da "AURORA" n° 51 (Settembre 1998)

EDITORIALE

 

Il nichilismo della Sinistra italiana

A. De Ambris

 

I problemi sono questi

Riprendendo la riflessione avviata sul n° 50 di "Aurora" (Editoriale: "A volte ritornano"), voglio approfondire alcune problematiche che nella conclusione del precedente intervento erano state solo accennate sotto forma di domanda. In primo luogo affermo che, nell'odierna fase storica, la questione principale sia prendere atto che la tradizione comunemente definita «di sinistra» è sostanzialmente inutilizzabile per supportare un atteggiamento di critica e di resistenza all'affermazione del totalitarismo neoliberista, prodotto della globalizzazione capitalistica ed imperialistica. Nessuno nega che nei due secoli trascorsi, a partire dalla rivoluzione francese del 1789, la tradizione «di sinistra» malgrado limiti fortissimi (economicismo, piatto positivismo, esaltazione acritica del «moderno») abbia difeso cause sociali giuste. Il fatto è che negli ultimi decenni essa ha mutato radicalmente di natura, insieme con l'irreversibile declino storico dei suoi referenti sociali. In secondo luogo ribadisco che, proprio in conseguenza di questa trasformazione, l'opposizione destra-sinistra è ormai artificiale e virtuale, continuando ad essere alimentata dal Potere per strutturare simbolicamente uno spazio politico in realtà omologato.

 

Il nichilismo dei Democratici di Sinistra

Gli avvenimenti susseguitisi in Italia a partire dal '91 hanno dimostrato con drammatica precipitazione che la struttura burocratica, organizzativa e amministrativa realizzatasi nell'ultima fase dell'esistenza del comunismo storico novecentesco ('56-'89) ha dato vita ad una classe politica ideale per i bisogni gestionali di globalizzazione economica delle nuove oligarchie finanziarie transnazionali. La degenerazione del comunismo storico novecentesco ha, cioè, prodotto nel nostro Paese un gruppo sociale -quello dei funzionari dell'ex-PCI- integralmente nichilistico, priva di fondamenti culturali e sociali nazionali. Nella fase precedente, ossia durante lo stalinismo ('24-'56), i fondamenti dell'essere e dell'agire erano stati individuati in un'utopia politica ricostruttiva integrale, consistente nell'edificazione di una società comunista per mezzo di un socialismo dispotico basato su un partito-stato. La storia ha dimostrato che su questa base una simile ricostruzione era impossibile. Rivelatasi progressivamente l'impossibilità di realizzare l'utopia, abbiamo assistito all'integrale risoluzione della metafisica (marxista) in tecnica (amministrativo-capitalistica). È sparita, cioè, la metafisica che aveva auspicato la costruzione dell'uomo nuovo (il marxismo in tutte le sue varianti, eretiche o ortodosse) ed è restata soltanto la tecnica prodotta da questa metafisica, ossia l'apparato dei funzionari mediatori e manipolatori dell'ex-PCI. Tale apparato politico, soprattutto negli ultimi due decenni, ha messo il nichilismo che lo contraddistingue al servizio non più del Partito, ormai fallito, ma delle nuove e vincenti oligarchie finanziarie transnazionali. In Italia D'Alema che, con il famoso sorrisetto sprezzante, innalza il Jolly Roger, la bandiera dei pirati, sul suo 15 metri a vela da 300 milioni, ben simboleggia questo ceto politico che sa che ad esso è ormai permessa qualsiasi cosa. I Democratici di Sinistra odierni, dunque, essendo totalmente nichilisti, sono privi di una visione dei mondo. Essi hanno però una serie di rappresentazioni pratiche sul come agire nel mondo. Queste immagini sono ispirate allo strumentalismo e al pragmatismo più estremi, e pertanto i diessini sono ben disposti a delegare ai cattolici il senso della vita (da qui l'ammirazione per il volontariato miserabilistico, per le adunate oceaniche del Papa polacco e la riscoperta dei «valori» religiosi).

 

