da "AURORA" n° 50 (Luglio - Agosto 1998)

APPROFONDIMENTO

 

Apocalisse

(prima parte)

Francesco Moricca

 


 

«Furono messi vivi in uno stagno di fuoco fiammante per zolfo. Gli altri furon uccisi dalla spada che usciva dalla bocca di colui che stava sul cavallo; e tutti gli uccelli si saziarono delle loro carni»

"Apocalisse", XIX, 20-21

 


 

«La luna e l'anno arrivano e corrono via. E così il giorno, e il vento.
Anche la carne corre via verso il luogo della pace»

Poesia degli Indiani d'America

 


 

Varie e forse, non causali somiglianze fra la fine del primo Millennio e quella del secondo, nonché fra le teorie millenaristiche medioevali e le contemporanee non tutte da ricondursi alla moda del New Age, ci inducono alle riflessioni che seguono. Che però sono causate anche da uno stato di disagio personale. Il Lettore è avvertito pertanto a che sia dato il giusto valore a un certo qual tono apodittico che caratterizza questo più che altri nostri precedenti interventi. Tale apoditticità di tono può avere soprattutto una valenza «terapeutica». Ci rivolgiamo in particolare a coloro che sono della nostra stessa area. Non si voglia vedere una semplice e fegatosa polemica contro gli avversari, né un tentativo di «seduzione», per mezzo di una ostentata sincerità, verso coloro che da sinistra mostrano interesse per il nostro movimento ma sospettano noi di machiavellismo. Diciamo che a nostro modo siamo machiavellici, atteso che è possibile un «uso machiavellico» della sincerità come contrario di quello della insincerità. Sempre che si creda nella potenza della verità quanto, per natura, si sia letteralmente incapaci di astuzia ma si abbia un infallibile istinto per riconoscerla.

 

Della violenza: alle origini del vecchio e del nuovo millenarismo

Ormai «addestrati» a non aver più alcuna certezza, comprendiamo che quanto si è appena detto, possa suonare almeno irritante per chi ha iniziato a leggerci. Ma siccome supponiamo che i nostri Lettori non possono essere di quelli che anche la lettura intendono come momento edonistico, fidiamo nel loro stoicismo e ci scusiamo della nostra crudezza.

Abbiamo detto, ripetendo quello che ormai è diventato un luogo comune, che l'uomo occidentale non ha più certezze, in definitiva e a prescindere dall'individuazione più o meno opinabile della causa di questo dato di fatto.

Ma è da chiedersi se mai in realtà ne abbia avute: perché ciò che si possiede veramente non può giammai andare perduto. Se è successo, vuol dire o che la certezza non corrispondeva a verità, o che certezza se ne aveva poca. Liberarsi di un errore, per quanto «doloroso», non rispondente al freudiano «principio del piacere», è sempre un bene. Dobbiamo comunque darne riconoscimento alla «scienza» che ci ha «addestrati» al radicale scetticismo. Che per noi non soltanto non è un bene ma è il male, in quanto il cosiddetto «antidogmatismo della scienza» implica esso stesso il dogma di uno scetticismo il quale, se ancora con Cartesio e Galilei poteva dirsi «metodico», oggi è diventato indubbiamente ontologico. In ciò la cattiva coscienza dello «scienziato» che pretende di sconfiggere il «fanatismo teologico» mentre in realtà vi sostituisco soltanto il proprio, per una sete di «potenza» che è almeno pari a quella, vera e presunta, dell'«uomo di Dio».

È in questa situazione dolorosa quanto falsa che da sempre hanno germinato le «attese messianiche» e le relative concezioni «apocalittiche» sebbene, a rigore, le une e le altre come comunemente le intendiamo, appartengano alla concezione giudaico-cristiana che le ha caricate di significati ben precisi, collegati alla stessa visione «rettilinea» della storia che è alla base delle storicismo moderno e che è opposta a quella «ciclica» propria ad altre civiltà non meno evolute di quella giudaico-cristiana.

