da "AURORA" n° 47 (Marzo 1998)

QUESTIONI INTERNE

Il Mezzogiorno: storia e geopolitica

Francesco Moricca

Alcuni dati sull'economia del Regno delle Due Sicilie nel 1861 raffrontati con i coevi del Regno di Sardegna e della Lombardia, danno il quadro reale delle condizioni del Mezzogiorno al di là delle distorsioni e falsificazioni correnti. Gli addetti all'industria erano 1.595.359 contro gli 841.958 del Regno di Sardegna e della Lombardia; gli addetti all'agricoltura 3.133.261 contro 2.587.134; il tesoro del costituito Regno d'Italia formato con l'incameramento della liquidità degli Stati pre-unitari, ammontava a £. 668.400.000 di cui £. 443.200.000 provenienti dall'erario napoletano e £. 35.100.000 da quelli del Regno di Sardegna e dalla Lombardia. La flotta mercantile napoletana era la seconda d'Europa mentre quella da guerra figurava al terzo posto. La Borsa di Parigi quotava la rendita delle Due Sicilie al 120%, la più alta del mondo.

Tale floridezza, che andò ben presto distrutta più per i condizionamenti esterni che pesarono sul processo di unificazione della Penisola che non per volontà deliberata dei «Piemontesi», ha cause di ordine geopolitico e molto relativamente di ordine economico. La rilevanza geopolitica del Mezzogiorno dovuta alla sua centralità nel Mediterraneo, risale alla preistoria, quando i suoi territori vulcanici producevano la preziosa ossidiana. I resti di imponenti e antichissime fortificazioni a Malta ne fanno fede e le lotte per il possesso dell'arcipelago maltese attraversano i millenni fino alla seconda Guerra mondiale. Sono ancora motivi geopolitici quelli che determinarono l'Unificazione del Mezzogiorno otto secoli prima del resto di Italia, secondo confini che non subirono modifiche in un arco di tempo così lungo. Non fu un caso, così, se il Mezzogiorno conobbe sotto la monarchia normanno-sveva la prima forma di Stato centralizzato moderno.

È in definitiva la rilevanza geopolitica di un territorio dato, ciò che ne determina lo sviluppo e la medesima forma dell'economia. A patto però che esista un forte potere politico in grado di utilizzarne la posizione strategica con un congruo apparato militare da impiegare, a seconda delle circostanze, in maniera difensiva oppure offensiva. Diversamente il territorio in parola diventa oggetto della cupidigia di altre potenze. In un primo momento subisce le devastazioni dovute al fatto di essere il campo di battaglia di coloro che se ne contendono il possesso e ne distruggono sistematicamente le risorse economiche. In un secondo momento diventa colonia e base militare del vincitore, il suo sviluppo ne resta comunque viziato all'origine per la sua subalternità alla potenza egemone, come accadde in effetti nel Mezzogiorno sotto la dominazione spagnola, nonostante il Viceregno fosse in ogni senso equiparato alla Spagna.

Con l'avvento di Carlo III si iniziò un periodo nuovo per il Mezzogiorno. Il primo dei Borboni rese autonomo il Viceregno che divenne uno Stato con spiccati caratteri nazionali italiani e subì un radicale processo di ristrutturazione, dotandosi di un apparato militare per i tempi di tutto rispetto, che si rafforzò anche durante l'occupazione francese e nonostante la separazione della Sicilia, dove, sotto la protezione degli Inglesi, si era rifugiato Ferdinando IV.

