno raggiunto un alto livello di penetrazione soprattutto nelle città. La guerriglia caotica e spesso non adeguatamente diretta e la coltivazione e il commercio della droga hanno concorso altresì alla trasformazione dell'AL nel più violento e pericoloso dei continenti.

La TdL si è arricchita, per così dire, di una nuova e inattesa «teologia erotica». Dal momento che essa suggerisce: «... di fare una correzione del cristianesimo dalla linea agostiniana che pone sotto sospetto tutto ciò che ha a che fare con la gioia, limitandosi a proporre un cammino ascetico», (30) merita una breve disamina.

Sant'Agostino, non conoscendo la lingua greca, forse non comprendeva a pieno il significato dell'eros ellenico, tuttavia, mediante un'interpretazione realistica di Gn 1, 28, elabora la dottrina dei tre beni del matrimonio dalla quale trae origine la concezione secondo la quale all'atto coniugale non si deve chiedere nulla ultra generandi necessitatem. Attesa l'interazione fra Gn 1, 28 e 2, 18, Agostino interpreta rigidamente la parola di Dio sulla creazione della donna come fatta in funzione di adiutorium dell'uomo. Per quanto il dato biblico delinei soltanto direttive generali, questa è la dottrina che, in linea di massima, ancora regola il sacramento del matrimonio cattolico, il quale, ora come allora, è fondato sulla charitas coniugalis, non sulla libido. Teologi, moralisti e canonisti hanno disquisito per secoli intorno a questo argomento con il risultato che, travisare tale dottrina equivale a far crollare l'intero edificio del cattolicesimo. È vero, il rigore agostiniano oggi è pressoché incomprensibile; ove però si scoprano le sue vere radici, si constaterà che, pur risentendo delle polemiche con i pelagiani e con i manichei, esso sorge da un preciso atto di volontà: elaborare, per la giovane religione del Cristo, una dottrina etico-morale del matrimonio che fosse nettamente superiore all'apatheia degli stoici, basata sul principio valido ma non sufficiente, nihil fac propter salam dilactationem. Da un più attento esame, il rigore agostiniano, risulta essere se mai la fonte teologico-morale più prossima dell'«amor cortese», tipico della Cavalleria medioevale che, in quanto trasmutazione della passione erotica in una dedizione etica nel contesto di una superiore spiritualità, non postulava alcun appagamento.

Secondo il Boff, anche Paolo sarebbe responsabile della troppo rigida etica cristiana. Ma, per chi abbia un minimo di conoscenza del pensiero paolino, è di solare evidenza che la severità di Paolo, permeato di cultura ellenistica, non può che essere attribuita alla corruzione e ai vizi delle città greche del suo tempo. Boff, che è autore di pregevoli testi teologici e che parve ingiustamente colpito dalla sospensione a divinis, sembra aver smarrito l'abituale padronanza di sé; insiste nella sua peregrina trovata: «Bisognerebbe intraprendere una vera iniziazione culturale in questo senso, ma non è ciò che avviene nei seminari e nelle scuole di teologia» e, omette di far cenno, ad es., al pensiero di Tommaso d'Aquino, a parere del quale, in un clima di autentica castità: «l'unione sessuale (...) dà un diletto maggiore (...) perché priva di inquietudine e disordinato ardore».

Non fosse altro che per le sue finalità formative, la teologia, valendosi delle acquisizioni di tutti gli altri saperi, non può disattendere il problema dell'etica sessuale. Però qui non si tratta più di teologia, bensì di quella sociologia radicale sempre rivelatasi ripugnante ad ogni retto sentire. Che Boff sia diventato un autore à la page, che certi suoi riferimenti politici siano spesso tendenziosi e privi di fondamento storico-critico, è affar suo; ciò che qui importa rilevare è l'arbitraria utilizzazione delle teologia come strumento di un edonismo consumistico che banalizza la sessualità umana, interpretandola in modo tanto impoverito e riduttivo da connetterla unicamente al corpo e agli effimeri piaceri che da esso possono trarsi. In siffatta impostazione etica è dato cogliere, inoltre, tutti gli inquietanti sintomi della c.d. «autorealizzazzione individuale», la quale introduce nell'esistenza umana quel disordine spirituale derivante dallo scatenarsi delle passioni più nascoste e perverse, che irridono al positivo dato antropologico cristiano dell'imago Dei e ai retti comportamenti suggeriti dalla Tradizione laica i quali, pur non escludendo l'equilibrato godimento di gioie naturali, sanno tuttavia bandire da sé ogni finalità egoistica.