Nelle civiltà non riconducibili a quella giudaica (precisamente a quella decadente e antitradizionale che inizia col profetismo e in cui si esprimono le forme primitive del pensiero apocalittico), ciò che di tragico emerge nella vicenda umana in certi momenti di crisi storica, è vissuto come ineluttabile nel senso di una giustizia superiore che entra in azione quando gli uomini coi loro ripetuti «errori» ne abbiano turbato il corso.

Il dolore è quindi accettato come condizione per il ristabilimento dell'armonia cosmica. La quale in sé stessa non è suscettibile mai di mutamento. Il suo ristabilimento è solo «in apparenza», secondo il mito platonico della Caverna, «opera degli uomini». In questo senso giustamente Nietzsche parlò dell'«eterno ritorno» che Mircea Eliade documentò ampiamente con una accurata ricognizione nel campo dell'«antropologia culturale». Così a differenza di quanto accade presso ebraismo e cristianesimo, lo stesso Zeus non può mutare il «decreto delle Parche». Le Parche e le Erinni-Eumenidi non sono altro che le terribili custodi-vendicatrici dell'armonia cosmica. Inoltre, per restare nell'ambito della religione greco-romana, non è concepibile quel gratuito «accanimento» della divinità contro l'uomo giusto che si trova nel biblico libro di Giobbe, le cui disgrazie da altro non dipendono che da una «scommessa» fra Jahwè e Saitan. Se gli dei «pagani» perseguitano qualcuno, è perché sono stati «offesi» o perché «devono» restaurare l'ordine minacciato dalla malvagità umana oppure da una «ybris» per qualche verso «difettosa».

Per tutti questi motivi (e soprattutto perché l'uomo antico si sente egli stesso un dio), non si può provare «risentimento» nei confronti degli dei e la «bestemmia», nel senso giudaico-cristiano, non è conosciuta.

La «creazione» stessa è inconcepibile e il Demiurgo platonico è una divinità inferiore, a un di presso l'equivalente di un «folletto» della mitologia germanica o di un «gin» della teologia araba pre-islamica. La divinità degli Indo-Arii non può, a rigore, nemmeno ritenersi il principio ordinatore del Caos originario. Il contatto col Caos la contaminerebbe, e il Caos stesso è in un certo senso una divinità in quanto le si oppone: è una sorta di «buco nero» della divinità, quali appunto sono, presso l'induismo, Durga e Kali. Il politeismo «pagano», nella prospettiva esoterica, non è affatto in contraddizione col monoteismo. Se noi immaginiamo l'«unico Dio» come un cristallo sapientemente tagliato, i «vari dei» altro non sono che le «sfaccettature» di questo cristallo, la cui «luce» si scinde nei sette colori fondamentali e nelle infinite loro «sfumature» e «combinazioni».

Abbiamo detto quanto basta a dare un'idea passabilmente chiara di alcune sostanziali differenze fra il cristianesimo (coi «residui» irriducibili della sua componente giudaica) e il cosiddetto «paganesimo» (costituente l'altra componente del cristianesimo).

Tuttavia, ciò che distingue nella maniera secondo noi più rimarchevole le due religioni, è la mancanza, nel «paganesimo», di quel «risentimento» che invece è ben presente nella «coscienza cristiana» e rende sospetta tutta quanta la più o meno «naturale» propensione all'«amore» del cristiano nonché la teologia corrispondente. La letteratura apocalittica, a cominciare dai falsi Libri Sibillini, non è altro che il frutto del «risentimento» degli Ebrei, non soltanto Zeloti, nei confronti dei Greco-Romani o «Gentili». Se il cristianesimo paolino può considerarsi una ribellione contro il «risentimento» dei Giudei, ribellione nonostante tutto molto «risentita», visto che Gesù venne tradito dallo Zelota Giuda e giustiziato per volontà dal popolo d'Israele in luogo dello Zelota Barabba, non può essere sottovalutato che un testo così scopertamente intriso di zelotismo e di profetismo vetero-testamentario come l'Apocalisse, venga introdotto come conclusivo del Nuovo Testamento e attribuito all'Evangelista Giovanni (un'attribuzione che ci convince assai poco, dato che l'Autore del Quarto Evangelo ci sembra più vicino alla spiritualità della migliore Gnosi pagana che non alla peggiore tradizione profetica, e in ogni caso, non può dirsi neanche un tiepido simpatizzante dello zelotismo).