In questa occasione -siamo all'epoca della Rivoluzione francese e del primo Napoleone- gli Inglesi ebbero modo di tradurre in atti concreti un loro precedente disegno di installarsi nella Penisola, possibilmente proprio nella sua propaggine meridionale, onde sfruttarne la posizione strategica, contro Roma cattolica filo-spagnola e filo-asburgica, e contro l'Impero ottomano erede dell'universalismo islamico e costituente una ben definita area geopolitica che esiste tuttora sebbene priva di unità politica. Approfittando della crisi dell'Impero Ottomano già delineatasi nella prima metà del Settecento, gli Inglesi miravano a sottrargli l'Egitto per controllare il Mar Rosso, la porta di accesso all'India di cui l'Inghilterra aveva iniziato la conquista dopo averne estromesso la Francia con la Guerra dei Sette Anni. Installatisi in Sicilia, gli Inglesi erano intenzionati a rimanervi. Se al Congresso di Vienna non vi riuscirono per la ferma opposizione dell'Austria, ottennero tuttavia Malta (tolta dai Francesi ai Cavalieri dell'omonimo Ordine nel 1798). In Sicilia, ottennero, a titolo di compenso per l'aiuto prestato a Ferdinando IV contro i Napoleonidi, la concessione in regime di monopolio delle miniere di zolfo; alla famiglia Nelson fu confermato il possesso del feudo di Bronte, assegnato nel 1799 all'ammiraglio Nelson per avere contribuito a stroncare con la sua flotta la resistenza della Repubblica Partenopea: quel Nelson su cui pesa l'infamia dell'assassinio (ché tale si configura la sua «esecuzione») dell'ammiraglio Caracciolo, contro il quale nutriva, come osservò il Borbone, una invidia inimmaginabile.

Il monopolio dello zolfo siciliano che Ferdinando II cercò invano di sottrarre agli Inglesi, costò a lui l'odio inestinguibile del Palmerston, Ministro degli Esteri di S. M. Britannica e alto dignitario della Massoneria: il principale ispiratore della campagna diffamatrice contro questo grande e misconosciuto monarca italiano, «reazionario» per antonomasia in quanto si era opposto alle ruberie degli Inglesi in Sicilia e perché era, giustamente, riconoscente all'Austria per avergli conservato il possesso dell'isola, preservando l'unità della nazione napoletana ma anche di quella italiana di là a venire. La medesima repressione del moto siciliano del '48 che valse al Borbone l'epiteto infamante di «Re Bomba», fu fomentata dagli Inglesi sempre pronti a sfruttare l'occasione per impadronirsi dell'Isola. In effetti il Borbone, che pure aveva concesso la Costituzione e partecipato con un corpo di spedizione alla prima fase della Iª Guerra d'Indipendenza, che era stato artefice illuminato e sagace della modernizzazione dello Stato con una politica che oggi definiremmo a buon diritto «socialista nazionale» ante litteram, diventava la «bestia nera» degli Inglesi e dei patrioti italiani filo-inglesi, perché in realtà stava operando per una strategia italiana autonoma nell'area medio-orientale, sfruttando la crisi sempre più accentuata dell'Impero Ottomano dopo il conseguimento dell'indipendenza della Grecia e in concorrenza con Inghilterra e Francia.

È questa la spiegazione dell'appoggio di queste due Potenze al Regno di Sardegna per l'unificazione. Va ricordato però che per ben due volte Ferdinando II fu invitato a mettersi a capo dell'Indipendenza italiana: al tempo della questione dello zolfo siciliano e poi dai fratelli Bandiera nel loro testamento politico. Sebbene essi fossero mazziniani (e Mazzini, come Garibaldi e Cavour, era massone e filo-inglese), i Bandiera mostrarono una notevole autonomia di giudizio e di azione. Più ancora l'osservazione vale per il Pisacane, il quale concepì la Spedizione di S'apri al fine di impedire i raggiri con cui il massone Napoleone III mirava a insediare un suo parente sul trono di Napoli (ciò, a detta di Carlo Rosselli, col pieno appoggio di Mazzini). Va ricordato ancora che Garibaldi riuscì a sbarcare a Marsala grazie alla protezione della flotta inglese e autorizzò la durissima repressione del moto contadino di Bronte, da lui stesso istigato con la promessa della «terra a chi la lavora», per tutelare la proprietà dei Duchi Nelson che la detengono ancora oggi.

