da "AURORA" n° 49 (Giugno 1998)

SCUOLA E SOCIETÁ

Il totalitarismo neoliberista nella scuola dell'Ulivo

Filippo Ronchi

 

Per chi suona la campanella

Non è stato un anno scolastico qualunque quello che si è concluso alla metà di giugno. Apertosi con gli studenti inferociti in piazza a contrastare la nuova maturità, è proseguito con i riti ormai trentennali delle autogestioni e delle occupazioni. Ma novità autentiche hanno cominciato ad essere introdotte e la sensazione diffusa è che le vacanze estive segneranno soltanto una tregua, prima del crollo della scuola pubblica statale. Sbaglia, infatti, chi pensa che tutto si stia risolvendo in una proliferazione di inutili marchingegni burocratici e compromessi politici. La verità è che siamo in presenza di un cambiamento radicale in senso neoliberista del sistema della formazione, di cui è artefice il governo dell'Ulivo, con la complicità di Rifondazione Comunista. L'attivismo del ministro Berlinguer, dal '96 ad oggi, risulta in tal senso impressionante. Non c'è stato ambito dell'attività scolastica che non sia stato toccato dai suoi provvedimenti: valutazione (abolizione delle schede nelle scuole medie, debiti formativi nelle scuole superiori), esami (nuova maturità), programmi (storia del "Novecento" nell'ultimo anno delle medie e delle superiori), riordino dei cicli (il governo ha presentato il suo progetto), avvio dell'autonomia. A chi lo accusa di non avere un disegno complessivo di riforma e un'idea organica della funzione dell'istruzione nella società italiana attuale, Berlinguer risponde -e questo ci sembra significativo- che non intende affatto rinunciare al «metodo del mosaico», che gli sta in realtà consentendo di ridefinire, tessera dopo tessera, il sistema scolastico.

 

Dietro al Portogallo

I fatti più recenti hanno costituito un'ulteriore dimostrazione di come l'Ulivo e Rifondazione si muovono in tale ambito. Dopo la scelta del Portogallo di innalzare l'obbligo a 16 anni, l'Italia era rimasto l'ultimo paese europeo a mantenere la soglia sui 14 anni. Ciò di fronte ad un quadro complessivo da cui emergeva che:

- il 50% degli Italiani non ha concluso gli otto anni di scuola dell'obbligo;

- al Sud il 15,6% dei giovani dai 14 ai 29 anni è fermo all'istruzione elementare,

- nei Paesi industrializzati la quota dei ragazzi che si diploma è mediamente superiore all'80%, in Italia si ferma a poco più del 50%.

Fino a sei mesi fa, Berlinguer aveva però dichiarato che era impensabile ritoccare l'obbligo scolastico senza una revisione più ampia, che rendesse utili i due anni aggiuntivi di studio. Ed era sempre stata la Sinistra a bloccare la riforma, perché il biennio doveva essere uguale per tutti, senza scelte classiste. Ma dopo gli scandali della giustizia e la decisione del Portogallo, il governo doveva dare un segnale di efficienza, così sono stati spazzati via mesi di dibattito sulla riforma dei cicli. Per il disegno di legge che innalza l'obbligo scolastico è stata chiesta la procedura d'urgenza, con l'intenzione di farlo approvare entro l'estate, ma l'ordinamento della scuola resterà, per ora, immutato, perché la riforma generale che rivoluzionerà la struttura dell'istruzione richiederà ancora quattro o cinque anni, secondo lo stesso Berlinguer.

 

Pupazzate e consenso

Nel contempo il Consiglio dei Ministri ha approvato anche lo "Statuto degli studenti e delle studentesse della scuola secondaria", che abroga del tutto il Regio Decreto del 1925 ancora in vigore. Oltre a stabilire che saranno in sostanza i regolamenti delle singole scuole a individuare «le mancanze disciplinari, le sanzioni, gli organi competenti ad irrogarle e il procedimento», esso prevede per gli studenti la possibilità di ricorrere ad un autorità di garanzia e al provveditore contro le sanzioni inflitte dalla scuola. Pochi giorni prima si era svolta la mitica giornata dei «Ragazzi in aula», durante la quale 515 giovani attentamente selezionati erano stati chiamati a Montecitorio per fare la parodia del Parlamento, presentare proposte di legge, esibirsi scenograficamente come «il futuro buono della nazione». Ben ammaestrati e politicamente correttissimi, i 515 fingevano di essere gli onorevoli deputati del Paese di Bengodi, proponendo le gite scolastiche nei parchi nazionali, le punizioni esemplari per il vandalismo, i docenti specializzati per i portatori di handicap (quelli «tagliati» dall'ultima Finanziaria) e via legiferando. Officiava il rito il Presidente della Camera Luciano Violante, nella veste di garante della Norma Liberaldemocratica. Garantismo e buonismo coatti sono dunque gli strumenti con cui le forze di governo stanno costruendo una base di consenso all'interno delle scuole per l'attuazione dei loro disegni.