Il Millenarismo medioevale certamente si ricollega alla letteratura apocalittica, non soltanto, crediamo, a quella «ortodossa» giovannea. I suoi legami col sovversivismo del cristianesimo primitivo sono poi evidenti, come dovrebbe esserlo il fatto che il Millenarismo anticipò la Riforma protestante e spinse il Rinascimento tedesco a contrapporre una «classicità giudaica» a quella greco-romana sostenuta dal Rinascimento italiano e in genere latino. Il «risentimento», per quanto mitigato da una notevole sensibilità umana e da un grande talento teologico, è presente sia in Gioacchino da Fiore che nel «ghibellino» Dante. In quest'Ultimo, anzi, trova espressione poetica specialmente nelle «sadiche» figurazioni dell'Inferno.

Si può pertanto concludere che, essendo il «risentimento» alla base di tutta la letteratura apocalittica a partire dai libri profetici dell'Antico Testamento ed essendo la tradizione vetero-testamentaria una parte non certo inessenziale del cristianesimo (dello stesso cattolicesimo romano), il «risentimento» permea di sé la civiltà cristiana, in essa rientrando anche le forme del pensiero occidentale «atee», che proprio per il fatto di «porsi in contraddizione» col cristianesimo non si accorgono di esserne tanto più condizionate. Poiché la concezione «rettilinea» della storia ha origine col giudeo-cristianesimo, quasi tutte le espressioni dello storicismo moderno, sia borghesi che proletarie, sono pesantemente influenzate dalla mala coscienza del «risentimento», senza cui non si possono comprendere le valenze meta-economiche del concetto di «lotta di classe», il quale certamente Marx apprese dal pensiero liberale. Se quindi è giusto difendere Marx dalle accuse dei suoi avversari borghesi (tanto più quando esse si colorano ipocritamente di cristianesimo), è altrettanto giusto rilevare nel suo «materialismo storico», al di là dei suoi paludamenti «consumistico-scientifici», la manifestazione più aggiornata della letteratura apocalittica e del Millenarismo medioevale. Questo va detto allo scopo di «aprire gli occhi» a quanti in perfetta buona fede credono ancora nella «modernità» dei presunti «valori» del comunismo. Laddove s'annida il «risentimento» non possono esistere neanche le premesse potenziali di un sistema di valori. «Rifondare» il comunismo è una formula assolutamente vuota di significato. Anche ove, malignamente, la si intenda come «rifondare il risentimento». Perché a ciò basta -e avanza- l'azione del «capitalismo trionfante».

 

La destra «contaminata»

Se il "risentimento" nasce a sinistra, i suoi frutti più avvelenati li fa maturare a destra. Una simile proposizione è esatta, tuttavia, quando non si dimentichi l'origine del «risentimento» come si è poc'anzi delineata; e si rifletta altresì sul fatto che l'affermazione del cristianesimo sul «paganesimo» greco-romano non è funzione di una sua pretesa «superiorità», ma della crisi del «paganesimo», crisi che il cristianesimo non determinò affatto, semmai contribuì ad accelerare verso esiti comunque inevitabili (solo in questo senso può condividersi la tesi gibboniana sulla «caduta dell'Impero romano»). Il «risentimento», sebbene temperato da angoscia cristiana ovvero intonato a un beffardo voltairianesimo «rovesciato», pullula in grandi Autori della Restaurazione quali Donoso-Cortés e Joseph de Maistre. A un livello di consapevolezza critica, accompagnato dal tentativo di emendarsene cercando una forse impossibile convergenza fra «neo-paganesimo» e cristianesimo cattolico, lo ritroviamo nell'ambientazione e nella psicologia dei personaggi delle jüngeriane "scogliere di marmo".