La politica di spietata pressione fiscale che la Destra Storica attuò soprattutto nel Mezzogiorno per «pareggiare il bilancio», fu motivata dalla pressante necessità di onorare i debiti contratti per le Guerre di Indipendenza con la finanza anglo-francese, che aveva aiutato i patrioti italiani, evidentemente, per ragioni non proprio «nobili» quali potevano ancora apparire gli «immortali princìpi del '89» e la «fratellanza» massonica. In qualche modo accadde ieri quel che sta accadendo oggi, quando bisogna, con una politica di «risanamento delle finanze dello Stato» esercitata nei modi che conosciamo, pagare i debiti contratti per conseguire un fittizio sviluppo economico di tipo consumistico che -secondo la tesi della destra economica- ci avrebbe «salvato dall'incombente pericolo comunista».

Lo strumento di cui gli Inglesi si servirono per controllare l'area geopolitica italiana (e fin dalla prima metà del secolo XVIII individuandone la parte più notevole nel Mezzogiorno), fu dunque indubitabilmente la Massoneria. La prima Loggia italiana, come filiazione diretta della Gran Loggia Madre d'Inghilterra fondata nel 1717, risale quasi con certezza al 1733 ed è la Loggia di via Maggio a Firenze. La seconda importante Loggia d'Italia è quella napoletana fondata da «un Piemontese ed un Francese (...), il primo di mestiere acquavitaro, e il secondo negoziante di drappi di seta», gente difficilmente immaginabile nelle vesti di alti Iniziati in una Loggia che avrà come Gran Maestro il celebre Principe Raimondo di Sangro, che vi fu introdotto dal siciliano Principe di Calvaroso. Le attività della Loggia di Napoli erano talmente sospette da indurre Carlo III a promulgare l'editto del 1751 per mettere al bando la Massoneria, editto concordato col Papa Benedetto XIV che nello stesso anno contro di essa lanciò la scomunica. Documenti fededegni attestano tuttavia che Logge massoniche esistevano in Italia, sparse un po' dovunque e anche in piccoli centri, anche prima del 1733: ne esisteva una a Napoli nel 1728 e una addirittura a Roma nel 1724. Le autorità ne erano informate e le incoraggiavano anzi. Il motivo è presto detto. Era in atto l'ultima fase dello scontro fra protestanti e cattolici culminato con la Seconda Rivoluzione inglese che intendeva escludere il ramo cattolico degli scozzesi Stuart. Le più antiche Logge italiane erano favorevoli ai cattolici Stuart e contrarie al protestantesimo calvinista fautore del liberalismo. «Rito Scozzese Antico» è sinonimo di «cattolico e romano». La fondazione della Gran Loggia Madre d'Inghilterra cui contribuì un personaggio come Horace Walpole, segna l'inglesizzazione del Rito Scozzese Antico, la deviazione dalla Massoneria «operativa» delle origini che si richiamava alle corporazioni dell'antica Roma. La Loggia fiorentina e quella napoletana di Raimondo di Sangro, ne furono la diretta filiazione. È documentato che col pretesto di attività culturali -dall'allestimento di spettacoli teatrali al mercato di opere d'arte- i loro affiliati esercitavano la funzione di spie e di perturbatori dell'ordine sociale vigente, prima per conto dell'Inghilterra, poi anche per conto della Francia.

