da "AURORA" n° 46 (Febbraio 1998)

IL FATTO

Cavalese: cronaca di un crimine.

Giovanni Luigi Manco

 

Dal 1954, quando il 31° stormo dell'US Air Force si è stabilito ad Aviano, su una servitù militare di cinquecento ettari, giungono alle autorità italiane avvertimenti e proteste dal Trentino per le spericolatezze dei piloti statunitensi da Top-gun. Aerei a bassa quota, in barba alle norme e direttive dello Stato maggiore, sfrecciano i sui tetti delle case. Le vibrazioni dei Galaxy sono impressionanti, fanno tremare i vetri delle finestre e spostano le tegole sui tetti.

La zona è ecologicamente a rischio e, ciò nonostante, ogni giorno si depositano sul terreno ghiaioso scie di carburanti incombusti che inquinano le falde acquifere; il carburante non consumato è invece scaricato dai piloti prima del rientro in base.

Nel 1980 la rottura di una condotta provoca la fuoriuscita di 4500 litri di Gp8: enormi i danni, ma nessun intervento di risanamento. I militari responsabili vengono immediatamente prosciolti, per «difetto di giurisdizione», sentenzia il pretore di Pordenone.

Da mesi il sindaco di Cavalese e il presidente della provincia di Trento chiedono una revisione dei programmi di volo addestrativo sulla zona. Tutto inutile. La debolezza delle autorità italiane nei confronti dell'arroganza militare USA non è estranea alla tragedia del Cermis.

 

3 febbraio '98 - quattro ufficiali americani di stanza ad Aviano, i capitani Ashby, Schwitzer, Raney, Seagraves, sorvolano Riva del Garda poi, in fase di rientro, il pilota Ashby, californiano, che a scuola chiamavano il «pazzo», gira la cloche del Grumman EA-6B Prowler (codice Easy 01) a sinistra e si infila nella Val di Fiemme, abbassandosi di almeno seicento metri sotto la quota minima consentita. Punta sulla funivia del Cermis a Cavalese, una delle stazioni turistiche più frequentate del Trentino. Il cavo della teleferica è segnalato con grande evidenza su tutte le mappe di navigazione. Un brivido di eccitazione attraversa la schiena del pilota e dell'equipaggio nel mettere a segno un'ennesima bravata. Sfrecciare sotto il cavo della teleferica, in quel punto a 80 metri dal suolo. Una prova di destrezza. Un modo come un altro per sfidare la morte altrui, come gettare pietre dai cavalcavia. Vira in basso. La manovra è altamente rischiosa. L'ala destra colpisce e trancia le due funi della teleferica. Il pilota impenna allora istintivamente l'aereo e una delle funi tranciate colpisce il timone di coda. La cabina in transito precipita nel vuoto. Un urlo di terrore, poi il tonfo sordo della cabina, i corpi dilaniati dei venti passeggeri, tra cui un ragazzino di dodici anni.

 

4 febbraio - il procuratore della Repubblica di Trento, Francantonio Granero e il sostituto procuratore, Bruno Giardina, raggiungono la base di Aviano. Incontrano i quattro Ufficiali dell'aereo assassino. Ne ricavano un'impressione sconcertante. Nessuna ombra di sgomento sui loro volti, nessuna collaborazione. «Del tutto freddi, indifferenti alla vicenda», li descrive Giardina. Si fanno avanti i loro avvocati: «Nella vicenda ci sono molti punti da chiarire e uno di questi riguarda la giurisdizione, cioè la competenza a giudicare i quattro aviatori americani». Il procuratore Granero, malgrado il cattivo approccio, mantiene la calma e ai giornalisti parla di «reciproca collaborazione». Nel mentre dell'intervista giunge una telefonata. All'altro capo del telefono i carabinieri: «Martedì, i piloti, scendendo dall'aereo, hanno tolto un registratore di dati e se lo sono portato via.