Sotto questo aspetto, Boff costituisce un'ulteriore radicalizzazione dell'etica teologica di K. Barth, E. Brunner, F. Gogarten, P. Althauss, ecc., la quale s'innesta coerentemente con il naturalismo etico dei teologi della morte di Dio, teso a degradare la soprannaturalità dell'etica cristiana al livello della degenerescente socialdemocrazia europea. In questo senso, è perfettamente vera la riflessione del Buela: «Non è teologia e non libera nessuno». (31)

Il men che si possa dire a proposito di Boff e dei suoi seguaci è che sono degli sfortunati: non hanno mai avuto il divino privilegio di amare veramente; di amare davvero i genitori, i figli, la moglie (o la «persona del cuore»), gli amici, i camerati o compagni di lotta; privilegio a cui si accede «frustro a frustro», con paziente abnegazione e con quel virile impegno etico che consente di vivere una fedeltà più alta e più nobile, anche a costo del dolore della rinuncia e della solitudine.

 

Conclusione

L'eccellente articolo appena citato del prof. A. Buela (che anche nel titolo si richiama all'importante opera storica di Piero Sella (32) "L'occidente contro l'Europa"), è essenziale per una comprensione non convenzionale della situazione latino-americana. Realisticamente, il Buela ravvisa nell'Occidente europeo la perdita della «sua capacità di instaurare valori (...) Giacché la sua Weltanschauung ha smesso di preferire se stessa in rapporto alle altre (...) In tal modo (...) ciò che l'odierno "Occidente" ha perduto è il senso delle cose e dell'esistenza dell'uomo sulla terra». Né del resto, si può negare che l'AL è: «un'unità geografica, culturale, linguistica e religiosa indivisibile (...) che rappresenta uno smisurato potenziale di cultura e di originale vitalità (...) forgiata nei secoli non tanto da forze, scopi e obiettivi comuni, quanto piuttosto da un comune nemico, l'imperialismo anglosassone». (ivi)

In effetti, il variegato tessuto umano dell'AL sta per raggiungere il mezzo miliardo di uomini, di cui il 10% circa è costituito da indios nei quali si vanno attenuando le antiche diffidenze verso i bianchi e verso le lontane e ostili istituzioni statuali.

Il ruolo che può svolgere la TdL in tale contesto non è certamente secondario a patto però che sappia spostare l'asse centrale delle proprie riflessioni al centro del pensiero ispano-americano, per attingervi le ragioni vitali alla sua origine e della sua stessa permanenza fra quelle genti. E abbia il coraggio di svincolarsi dall'abbraccio mortale della teologia curiale la cui secolare organicità con i poteri dominanti è fuori di dubbio.

Nella Hispanidad -figlia di quella Cavalleria che: «sia per il suo spirito che per il suo ethos, rientra organicamente nei quadri dell'impero più che in quelli della chiesa- (33), nell'ergersi cioè a fattore decisivo di superiorità spirituale e di effettiva indipendenza del suo popolo, può compiersi il destino della TdL.

In tal modo tutta la teologia verrebbe ricondotta al suo fine di costante elevazione umana, e la Religio, in quanto insopprimibile vocazione dell'uomo alla trascendenza, riassurgerebbe a quell'assoluto valore spirituale dinnanzi al quale -neppure l'ateo- rimane indifferente.