 

Parità

Un altro fronte su cui si sono rimesse in gran movimento le varie formazioni politiche liberaldemocratiche è quello della parità per la scuola privata. Incalzato dal Vaticano (il Papa in persona ha chiesto per ben due volte nel giro di quindici giorni lo stesso trattamento tra istituti cattolici e statali), il segretario del PPI, Marini, ha posto la questione sul tavolo di Prodi e di Berlinguer, chiedendo per la parità la stessa corsia preferenziale di cui ha beneficiato l'innalzamento dell'obbligo. I centristi del Polo, Forza Italia, AN e l'UDR di Cossiga sostengono a spada tratta le richieste del clero, fornendo l'ennesima prova (se ancora ce ne fosse bisogno) di quale tipo di «opposizione» essi rappresentino. In merito al problema, Cattolici, Confindustria e Sinistra liberaldemocratica si trovano per l'essenziale, del resto, sulla medesima lunghezza d'onda. Giorgio Vittadini, presidente della Compagnia delle Opere (associazione cattolica nata da Comunione e Liberazione, che raduna oltre 10.000 aziende) ha dichiarato esplicitamente che sul tema scuola pubblica-scuola privata «passa il confine tra uno Stato liberaldemocratico di democrazia avanzata e uno Stato ancora impregnato di statalismo», ed ha avviato insieme al sindacato autonomo SNALS e alle varie associazioni di genitori cattolici una petizione popolare che punta a sostenere con un milione e mezzo di firme la proposta di legge già presentata da Berlinguer sulla parità scolastica, con l'obiettivo di portarla all'approvazione definitiva entro l'anno. La Confindustria, da parte sua, sostiene da sempre attraverso convegni e interventi di «esperti» sul proprio quotidiano "Il Sole-24 Ore", la necessità di un sistema integrato con le argomentazioni tipiche del capitalismo cosmopolita. Tale sistema sarebbe, infatti, l'espressione più compiuta della «società aperta» a più visioni del mondo filosofiche e religiose, a differenti tradizioni, a più valori. E viene -naturalmente- portato ad esempio il liceo israelitico romano, strumento fondamentale di trasmissione della visione del mondo della comunità ebraica, di cui si paventa la cancellazione se non verrà al più presto approvata la legge sulla parità scolastica. Per la Confindustria è invece la scuola pubblica statale di tutti e per tutti che costituisce la quintessenza dell'intolleranza, distrugge la diversità e annienta le fonti del pluralismo. E questo perché i licei sarebbero «inzuppati di ideologia marxista». Insomma, anche tralasciandone l'evidente infondatezza, di simili affermazioni comprendiamo che la «società aperta» è in realtà sbarrata a coloro i quali ancora osano portare avanti un discorso critico sul capitalismo. L'ira provocata dall'idea che possano sopravvivere nuclei di resistenza al Pensiero Unico induce gli «esperti» della Confindustria a cadere in clamorose contraddizioni. Essi svelano, infine, l'origine puramente ideologica delle loro posizioni quando affermano che la crisi del nostro sistema scolastico è dovuta alla mancanza di competizione, poiché la «competizione è l'anima della scienza, della democrazia e del mercato» e «chi si oppone ad essa deve avere chiara la consapevolezza di aver fatta una scelta: quella della via della caverna» ...