In effetti la destra, economica e non, si costituisce in conseguenza dell'emergere della sinistra, all'epoca della rivoluzione francese. Questo avvenimento «epocale» (in senso negativo, perché sembra che a tutte le «rivoluzioni» dell'età moderna e contemporanea siano seguite realizzazioni che ampiamente contraddicevano i programmi e le aspettative delle «forze rivoluzionarie») fu possibile per l'esaurirsi endogeno di un «ordine» preesistente, la cui causa principale consiste nella decadenza di quella «Nobiltà» ai cui valori tutti gli esponenti del pensiero di destra (conservatori, reazionari, rivoluzionari) dichiarano di ispirarsi. Come nel caso del cristianesimo, i «meriti» della sinistra sono semplici funzioni dei demeriti della pretesa «destra eterna» di cui quella storica dovrebbe essere «approssimazione fenomenica».

Perché la destra giunga a questa consapevolezza, veramente «critica» in quanto sostanzialmente autocritica (impersonale, aliena da «cristiane autoflagellazioni»), bisogna attendere, agli inizi del XX secolo, Autori che, scontrandosi con la modernità, vi si sono comunque confrontati rendendosene partecipi: Autori come Guénon, Evola, Jünger.

Bisogna riflettere, a questo punto, sul fatto che le «idee» della destra furono realizzate da Mussolini, che era e mai cessò di essere un uomo «di sinistra». Usiamo le virgolette, volendo indicare che Egli è per noi l'uomo della giustizia senza «risentimento». Il quale deve essere aperto verso il problema sociale e lo stesso «progresso» nella misura in cui può contribuire a risolvere quel problema, epperò concependo il rapporto fra il Valore della giustizia (che è un'entità metafisica) e la realizzazione della Giustizia distributiva (che è cosa fisicissima), in modo che quest'ultima non coincida con una «diversa distribuzione dell'ingiustizia». Se Egli fu ed è ancora considerato un «traditore» e un «opportunista» da coloro che rappresentano la cosiddetta «vera sinistra», è perché essi mai sono stati in grado di andare oltre la «visione di classe», oltre l'«interesse della classe», oltre il «risentimento» in definitiva. Così, poiché secondo costoro che si pretendono depositari della verità (epperò della verità del Fatto e non di quella del Diritto) il risentimento è giusto, (è «fonte di diritto» in quanto non esiste altro che il «diritto della forza»), chiunque si ponga fuori dalla logica del «risentimento» o mente per opportunismo ed è perciò un traditore, o è uno sciocco (un «idealista») che merita disprezzo. Sennonché di Mussolini si potrebbe dire che fu un «idealista» ma certamente non uno sciocco. Non lo si può, pertanto disprezzare ma bisogna accontentarsi di odiarlo. Tanto più in quanto gli esponenti della «vera sinistra» sanno bene che mentre Lui combatteva contro le massime Potenze del capitalismo, loro, ieri come oggi, ne erano validi anche se infidi alleati. Dietro l'odio immortale per Mussolini v'è dunque la cattiva coscienza della «vera sinistra», la massima espressione del «risentimento». Ciò spiega Piazzale Loreto. Che non fu affatto l'inspiegabile errore di un «popolo civilissimo», che l'orrore della guerra civile riporta alla «barbarie ancestrale», ma piuttosto l'espressione della barbarie della «civiltà» che trova necessariamente solidali «ricchi» e «poveri» contro chi si è levato in piedi per difendere la Giustizia, che ha osato identificare la missione della propria patria «proletaria» con la missione di diffondere presso tutte le altre patrie l'idea romana della Giustizia; in ciò riprendendo Gioberti e Mazzini, senza tuttavia rigettare la lezione di Marx e di tutta la sua scuola, dando così, anche sul piano intellettuale, la prova irrefutabile di aver vinto il «risentimento»; anche il proprio, quando si voglia malignamente insinuare che nella infanzia e nella giovinezza lo abbia conosciuto. E ciò per noi sarebbe motivo sufficiente per attribuirgli una «intelligenza» di gran lunga superiore a quella degli «intellettuali» che continuano ad accusarlo di «dilettantismo» dall'alto della loro «superiore cultura». Quanto agli intellettuali della «vera sinistra» segnatamente, essi sanno bene che l'ultimo atto politico di Mussolini fu quello di consegnare agli esponenti di sinistra del CLN quel potere che per venti anni avrebbe esercitato da «opportunista e traditore della causa proletaria», fornendo così dinanzi alla Storia la prova irrefutabile d'essere stato, magari anche «idealisticamente», il servitore della Giustizia, al di sopra di qualsiasi sospetto di «risentito» machiavellismo. Ma questo proprio doveva suscitare nei suoi «ex-compagni» il massimo del «risentimento»: essi che moltissimo potevano sulla coscienza popolare, permisero quantomeno lo scempio di Piazzale Loreto. Sicché francamente concordiamo col seguente giudizio di F. G. Fantauzzi ("Aurora" n° 49): «Un Togliatti che prepara e fa approvare un'amnistia destinata a favorire i fascisti non è in alcun modo credibile; anzi deve essere precisato una volta per tutte che questa è una delle tante menzogne rispolverate ultimamente da certo dolciastro buonismo (...) Eppure, nella pubblicistica ufficiale, quella dell'atto di umana clemenza di Togliatti per i fascisti, è accreditata come una verità, rivelata» (cfr. altresì di E. Landolfi "Quel Togliatti nazionalcomunista è esistito davvero?", in "Aurora" n° 47).