 

Gaspare F. Fantauzzi

 

Note:

1) Castro, dalla rivoluzione al riformismo, in "Controcorrente", foglio dell'omonimo gruppo giovanile della FNCRSI, n° 11-12 novembre '74;

2) Cfr. "Mondo e Missioni", rivista cattolica di Milano, maggio '95

3) A. Schwarza, "Cronaca del genocidio delle nazioni indiane d'America" Ed. Priuli e Verlucca, Ivrea '80;

4) Sant'Agostino (in Johan, tr. 106, 4);

5) Sir D'Arcy Osborne, marzo '47, ambasciatore inglese al Vaticano; cfr. M. Aarons & J. Loftus, Ratlines, Ed. Newton Compton, Roma '93:

6) Martina G., o. c. 329.

7) M. Leon-Portilla, "A conquista da America Latina vista per indios", Persepoli, (Brasile) 1985, 61;

8) Cfr. Poli G., "Mississipi, abolita la schiavitù", ne "il Tempo", 18.2.95;

9) Cfr. Arlacchi P. e Paoli L., "Ancora oggi schiavitù", in "Civiltà dell'amore", n. 11 novembre-dicembre '94, Firenze.

10) Evola J., "Rivolta contro il mondo moderno", Ed. F.li Bocca, Milano '51, p. 372;

11) Camara H., "Fame e seti di pace con giustizia", Ed. Massimo, Milano '70, p. 18;

12) Cfr. N.D.T., Ed. Paoline, Torino '88, p. 1599;

13) Cfr. Bonatelli P., "La teologia nelle università", in "Segni dei tempi", n° 2, maggio-agosto '43, pp. 36-76;

14) Cfr. Concilio di Calcedonia (41 d.C.);

15) J. Ratzinger, "Natura e compito della teologia", Ed. Jaca Book, Milano '93, pp. 53-91;

16) G. Gutiérrez, "La fuerza històrica de lo pobres", Ed. CEP, Lima '79, p. 367;

17) L. Sartori, "Le scienze delle religioni oggi", EDB, Bologna, '83, p. 5;

18) Cfr "il Messaggero" di Roma del 14.6.73;

19) J. Galot, "Gesù liberatore", Ed Libreria fiorentina; Firenze '83, p. 41;

20) F. H. Lepargner "Thèologies de la libèration" in "Nouvelle Revue Tehèologique, Paris '76, pp. 167-8;

21) H. Alòbert, "La miseria della teologia" ED. Borla, Roma '85, p. 15;

22) R. Festorazzi, "Una grande morale per rinnovare l'Europa", in "Avvenire", 10.8.96;

23) G. Gutiérrez, "Teologia della liberazione", Ed. Querinaria, Brescia '72;

24) F. Vito, "Dove va il proletariato", in "Vita e Pensiero", rivista diretta da fr. A. Gemelli o.f.m., dicembre '53, p. 627;

25) Cfr. rivista cattolica "La Chiesa nel mondo", n° 11, 28.2.88;

26) G. Gutiérrez, o.c., 10, 11, 113;

27) F. Moricca, "Riflessioni sulla Somalia, in "Aurora", anno V, n° 10, novembre '73, p. 10. - Informazioni più esaurienti sui movimenti fascisti nel mondo sono contenute nella rivista "L'Uomo libero", nn. dal 5 al 18;

28) B. Ricci, "Lo scrittore italiano", Ed. Ciarrapico, Roma '84, p. 96;

29) G. Girardi, "Sandinismo, Marxismo, Cristianesimo: la confluenza", Ed. Borla, Roma, '86, p. 166;

30) L. Boffa, "Una chiesa senza machismo", in "Liberazione" 30.9.95, p. 10;

31) A. Buela, "L'Occidente contro l'America Latina", in "L'uomo libero", n° 2, ottobre '85;

32) P. Sella, "L'Occidente contro l'Europa", Ed. dell'Uomo libero, Milano '84.

 

 

 

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