La nostra ricognizione storica -sia ben chiaro- non ha lo scopo di aprire una polemica sulle vicende più oscure e meno eroiche del nostro Risorgimento, polemiche che oggi risulterebbero esiziali perfino se limitate al piano accademico. L'Unità d'Italia fu comunque un bene. È da richiamare all'attenzione dei nostalgici borbonici il fatto che l'avvento della Sinistra storica al potere fu caratterizzato da uno sforzo, coerente nel tempo ed efficace, teso a neutralizzare, spesso con metodi discutibili ma necessari, la dipendenza del giovane Regno dagli Anglo-Francesi, che ne avevano sostenuto la formazione al solo scopo di sfruttarne la principale delle sue risorse: la funzione geopolitica. La scissione del 1910 che diede luogo alla rinascita del Rito Scozzese Antico come Rito Scozzese Antico Accettato di Piazza del Gesù in aperta contrapposizione col Grande Oriente di Palazzo Giustiniani, ha un suo preciso significato, per quanto contraddittoria sia la figura del suo autore, il calabrese Saverio Fera. Non tutta la Massoneria appoggiò Mussolini, ma soltanto quella di Piazza del Gesù, che non ne ebbe alcun vantaggio, almeno in termini di potere materiale, dopo che, nel 1925, la Massoneria cessò di esistere in Italia. Si ricostituirà, assorbendo quel che restava del Rito Scozzese Antico Accettato, nel '44, poco dopo l'occupazione di Roma da parte degli Alleati. Ricorderemo che la mafia siciliana, da sempre alleata con quel baronaggio da cui proveniva il massone Principe di Calvaroso, non solo aprì agli anglo-americani le porte della Sicilia, ma fu il braccio armato del nuovo separatismo del Finocchiaro Aprile e l'esecutrice materiale della strage di Portella delle Ginestre, fatale riedizione novecentesca dei fatti di Bronte. I rapporti successivi della Massoneria con la mafia sono abbastanza noti e a mio giudizio non limitati alle «deviazioni» di qualche Loggia «coperta». La Massoneria, anche la più «rispettabile», resta nella sostanza una società segreta. Il «segreto iniziatico» solo agli ingenui può essere millantato per quella «riservatezza» che è lecita in qualsiasi famiglia. Esso è ben altro e anzi, oggi, solamente qualcosa di molto simile alla strategia di uno Stato, che, è ovvio, deve restare segreta nelle sue linee fondamentali. La Massoneria, da quando ha cessato di essere anti-Stato, è diventata la struttura sommersa di tutte le democrazie occidentali, un organismo oggi compiutamente anazionale al servizio del capitalismo finanziario. In Italia, per esempio, non si può accedere agli alti gradi della funzione pubblica senza l'appoggio della Massoneria, oppure del Vaticano che è in tutto il mondo occidentale la sola forza ancora in grado di contrastarla. Se vi è stata collusione dei partiti con la mafia, ciò non dipende da un preteso vizio di fondo del sistema partitico, ma piuttosto dalle influenze negative della Massoneria ovvero del contrasto Massoneria-Vaticano. Per spiegarci meglio: la relativa «tolleranza» di certi fenomeni delinquenziali in nome delle cosiddette «superiori motivazioni etico-religiose» propugnate dall'una e dall'altra parte, ha per effetto sempre di favorirne la diffusione consolidando il malcostume e la corruzione come prassi sociale.

Introdurre nell'analisi della funzione geopolitica del Mezzogiorno, accanto alle altre variabili di cui diremo fra poco, la variabile relativa alle strategie reciprocamente confliggenti di Massoneria e Vaticano, è essenziale. Non si può sostenere che, così facendo, si cerchi surrettiziamente di risuscitare la vecchia «teoria del complotto». Non solo qui si nega che l'azione del Vaticano sia in se stessa «complottista», ma si nega anche che possa esserlo consapevolmente, quella della Massoneria. Lo sviluppo inusitato della tecnologia nella società contemporanea ha in generale reso sempre meno importante e determinante il fattore umano, e questo vale a maggior ragione per la Massoneria: già il Croce, ai suoi tempi, ridicolizzava il livello culturale e morale dei Massoni. Oggi più di ieri essi, più che «agire», sono «agiti» da una forza impersonale e a loro ignota che si chiama arrivismo mediante il danaro. Se essi non sono «intelligenti», questa forza a suo modo lo è, e «complotta» non solo contro questa o quella nazione, intesa come retaggio di un passato in cui l'omologazione tecnicizzante non esisteva, ma contro tutta l'umanità. Questa forza impersonale ha una sua logica ferrea che corrisponde a ciò che nella nuova lingua «universale» si chiama «deregulation». È la logica dei sistemi «complessi», cioè artificialmente complicati al fine di favorire la «deregulation».