 

Il ruolo di Rifondazione Comunista

In questo contesto emerge intanto con chiarezza quale è la funzione svolta da Rifondazione Comunista all'interno dell'attuale blocco di potere. Il 31 maggio essa ha organizzato, insieme a Cobas, a Unicobas -due sindacati nati dal movimento dei «prof. ribelli» del 1988- e ai comitati Scuola per la Repubblica, una manifestazione nazionale di protesta a Roma. Nel variegato corteo si sono ritrovati professori ex-sessantottini e non, sindacalisti della CGIL delusi (a titolo personale hanno partecipato anche esponenti della minoranza di quel sindacato), tantissimi precari, personale tecnico e ausiliario, docenti delle scuole comunali. Il tema unificante era, appunto, il «no» alla legge sulla parità. Ma mentre quel 31 maggio Scipione Semeraro, responsabile scuola di Rifondazione Comunista, tuonava «Niente governo se ci saranno i finanziamenti alle private», il 12 giugno il segretario del suo partito, Fausto Bertinotti, precisava «Noi siamo contro provvedimenti diretti o indiretti per il finanziamento della scuola privata. Altro discorso è se l'agevolazione fiscale riguarda l'acquisto per tutti di libri scolastici». Traduzione: stiamo trattando per concedere la neutralità di Rifondazione. Ed in effetti i «tecnici» del governo e del PPI hanno già elaborato un'ipotesi di compromesso. L'ipotesi prevede da una parte la detrazione fiscale di una quota delle spese sostenute dalle famiglie che iscrivono i loro figli alle scuole parificate; dall'altra una sorta di sgravio fiscale per le spese dei libri sostenute da quelle famiglie che optano per le scuole statali. Questa sarebbe la base di partenza per una «trattativa» con il PRC che vedrà impegnato direttamente Prodi. D'altra parte, vari esponenti del PPI hanno sornionamente fatto notare che i popolari stanno chiedendo di realizzare quello che sulla scuola è stato scritto nel programma dell'Ulivo, e che lo stesso Bertinotti ha dichiarato pubblicamente la sua stima e il suo apprezzamento per l'insegnamento cattolico. Allora perché vuole trasformare le scuole cattoliche in scuole d'élite, dato che se non riceveranno sussidi potranno essere scelte soltanto da chi ha i soldi? Altro discorso sarebbe stato se avesse affermato di non essere d'accordo con le scuole dei preti. Ma questo Bertinotti non l'ha mai detto, appunto. Se non ci saranno più finanziamenti per l'istruzione privata, le scuole cattoliche che non hanno fine di lucro e tengono rette basse saranno costrette a chiudere e resteranno solo le scuole per i figli dei managers, per i ricchi. E così il segretario di Rifondazione Comunista, maestro di tattica politica, è stato «scavalcato sul sociale» (si fa per dire) dagli eredi di don Sturzo.

 

Chi glielo dice a Ciampi?

Sia l'innalzamento dell'obbligo a 16 anni, sia la parità scolastica implicano dei costi, il che non è un aspetto di poco conto in un paese come l'Italia, dove i governi neoliberisti succedutisi nell'ultimo decennio hanno costantemente diminuito le spese per l'istruzione. Secondo calcoli attendibili saranno necessari dai 2 ai 3 mila nuovi insegnanti e molte aule per assorbire i circa 50 mila ragazzi che ogni anno non si iscrivono alle superiori. Poi c'è la richiesta di Marini, proprio per mandare un segnale al Vaticano, di inserire i soldi per la parità scolastica nella prossima Finanziaria. Ma il ministro del Tesoro Ciampi -ligio esecutore delle direttive del Fondo Monetario Internazionale e della Deutsche Bank- sembra non voglia saperne di aprire i cordoni della borsa. Riemerge, così, per bocca di Giancarlo Lombardi, ex-ministro della Pubblica Istruzione del governo Dini, nonché ex-responsabile del settore scuola della Confindustria, l'idea delle convenzioni. Un apposito organismo centrale di valutazione dovrebbe stabilire quali sono le scuole che rientrano nel sistema nazionale scolastico, a prescindere dal fatto che siano pubbliche o private. Queste scuole riceverebbero dallo Stato una specie di riconoscimento della loro qualità per quanto riguarda le strutture, il corpo docente, i programmi. Una volta che anche una scuola privata dimostrasse di avere queste caratteristiche di qualità, si stabilirebbe un regime di convenzioni, meno costoso per lo Stato rispetto alla fiscalizzazione e al bonus libri, perché si potrebbe chiedere, a chi vuoi mandare i propri figli nelle scuole non statali, un piccolo contributo, visto che desidera che essi ricevano una particolare educazione. Contributo statale, costi inferiori e contributo dei genitori permetterebbero alla scuola privata di sopravvivere. Una simile impostazione è stata, in sostanza, fatta propria anche dai Democratici di Sinistra, secondo cui occorre tener conto del servizio pubblico che svolge la scuola privata e prevedere per questo forme di sostegno da parte dello Stato, ma nel quadro di uno sforzo nazionale a favore dell'educazione in tutta la scuola.