Non dovrebbero esser necessari ulteriori argomenti per spiegare come il «risentimento» finisca col contaminare la destra e sia un fenomeno speculare del «risentimento» della sinistra.

Ma se il «risentimento» è comprensibile e per taluni versi anche «giustificabile» nell'uomo di sinistra a qualsiasi livello, dovrebbe essere evidente, per il taglio del nostro discorso, che non può esserlo in alcun modo nell'uomo di destra: in questo senso noi possiamo riconoscere una certa fondatezza alle stesse tesi sull'«Ur fascismo» di Umberto Eco, quando egli accusa di una generica «barbarie» il «fascista eterno» (come già aveva fatto K. Popper mettendo sullo stesso piano Platone e Marx !!!). Noi ci vantiamo di esser più precisi: questa «barbarie» non è altro che la barbarie del «risentimento»; è questo e non altro; di più, noi non temiamo di affermare che personalmente questa barbarie tanto la conosciamo quanto cerchiamo di respingerla da noi considerandola certissimamente come il vero Nemico. Però la «vera sinistra» ciò non intende, rispondendoci con un «buonismo» che ci indigna. È questo un meccanismo perverso con cui la cattiva coscienza della «vera sinistra» ci inchioda e reinchioda sulla croce del «risentimento». Ma è a questo punto che si misura la qualità del «fascista eterno»: deve riuscire a estinguere in sé stesso il «risentimento» tutto da solo. Ma senza «rendere bene per male», opponendo al «buonismo» di sinistra un «buonismo» di destra. Ma essendo ben conscio che questo del «rendere bene per male» è proprio l'originario e falso «buonismo» del cristianesimo, di cui quello attuale della «vera sinistra» al potere è proprio la manifestazione neo-millenaristica che sarà celebrata con l'imminente Giubileo. Se un consiglio possiamo permetterci, è il seguente: occorre ristudiare la storia dei due millenni dell'«era volgare» come si trattasse di un «arco» della «circonferenza», simboleggiante il Ciclo, che dal cristianesimo conduce al bolscevismo, bolscevismo inverantesi grazie all'anarco capitalismo piuttosto che grazie al comunismo secondo una complessa dinamica di forze tutte riconducibili al «risentimento».

È un consiglio che vale soprattutto per coloro che appartengono alla nostra area e sui quali pesa il dovere di far in modo che l'Apocalisse mai s'abbia a verificare come Apocalisse del Risentimento. Noi non abbiamo illusioni da missionari cristiani, vorremmo -ma forse non ne siamo capaci- servire bene la Giustizia, non concediamo né chiediamo «perdono». Sappiamo che basta annientare il «risentimento» nel piccolo della nostra limitata e conchiusa esistenza per annientarlo contemporaneamente su tutta la Terra. Se non altro, nel senso di custodire nel nostro piccolo la Purezza per quando inizierà un nuovo Ciclo, quando, «sconfitti i Titani», avrà inizio l'«era degli Dei» dove non avranno più posto il «denaro», il «risentimento», l'«odio»; la violenza come ostentazione di una finta bontà.