Secondo la prospettiva qui indicata, che provocatoriamente si potrebbe definire un aggiornamento della «teoria del complotto» (da Donoso Cortés a Malynski, autori peraltro cattolicissimi), è possibile inferire quanto segue e che ha una sua rilevanza in tema di geopolitica.

Ove il secessionismo di Bossi si concretasse e il Mezzogiorno si ricostituisse secondo i confini delle Due Sicilie, con l'aggiunta della Sardegna e sotto controllo statunitense, sarebbe possibile, anzi molto probabile, la ricostituzione del dominio temporale della Chiesa quale era prima di Porta Pia, pressoché secondo i limiti dell'attuale Lazio.

Considerato che alte gerarchie cattoliche hanno avuto per la Lega di Bossi «attenzione e comprensione», quel che stiamo prefigurando non può essere accantonato come semplice fantapolitica.

Aggiungiamo che, ove l'ipotesi si verificasse, ciò equivarrebbe alla definitiva sconfitta del Vaticano nella bisecolare contesa con la Massoneria. Più precisamente, la definitiva alleanza del Vaticano con la finanza internazionale, che lo ricompenserebbe con la «restituzione» di una parte consistente dell'ex-Stato pontificio. E sarebbe la morte irreversibile della nazione italiana.

 

È in questi termini che va oggi inquadrata la questione meridionale e il significato geopolitico del leghismo, che non è soltanto anti-italiano ma anti-europeo. Non esiste solo il leghismo mitteleuropeo di Miglio e Bossi. Ne esiste uno che possiamo definire «neo-borbonico», che si affianca a quello nostalgico di destra di un Alianello, però sostanziandosi dell'apporto della metodologia marxista e invocando una soluzione comunista rivoluzionaria della questione meridionale in senso separatista. Questo leghismo si sviluppò nella seconda metà degli Anni Settanta in Calabria, a Vibo Valentia, attorno alla rivista "Quaderni Calabresi", poi trasformatasi in "Quaderni del Mezzogiorno e delle Isole", quando il gruppo fondatore si allargò diventando un vero e proprio Movimento politico con propagini in Sardegna. Questo Movimento è oggi marginale. Vi militano tuttavia elementi piuttosto validi che costituiscono una potenziale classe dirigente qualora le contraddizioni del Mezzogiorno dovessero esplodere in senso rivoluzionario. Sono propenso a credere che esiti da «guerra guerreggiata» del leghismo separatista, siano più probabili al Sud che non al Nord, vista la frequenza di gravi fatti di sangue, specie, recentemente, a Napoli. Mafia e camorra hanno conosciuto la «deregulation» prima ancora del crollo del comunismo sovietico e hanno contribuito in maniera determinante a provocarlo, secondo modalità a suo tempo descritte da Gorbaciov. Il travaglio interno alla Magistratura, che riflette i rapporti difficilissimi col potere politico ulivista, esso stesso è da collegarsi al collasso del «socialismo reale», ad una difficoltà estrema nel condurre a fondo la lotta contro il sistema mafia-massoneria-politica, ora che, dissoltosi l'impero di Mosca, è venuto meno l'interesse statunitense a mantenere l'unità politica dell'Italia in funzione strategico-militare, essendosi esso concentrato sulla sola Italia meridionale ed insulare, centri del sistema mafia-massoneria-camorra strettamente solidale alla politica anglosassone, come si è visto, fin dagli inizi del secolo XVIII. La secessione del Nord e la sua entrata nella sfera economica della Mitteleuropa, potrebbe servire agli Stati Uniti come merce di scambio per indurre la Germania alla rinuncia a farsi centro propulsore di una effettiva unione politica europea, rompendo la sua intesa con la Francia, sancita di recente dalla costituzione, contro la volontà statunitense, di un corpo d'armata misto franco-tedesco (per intendere il significato di questa iniziativa, bisogna ricordare che se la Germania è forte economicamente, la Francia, fra l'altro Paese membro del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, è dotata di un consistente armamento nucleare.