 

5 febbraio - i quattro membri dell'equipaggio vengono raggiunti da informazioni di garanzia. Si contestano reati di omicidio colposo plurimo, concorso in strage, attentato colposo alla sicurezza dei trasporti. Insieme all'inchiesta della magistratura prende avvio quella delle autorità i militari. Il generale Van der Linden, comandante dei marines per lo scacchiere del Mediterraneo difende, contro ogni evidenza dei fatti, i quattro ufficiali e non esita a dare dell'ignorante al ministro Andreatta che aveva illustrato la dinamica dell'incidente. Un fatto gravissimo.

Le autorità giudiziarie italiane rischiano di vedersi scippare il diritto di giudicare gli imputati.

La "Convenzione di Londra" del '51 affida allo Stato proprietario del velivolo, cioè agli USA, la giurisdizione, ma solo in linea di principio. La competenza effettiva dovrebbe discendere dalla fattispecie dei casi concreti, degli interessi in causa. La stessa convenzione stabilisce che le autorità dello Stato cui si riconosce, in linea di principio, appunto, la priorità, ha il dovere di esaminare «benevolmente le richieste presentate dalle autorità dell'altro Stato se queste attribuiscono importanza a tale rinuncia». Avremo partita vinta se il Governo non si lascerà intimidire dall'amministrazione americana.

Tredici anni fa, a Sigonella, ci riuscimmo perché il Governo italiano difese le proprie ragioni a rischio di uno scontro diretto tra i carabinieri di guardia all'aereo dell'Egipt Air, con a bordo il palestinese Abbu Habbas (sequestratore dell'Achille Lauro), e i militari statunitensi.

Nella chiesa di Cavalese si celebra la funzione religiosa per le vittime della strage. La navata centrale è una lunga sequela di bare, le navate laterali non riescono a contenere la gente venuta, anche da altri paesi, per portare l'estremo saluto alle vittime e solidarietà ai parenti; molti restano fuori. Il parroco, Renzo Caserotti, è un uomo dall'aspetto mite ma le sue parole sono profetiche, pesanti come montagne: «Ascoltate, predatori dei cieli, il grido delle vittime innocenti. Ascoltate, violentatori del nostro cielo, la voce di chi grida nel silenzio contro una morte ingiusta e sciocca. Alle vittime la risposta degli uomini certo non arriverà, e la giustizia farà il suo povero corso. Ma il loro grido è più forte e potente della morte e dei motori di certi aerei».

 

6 febbraio - alfine il "mission recorder", asportato dall'aereo dopo il rientro (in un primo tempo si è cercato di negarne l'esistenza), viene consegnato al comandante della base di Aviano, Orfeo Durigon, unico italiano nella commissione d'inchiesta delle forze americane, quindi messo a disposizione del procuratore Granero. Il ritardo della consegna inficia la possibilità di ottenere le informazioni necessarie. Il "mission recorder" registra solo alcuni dati di volo e Granero inoltre non esclude la possibilità di manomissioni: «in queste 48 ore (fa notare) è rimasto nella disponibilità dei piloti americani e non della polizia giudiziaria italiana». Risulta infatti inutilizzabile. Il "mission recorder" è stato estratto mentre il motore dell'aereo ancora rullava: un sistema infallibile per distruggere il nastro.

Comunque si concluda la vicenda, l'incidente (non dovremmo dire crimine?) di Cavalese solleva lo spinoso problema delle basi americane e comandi Nato sul nostro territorio. La loro presenza è troppo massiccia per un paese civile che aspira a gestire una sua autonomia nei molti, troppi, conflitti internazionali.

L'aviazione USA conta al suo attivo, ad Aviano, 5mila addetti e 3mila familiari, lo squadrone degli F-18 dei marines, la l6ª forza aerea, il 31° gruppo di caccia, i Grumman EA-6B Prowler (predatore); a Sigonella 4mila addetti e 3500 familiari. L'esercito americano è dislocato a Camp Derby nel livornese (2500 addetti) e a Vicenza. La marina statunitense è a Gaeta (750 addetti e 600 familiari); a Napoli con il comando delle forze navali in Europa; alla Maddalena, in Sardegna, (162l addetti e 600 familiari).