 

Dalla Violenza alla Potenza

Il «risentimento» della destra è quindi causa, in un primo momento e limitandoci a questo secolo, di una violenza di destra, che in proseguo indicheremo semplicemente come «Violenza» volendo polemicamente rivendicare la sua pari «dignità» rispetto a quella di sinistra, ambedue in effetti essendo identiche nella temperie della «decadenza» come «azione» e «reazione» nel campo della fisica. Del resto, il concetto soreliano di «violenza» presuppone e suffraga il nostro ragionamento: è, precisamente, rivolto a contestare, in un orizzonte proletario e di sinistra ma secondo le categorie della destra (secondo l'idea romana della Giustizia), l'inganno di quella che al tempo della IIª Internazionale si presentava come la «vera sinistra», il «socialismo» ridicolizzato da Mussolini come «domenicale».

Questa Violenza ebbe connotati ben precisi nella Russia zarista (nella Russia del ministero Stolypin, l'illuminata opera del quale ebbe termine, significativamente col mortale attentato di Kiev del 1911) e in Francia (con l'Action di Maurras, secondo Nolte la prima espressione del fascismo storico, caratterizzata da non superficiali contatti col sindacalismo di Sorel).

Il legame esistente presso l'uomo di destra fra «risentimento» e Violenza è chiarito da Jünger in "Sulle scogliere di marmo", quando il protagonista narratore (lo stesso Jünger) parla dei suoi trascorsi rapporti col Forestaro (Hitler).

«Vi sono epoche di decadenza, quando le forme cui la vita per intima legge è predestinata si vanno disfacendo (v'è qui una chiara allusione alla concezione ciclica della storia e alle colpe dell'Ancien Régime); e se siamo impigliati in una tale epoca, anche noi barcolliamo qua e là e andiamo dall'uno all'altro estremo come esseri cui manchi l'equilibrio. Noi cadiamo allora da torbide gioie in torbidi dolori; e la coscienza del nostro disperdimento, la quale è pur sempre vivace in noi, ci fa sembrare più allettante passato e avvenire: quindi ci abbandoniamo alla magia dei tempi passati o d'irraggiungibili utopie, mentre il presente e l'attimo trascorrono vanamente (...) come sempre ove il dubbio si accompagna alla pienezza della vitalità (propria a tutti i rivoluzionari), ci convertiamo alla violenza; e non è essa infatti il pendolo eterno che muove le sfere, sia nelle ore del giorno e sia nelle ore della notte? Noi cominciamo a sognare la potenza e il prevalere e a fantasticare circa le forme, che audacemente ordinate e composte si muovono incontro a contrasto nel mortale duello della vita per riuscire alla ruina od al trionfo. Queste forme noi studiammo con piacere, al modo come ci considerano i segni, che l'acido incide nell'oscuro specchio del polito metallo. Era inevitabile che Mauretani (i nazisti) si avvicinassero a chi nutriva simili inclinazioni» (incisi e corsivi nostri).

Questa Violenza come «reazione» all'«azione» disgregatrice della «decadenza» (per cui capitalismo, conservatorismo e comunismo «paradossalmente» cooperarono all'assassinio di Stolypin e contro cui il Forestaro intendeva a sua volta «reagire»), altro non è che una violenza contingente: appunto la Violenza del «mortale duello» che «muove le sfere di giorno e di notte».