È pertanto una questione di vitale importanza, per l'Italia nella stessa misura che per l'Europa, mantenere l'unità del nostro Paese. A qualsiasi costo.

La Penisola, nella sua integrità territoriale e saldamente integrata nella Federazione europea, fungerebbe da ponte fra il Nord e il Sud del Mediterraneo; potrebbe, molto meglio di quanto sta già facendo adesso, dare un contributo determinante alla ridefinizione di aree geopolitiche che natura e storia hanno delineato e che sono state stravolte dagli esiti delle due Guerre mondiali.

Le quali aree geopolitiche che occorre ridefinire, per dare solidi fondamenti alla pace nella giustizia (riconoscendo a tutti il diritto a difendersi anche con le armi), sono quelle relative alla penisola balcanica e ai Paesi islamici dal Marocco a tutto il Medio Oriente, considerando però che il mondo islamico arriva fino alle Indie, al confine, cioè, con un'altra grande area geopolitica, quella del Pacifico comprendente Cina e Giappone.

Le due aree in parola corrispondono più o meno ai territori degli ex-Imperi austro-ungarico e ottomano, che sparirono dopo la Iª Guerra mondiale; il primo soprattutto per volontà del Presidente statunitense Wilson e con un manifesto intento destabilizzante nella penisola balcanica, che allora e anche oggi funge da ponte proteso verso il Medio Oriente e la regione petrolifera del Golfo Persico. La Jugoslavia fu creata artificialmente e in funzione anti-italiana, in stridente contraddizione con lo stesso «principio di nazionalità» wilsoniano: quanto artificialmente, a distanza di settanta anni, le tragiche cronache odierne lo confermano, mentre le linee della politica estera italiana fra le due guerre certamente furono stabilite dalle decisioni di Wilson, e dall'acquiescenza interessata ma anche forzata di Inghilterra e Francia, che senza le forniture militari (che occorreva adesso pagare) e l'intervento degli Stati Uniti, non avrebbero potuto piegare gli Imperi centrali. L'area balcanica tende a ricompattarsi, però in senso economico e non anche politico, riunendo i territori austro-ungarici e del II Reich germanico. In controtendenza, i Paesi balcanici di religione musulmana sperano nella Turchia, a sua volta legata agli Stati Uniti anche per la necessità di salvaguardare la propria integrità territoriale da rivendicazioni legate alla questione kurda. È evidente che, sfruttando la delicata situazione turca, gli Stati Uniti possono impedire il ricompattamento politico dell'area balcanica. Devono tuttavia fare i conti con una consistente presenza del fondamentalismo islamico in Turchia.

Nell'area dell'Africa mediterranea e del Medio Oriente asiatico, gli Stati Uniti possono contare, in una condizione pressoché analoga a quella della Turchia, su Paesi come il Marocco, la Tunisia, l'Egitto. Possono anche contare sull'Arabia Saudita, che non è un Paese mediterraneo, ma è di capitale importanza per il controllo del Golfo Persico, da cui peraltro deriva essenzialmente la rilevanza geopolitica dell'area islamica mediterranea e dunque del Mezzogiorno italiano.