La Nato ha a Vicenza il comando della 5ª Flotta aerea tattica; a Verona il comando FTASE (Forze alleate di terra); a Napoli il comando delle forze alleate nell'Europa meridionale, sia aeree che navali; a Roma la centrale dell'area mediterranea.

Finita la guerra fredda i testi che disciplinano la presenza di basi americane e Nato sul territorio italiano andrebbero logicamente rivisti, ridiscussi. La situazione mondiale ed europea si è notevolmente diversificata nell'ultimo mezzo secolo. Per il responsabile delle relazioni internazionale del PDS, Umberto Ranieri, ci sono le condizioni per una revisione degli accordi che consentirono l'installazione delle basi.

Volendo essere sinceri, volendo parlare chiaro, non abbiamo alcun motivo di Offrire servitù militari alle basi americane. Ciò vale per l'Italia e per l'Europa. Lo dice francamente Boris Eltsin: «Tengo a ripetere che la causa della sicurezza in Europa appartiene agli europei. So bene, che a qualcuno non piace questa frase che ho già detto a Strasburgo, ma è così e manterremo questa politica». Eltsin auspica un'Europa più grande e più autonoma rispetto a Washington. Da tempo insiste sull'urgenza di elaborare una "Carta della sicurezza europea" affinché l'Europa possa svolgere nel mondo un ruolo adeguato alla sua cultura, alla sua storia, al suo peso economico.

Intanto le grandi e medie testate giornalistiche, le televisioni (unica eccezione il programma di Santoro su Italia 1) vomitano folli idiozie pur di spegnere l'ondata di anti-americanismo con buona pace di Dini, Prodi e di tutto il polo berlusconiano.

A che pro? Di quali servigi si vuole la continuazione è poco chiaro. Alla Maddalena ancora si ricorda la vicenda, monetizzata e insabbiata, degli stupri di donne locali da parte di militari americani. Poi vennero le radiazioni dei sommergibili atomici e le morti per cancro aumentarono del 25%; fauna e flora marina scomparvero per molte miglia intorno alla base. Anche nel siracusano dopo lo schianto nell'84 di un Lockheed C-141, si registrò un'impennata di morti per cancro, anche se del carico aereo non si è mai saputo nulla. Subito dopo lo schianto gli americani circondarono la zona e impedirono ai carabinieri di intervenire.

Sappiamo benissimo, o dovremmo sapere, che ospitando le basi, legittimiamo implicitamente le violazioni del diritto internazionale perpretate dagli USA. Non ci ricordano niente le ricerche petrolifere nel golfo della Sirte e i bombardamenti sulla Libia sfociati nell'attacco a Lampedusa? Neppure la tragedia di Ustica, il silenzio delle autorità militari americane, garantito con l'assassinio (ufficialmente suicidio!) dei testimoni italiani? In quel frangente nessuno dette credito alla versione del «pazzo» Gheddafi, ora è l'unica plausibile. E i misteri dell'assassinio Moro, gli interessi che hanno protetto e guidato le BR? A chi tornava utile l'uscita di Moro dalla scena politica e l'esacerbazione degli anni di piombo? Bisogna essere idioti o costituzionalmente servi per fare ancora affidamento sugli USA. La nostra rivista pubblica da tempo, a firma di Fantauzzi, i dettagli delle vicende che hanno insanguinato il nostro paese.

Una cortina di silenzio pressoché impenetrabile avvolge le basi americane; contro le loro manovre ed, eventualmente, contro il loro utilizzo ai danni dell'Iraq, abbiamo solo una possibilità, «fare come l'Iraq», cacciare i militari statunitensi dall'Italia.

Limitarsi a chiedere garanzie, come fa Bertinotti, è troppo poco, anzi non serve a niente. Le basi americane sfuggono ai controlli degli Stati ospitanti, lo sappiamo benissimo e (circostanza più grave), continuando ad ospitarle siamo loro complici.

 

Giovanni Luigi Manco

 

 

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