 

Cercare un senso

Nella attuale fase di reale trasformazione del sistema scolastico italiano, chi intenderà opporre qualche argine al degrado della funzione educativa potrà farlo soltanto se preliminarmente sarà riuscito a cogliere il significato profondo di ciò che sta avvenendo. La scuola dell'Ulivo è, infatti, figlia di un contesto storico di enorme portata, di cui la superficialità e il vuoto che la contraddistinguono sono semplici epifenomeni. Si tratta del totalitarismo neoliberista, la cui ideologia, travestita da concretezza, suscita un generale conformismo. Il neoliberismo consiste nella riduzione del mondo umano alla macchina economica e nella riduzione della macchina economica alla logica del profitto mercantile. In questo quadro, ogni sfera ancora statale, organizzata cioè per la realizzazione di valori sociali, costituisce un costo finanziario da comprimere e un compito politico a cui è vantaggioso sottrarsi. La compressione dei costi finanziari, però, non va confusa con l'eliminazione degli sprechi, perché gli sprechi sapientemente indirizzati sono funzionali ai poteri di cui il neoliberismo è espressione. Quando si parla, così, di «razionalizzazione del sistema scolastico», non si pensa affatto ad eliminare le sue inefficienze educative, ma si pensa ad una contrazione delle risorse che lo Stato vi ha finora convogliato. Il totalitarismo neoliberista impone di concentrare l'impegno economico e politico dello Stato esclusivamente al servizio delle strutture mercantili e finanziarie. Di qui nasce la negazione ulivista (ma anche polista e leghista) dell'idea stessa di scuola nazionale. In questo senso la tanto declamata «autonomia scolastica» è l'espressione concreta della rinuncia dello Stato a definire il patrimonio culturale e valoriale con cui alimentare la vita collettiva, ad organizzare la sua pubblica trasmissione da una generazione all'altra, a considerare l'educazione un compito nazionale. L'abdicazione dello Stato viene presentata come «lotta al burocratismo che cancella gli individui» (parole di Berlinguer) e offerta come sollecitazione alle energie creative degli insegnanti. Questa mistificazione ideologica viene accettata, e capillarmente riallestita, dai numerosi operatori scolastici aderenti ai partiti e ai sindacati dell'Ulivo, antropologicamente inclini a sfruttare qualsiasi occasione per ritagliarsi ruoli di micropotere nei loro ambienti di lavoro. Degli effetti devastanti di una simile impostazione, per adesso, sono abbastanza consapevoli soltanto quei soggetti antagonisti che ancora tentano di opporsi all'interno del mondo della scuola. Proprio in questi ultimi due o tre anni si è visto infatti come l'avvio dell'autonomia abbia convogliato -al fine di vincere la «competizione» tra gli istituti per accaparrarsi l'area più vasta e più redditizia possibile di «utenza»- sempre più le energie verso una proliferazione di attività di immagine, di produzione cartacea di strabilianti «progetti» educativi, sottraendo tempo ed impegno all'educazione vera, che si realizza soltanto nella relazione diretta e nella comunicazione interpersonale con gli studenti. La crescente conflittualità tra le scuole e tra i lavoratori stessi di una medesima scuola è un altro frutto avvelenato dell'autonomia scolastica e delle connesse differenziazioni di status e di reddito tra fasce distinte di educatori. Come ha annunciato Berlinguer, il governo sta lavorando alla preparazione di una nota d'indirizzo -in vista della trattativa per il rinnovo del contratto degli insegnanti e del personale ATA- nella quale si assume il fatto che la nuova legislazione ha introdotto compiti e professionalità aggiuntivi e che di questo bisognerà tener conto creando stipendi diversificati.