Emendatasi dalla contingenza, la Violenza si trasforma in Potenza (da distinguersi dalla mera «potenza prevaricatrice»). Così in Jünger le tesi nazionalbolsceviche de "L'operaio" vanno intese come «risposta di Potenza» alla «paradossale» alleanza di capitalismo, conservatorismo e comunismo che, eliminando Stolypin, fece sì che la Rivoluzione d'Ottobre fosse destinata a fallire nel momento stesso in cui trionfava. Così anche le "Scogliere di marmo" (pubblicato poco dopo la Notte dei Cristalli) sono un'altra «risposta di potenza, rivolta, in questo caso, contro quella parodia del nazionalbolscevismo che finì con l'essere il nazionalsocialismo, che già si prefigurava in essere tragicamente con la Notte dei Lunghi Coltelli e più ancora con la Notte dei Cristalli, laddove la «rivoluzione conservatrice», andava palesandosi come «fisica reazione» alla Rivoluzione d'Ottobre e il «salvatore» Hitler coi caratteri ambigui e demoniaci del Forestaro.

Se la «risposta di Potenza» consiste nell'agire verso l'interno, secondo i precetti del Tao, allo scopo di rendersi come «acciaio polito» inattaccabile dagli «agenti esterni» (è quindi una risposta non attiva che si conviene contro un avversario materialmente più forte allo scopo di esaurirne il «potenziale»), essa non esclude affatto, tuttavia, il cambiare la propria direzione «scaricandosi materialmente» all'esterno, (quando l'avversario entri in crisi per effetto del suo «agire a vuoto contro chi provoca il vuoto»). Questo spiega l'«autoemarginazione» di Jünger quanto la successiva decisione di partecipare alla congiura di von Stauffemberg. Per converso l'«atto di clemenza» di Hitler, ove si voglia escludere da esso il movente etico che noi personalmente non escludiamo, dimostra che comunque si può sempre far qualcosa contro i «Forestari» e anche con un successo inaspettato quanto «paradossale».

È necessario, a questo punto, notare come questa «risposta di Potenza» (la sola in grado di sconfiggere la Violenza) sia assolutamente diversa da quelle proposte dal cristianesimo, sia dalla prassi di doppiezza tipica dei Gesuiti, sia dalla mistica cristiana e col suo estraniarsi e fuggire dal mondo.

Potrebbe poi interessare, in particolare quanti dubitano di noi e ci sospettano di «machiavellismo», siano essi avversari dichiarati oppure simpatizzanti di sinistra, che è proprio nell'ordine di queste idee che noi abbiamo preso le distanze dal partito di Rauti; che accusiamo di «nostalgismo» anche e soprattutto nel senso di non essere in grado di superare la Violenza, fino al punto di avere avuto rapporti col nemico di ieri «per salvare la patria dal comunismo», fino al punto di avere avuto come MSI, pesanti responsabilità nella «strategia della tensione» e nello «stragismo» degli "Anni di Piombo" (cfr. "L'agonia degli eredi della Fiamma: analisi di una sconfitta", Editoriale di "Aurora" n° 43).

 

Contro il vecchio e il nuovo Millenarismo

In quest'ordine di idee si deve dunque categoricamente respingere non solo il «concetto» di Apocalisse, ma persino la tentazione intellettualistica di concepire quanto il mondo sta vivendo oggi, anche in termini di catastrofi naturali e di sconvolgimento della «legge di natura», come teorica possibilità di una imminente «fine del mondo».

Il «concetto» di Apocalisse appartiene a una «visione del mondo» ben determinata, così come appartiene ad un'altra «visione del mondo» la «teoria» che la esclude in nome della concezione «ciclica» della storia. Spetta alla libera scelta di ognuno decidersi per l'una «visione» o per l'altra. Che la «visione» giudaico-cristiana sia risultata «storicamente vincente» può influire nella scelta individuale solo a patto di ritenere che «il vincitore stabilisca la verità», secondo una «gnoseologia del fatto compiuto e della forza» che dovrebbe piuttosto appartenere all'«Ur fascista», e che invece paradossalmente ora scopriamo appartenere al fronte «progressista», che -guarda caso- nel nostro Paese raccoglie «ex-comunisti» ed «ex-democristiani». Peraltro, volendo, attenersi alla «sensata esperienza» galileiana tanto cara ai «progressisti», non si può proprio non rinfacciare loro che la cosiddetta «Apocalisse» non si è ancora verificata, mentre l'«Avvento del Regno» si prefigura chiaramente già da ora quale potrebbe essere nel «Terzo Millennio dell'Era Cristiana»: né più né meno che il «regno di Mammona». Sicché i termini «escatologici» di «Cristo» e «Anticristo» potrebbero intendersi, secondo l'argomentare «scientifico» di una parte della fazione «progressista», come una «ruse» teologica costruita ad hoc dai «preti» per trarsi d'imbarazzo qualsiasi cosa accada, a danno, in primo luogo, dei loro «alleati» attuali e futuri.