Sicuramente antagonisti degli Stati Uniti sono i Paesi controllati dal fondamentalismo islamico: la Libia e l'Irak. Bisognerebbe aggiungere l'Iran, che però è fortemente conflittuale con l'Irak per la questione sciita, che è, per di più, il punctum dolens del fondamentalismo configurandosi come una questione squisitamente teologica. Come che sia, l'Iran sta facendo una politica di riavvicinamento all'Occidente e potrebbe persino essere favorevole agli USA, qualora gli Europei, d'intesa con la Russia, non sapessero muoversi efficacemente, come hanno fatto ultimamente scongiurando l'aggressione anglo-americana contro l'Irak.

Il problema del fondamentalismo, di là da facili condanne moralistiche, è, in termini politici, lo stesso problema dell'Europa: quello di conseguire un'unità di popoli che hanno indubitabilmente le medesime radici etico-culturali, allo scopo di sottrarsi dalla dipendenza a una potenza che, o non ha le medesime radici etnico-culturali (come gli USA rispetto ai Paesi islamici) o non ha le medesime radici culturali (non condividendo gli Europei la completa «deregulation» del sistema capitalistico sostenuta dagli Statunitensi e dagli Inglesi loro naturali alleati, dopo che, alla fine della Iª Guerra mondiale, hanno definitivamente perduto la speranza di esercitare da soli la leadership mondiale).

Gli strumenti di azione politica del fondamentalismo sono il terrorismo e il deterrente delle armi di distruzione di massa, «WMD» secondo la sigla convenzionale.

La giustificatissima preoccupazione degli Europei (e degli Italiani del Sud in specie) è che terrorismo e WMD vengano impiegati contro di essi per responsabilità che appartengono non a loro, ma agli Anglo-americani, qualora la pressione imperialistica di questi ultimi superasse, anche per cause imprevedibili o assai difficilmente controllabili, il limite di tolleranza. Non che i fondamentalisti non siano in grado di distinguere chi è assolutamente nemico da chi lo è relativamente e potrebbe addirittura trasformarsi nel più sicuro alleato. Poiché la loro offensiva non possono portarla sul territorio statunitense, potrebbero ritenersi obbligati a colpire l'Europa, ben consapevoli che l'effetto psicologico delle WMD supererebbe di gran lunga le distruzioni materiali, specie presso popoli che essi credono -forse non sbagliandosi- essere ormai totalmente privi di valori autenticamente religiosi.

Con ciò si è detto -credo- tutto l'essenziale. Tuttavia, sebbene esuli dal tema, vorrei rispondere in anticipo a una domanda che si potrebbe porre. Essa riguarda quali, a mio avviso, dovrebbero essere i futuri assetti geopolitici del mondo, in maniera tale che essi garantiscano la pace per quanto possibile data la natura degli uomini.

Rispondo: essi esistono già nella realtà delle cose. Stravolti dagli effetti delle due Guerre Mondiali, occorrerebbe ricostruirli, eliminando però le incongruenze del passato. Queste aree geopolitiche sono: l'area euro-asiatica da Lisbona a Vladivostok; l'area afro-asiatica dal Marocco al Pakistan e comprendente l'Africa Nera; l'area del Pacifico con la Cina, il Giappone, L'India e l'Oceania; l'area anglosassone con l'America del Nord e la Gran Bretagna; l'area latino-americana. Ciascuna di queste aree dovrebbe essere una unità federativa delle Nazioni che la compongono e dovrebbe essere dotata di proprie forze armate con netta prevalenza delle WMD sull'armamento convenzionale. Non dovrebbe esistere nulla di simile all'ONU e la pace, ove non fosse sufficiente la buona volontà degli uomini pacifici, sarebbe imposta dal reciproco deterrente. Se il deterrente nucleare è stato garanzia di pace relativa nel sistema bipolare vigente prima della dissoluzione dell'Unione sovietica, il sistema pentapolare qui proposto lo sarebbe a maggior ragione. Senza contare le potenzialità che verrebbero a innescarsi in ordine a una organizzazione dell'economia almeno in parte diversa da quella capitalista.

Francesco Moricca

 

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