 

Che cosa sarà la scuola dell'Ulivo

Lo smantellamento della pubblica istruzione, richiesto dalla logica neoliberista, non avrebbe potuto essere compiuto con altrettanta efficacia dalla «Destra», troppo rozza e priva di personale adatto nel mondo della scuola. Anche in questo caso, quindi, possiamo vedere come, nella fase attuale del capitalismo, il ceto politico più organico agli interessi socialmente distruttivi delle oligarchie economiche sia proprio quello della «Sinistra». L'Ulivo, con la sua appendice di Rifondazione Comunista, è insomma strumento del totalitarismo neoliberista, che esige la liquidazione del vecchio sistema scolastico nazionale. La scuola dell'Ulivo sarà, dunque, prima di tutto una scuola con meno insegnanti, meno personale non docente, meno costi per lo Stato. Sarà una scuola in cui i professori lavoreranno, sì, molto di più, ma per attività di gestione interne e per intessere relazioni di potere all'interno e all'esterno dei loro istituti, impegnandosi in feroci lotte di cordata. Dal punto di vista dei contenuti, la «riforma dei cicli» e l'autonomia sono i due pilastri di un progetto coerente di annientamento di quanto resta, in particolare, della scuola secondaria superiore, per sostituirla con una moderna «scuola per consumatori». Essa è quella che si ispira al modello della scuola americana di massa, e che si propone di avviare al consumo il cliente-studente fornendogli prodotti dequalificati, ma rassicuranti e «democratici». Inseriti nello spazio in cui ogni cultura e ogni dato culturale ha esattamente lo stesso valore di tutti gli altri (società aperta), i prodotti culturali saranno pronti per essere afferrati e portati sui banchi dei supermercati. Una simile impostazione, lungi dal formare una barriera all'omologazione e all'appiattimento, diverrà la base ideologica più adatta al capitalismo del XXI secolo. Si formeranno, così, figure che possono ignorare i processi produttivi reali e fare a meno di qualunque tipo di cultura generale. Da una parte, quindi, la nuova scuola dell'Ulivo tenderà, a «deconcettualizzare», cioè ad eliminare dall'insegnamento gli strumenti intellettuali tradizionali, fondati sui concetti teorici, sugli apparati critici, utili per risolvere i problemi; saranno preferite le soluzioni già pronte, le istruzioni per l'uso. Dall'altra una riforma disancorata da ogni idea di asse culturale dell'educazione, mirante soltanto alla frantumazione e alla compressione dei costi del sistema pubblico nazionale dell'istruzione, sarà fonte perenne d'inefficienze organizzative. I «test» multidisciplinari, gli insegnamenti per «moduli», i «monti ore» per materia su base annuale anziché settimanale, la sostituzione delle vecchie classi di alunni con non meglio precisate «unità elastiche di studio» smonteranno congegni organizzativi collaudati e suggeriranno nuove situazioni che, non essendo legate ad alcuna idea di valori culturali da trasmettere, saranno solo più complicate da gestire. Gli insegnanti ben presto si renderanno conto di quanta attenzione, energia, tempo in più dovranno dedicare non a fare il loro mestiere, cioè ad insegnare, ma a far funzionare il qualche modo le comunità scolastiche. La scuola dell'Ulivo sarà, in conclusione, un'area di parcheggio dei giovani a basso costo pubblico, aperta alle scorrerie degli interessi privati, lacerata dalle competizioni interne e tenuta in piedi alla meno peggio dai gruppi locali di presidi e docenti faccendieri, esperti in finzioni pedagogiche e ben ammanigliati. Come vuole il totalitarismo neoliberista.

 

Che fare come Sinistra Nazionale

La portata e l'ampiezza dei processi storici in atto rende, come è ormai evidente da tempo, estremamente difficile la costituzione di un fronte antagonista. In questa fase è ipotizzabile, nel mondo della scuola, un'azione su alcuni punti specifici ma in grado di qualificare la proposta e l'identità di una Sinistra che voglia essere alternativa e nazionale. Eliminazione del precariato e stabilità del posto di lavoro per tutti, in primo luogo, perché il mestiere di educatore richiede una cura, una concentrazione e una continuità di relazione assolutamente incompatibili con la figura dell'insegnante malpagato o irregolarmente pagato, sottoposto a forti disagi, continuamente sbalzato da una scuola all'altra. Riduzione del numero degli alunni per classe, perché le classi sovraffollate vanificano la possibilità di realizzare qualsiasi progetto educativo. Nuove disposizioni amministrative atte a legare i docenti non ai singoli istituti in cui operano, ma al sistema educativo nazionale. Introduzione di un sistema di individuazione e di prepensionamento degli insegnanti incapaci. Ma la difesa della funzione educativa non sarà in ogni caso possibile al di fuori della consapevolezza della necessità di combattere la logica complessiva del totalitarismo neoliberista.

Filippo Ronchi

 

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