Circa la «fine del mondo», noi personalmente la immaginiamo secondo le ipotesi della cosmologia degli Stoici che in sostanza coincidono con quelle della più aggiornata cosmologia contemporanea. Il mondo, questo sistema solare, cesserà di esistere quando il Sole sarà diventato un «buco nero». Se ci si domandasse come ci comporteremmo quel giorno se ci fosse concesso di vederlo, risponderemmo senza esitazione: lo vivremmo con indifferenza tanto maggiore quanto più saremo stati capaci di realizzare concretamente gli ideali della «visione del mondo» che abbiamo scelto. Aggiungiamo, per evitare equivoci strumentali, che una esistenza puramente naturale, quand'anche si riuscisse a distruggere radicalmente la «schiavitù del capitale», non ci interessa affatto. Appartiene alla mitologia rousseauiana ritenere possibile una felicità secondo natura». Ciò corrisponde in effetti ad essere dominati dalla natura e noi respingiamo la logica del dominio anche in questa forma seducente, vogliamo dominare la natura solo quel tanto che basta a non esserne dominati, la preserviamo e conserviamo in funzione del rispetto che l'uomo deve alla propria indipendenza in ciò che è l'essenza della propria personale dignità.

È chiaro che noi, non conserviamo per noi stessi. La «fama» e la «gloria» le lasciamo tutte ai seguaci dell'«umanesimo moderno», da Francesco Petrarca a Ugo Foscolo. La «fiamma dell'eroismo» come effettivamente la concepivano gli «Antichi», che effettivamente furono «dei», tutto brucia e purifica dalla colpa dell'esistenza». La «mors triunphalis» disdegna la «gloria del mondo» perché dell'«immortalità» possiede ben altra concezione che quella «umanistica» e massonica di un Foscolo: immortale è ciò che non ha alcuna compromissione con ciò che è comunque destinato a morire, come riconosce lo stesso Petrarca nei "Trionfi" dove il Tempo distrugge la Fama e l'Eternità il Tempo. Allora, veramente, ciò che si fa «per gli altri» lo si fa gratuitamente. Sprezzandosi finanche la «moneta della fama» come si sprezza «inferno» e «paradiso», trasposizioni «teologiche» della «legge di questo mondo», della logica «semitica» del «do ut des». Questo, è per noi l'«amor»: da «a-mors», ciò che non muore mai. Questa concezione veramente antica contrapponiamo a quella naturalistica, irriducibilmente «sensualistica» ed «emotiva» dell'«amore» cristiano. Noi diciamo che l'Apocalisse ci ripugna perché ci ripugna l'idea che un Iddio immortale possa infliggere la morte per «fare un piacere» ai cosiddetti «buoni», e, per così dire, «per un atto dovuto di giustizia». È ancora la superbia semitica quella che può giungere al segno di ritenere che Dio attribuisca tanta importanza ai «cattivi» da abbassarsi al ruolo di giustiziere e anzi di boia. E non solo di superbia si tratta ma anche di incoercibile brama di vendetta che sottende l'infame «peccato» dell'invidia (invidia, è evidente, per il cosiddetto «malvagio»!!!). I cattivi, quelli veri, distruggono se stessi per «necessità naturale», quasi come gli alimenti di cui si ciba l'uomo che sono destinati a diventare escrementi. Un Dio, specie in un'ottica sedicente «monoteistica» come quella propria al semita, non dovrebbe interessarsi di simili cose...

(continua)

 

Francesco Moricca

 

 

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