Il nichilismo di Rifondazione Comunista

In questo quadro, e in particolare alla luce di quanto accaduto dal 21 aprile '96 alla crisi interna attraversata durante l'estate-autunno '98, è da ridimensionare notevolmente il fenomeno del Partito della Rifondazione Comunista. Esso si è rivelato tanto più storicamente marginale quanto più è emerso con evidenza che si trattava di un fenomeno complementare al Partito Democratico della Sinistra prima, ai Democratici di Sinistra poi. Si può parlare, anzi, di due metà divise tatticamente, ma irresistibilmente attratte da una profonda affinità culturale e sociale. L'unità sostanziale dell'ex-PCI, nella nuova fase storica, poteva essere conservata nella forma della sua divisione superficiale in Partito Democratico della Sinistra-Democratici di Sinistra e Partito della Rifondazione Comunista. Il che si è puntualmente verificato. Per la precisione, questi schieramenti sono realtà complementari, intimamente unite dalla contiguità sociale dovuta alla prevalenza di salariati sindacalmente rappresentati fra i propri militanti e dall'affinità culturale costituita dalla condivisione piena delle mitologie nichilistiche della sinistra (cosmopolitismo, «religione dell'antifascismo», libertarismo, amore del «nuovo», ecc.) da parte del ceto politico professionale che gestisce le due formazioni. Questa contiguità-affinità non è tuttavia direttamente percepibile, perché sulla scena si vedono soltanto le divergenze tattiche e gli interessi di rafforzamento delle rispettive aziende-partito (da cui nascono gli scontri, ad esempio, sulle leggi elettorali e sui provvedimenti economici), mentre sono meno visibili gli irresistibili legami strategici, che però esistono ove solo si rifletta sull'espressione rivelatoria delle due sinistre, che continuamente viene utilizzata nei dibattiti interni. Chi si trova in maggior sofferenza per questa condizione è senza dubbio il PRC, che ha dovuto eliminare la dirigenza Magri-Garavini e in seguito ridurre a pura sceneggiata quella di Bertinotti non certo per ragioni strategiche (tutti i personaggi citati hanno la stessa cultura di riferimento), quanto per ragioni tattiche. Un'eccessiva dipendenza o -all'opposto- un'eccessiva autonomia politica del PRC rispetto ai Democratici di Sinistra può mettere in pericolo l'azienda-partito, nel primo caso privando i militanti di miti di mobilitazione innocui ma utili ai fini propagandistici, nel secondo esponendo Rifondazione a ricatti elettorali di tutti i tipi, che la porterebbero alla disintegrazione. Di ciò si rende conto l'esperto Cossutta, che sa di rappresentare e di dover tutelare gli interessi soprattutto di alcuni strati operai del Nord-Ovest impiegati nelle ultime cattedrali fordiste (FIAT, Olivetti, Pirelli, ecc.) e capisce che quindi il PRC non può permettersi un «movimentismo» che oltrepassi certi limiti. È tollerato, al massimo, il mito dei Chiapas del subcomandante Marcos, che funziona come una specie di evasione tropicale verso una sorta di grande centro sociale esotico molto alla moda. Si verifica così all'interno di quel partito una schizofrenia grottesca, per cui l'appoggio al Chiapas si accompagna all'appoggio alla coalizione di Prodi, Dini, Veltroni e Di Pietro e mentre si appoggiano costoro si dichiara nei Comitati Politici e nei documenti ufficiali che «margini del riformismo si sono esauriti», per cui «o svolta o rottura».

 

Il nichilismo ulivista

L'Ulivo nasce come unione di due strutture organizzative profondamente oligarchiche ed antidemocratiche, la borghesia di Stato della sinistra democristiana (Prodi) e la nomenklatura della sinistra comunista (D'Alema). Una fusione di queste due «anime» è impossibile, il Vaticano la impedirebbe. Soltanto alcuni ulivisti privi di spessore culturale come Walter Veltroni (per il quale la cultura si identifica con la raccolta delle figurine Panini e delle videocassette nostalgiche) la possono auspicare. Si sta verificando piuttosto una divisione dei ruoli, attraverso la quale vengono spartite le «riserve di caccia»: volontariato no-profit ai cattolici e mass-media ed apparati giornalistici e scolastici ai nichilisti diessini ed alla loro guardia pretoriana di Rifondazione. Nessuno è ancora in grado di prevedere se questa ridislocazione di aree di influenza provocherà turbolenze, ma si può pensare che le abitudini familistiche e spartitorie delle due fameliche nomenklature, cattolica e comunista, potranno essere entrambe placate e soddisfatte. Intanto c'è già la «laica» accettazione comune del pensiero unico capitalistico. Attualmente l'Ulivo è, infatti, l'espressione politica italiana delle oligarchie finanziarie transnazionali che dominano il pianeta.

 

Il nichilismo degli squatters

Gli squatters e i centri sociali sono, in fondo, figli del clima che abbiamo delineato nei paragrafi precedenti. Non contrappongono al cinismo dell'Ulivo e di Rifondazione una sinistra romantica, idealista e altruista. Sono soltanto la versione facinorosa del nichilismo dilagante nella sinistra stessa. Gli squatters hanno, cioè, gli stessi orizzonti e gli stessi gusti della sinistra filo-capitalista in termini di permissivismo, droga, sesso e rock and roll, flessibilità del lavoro (dichiarano infatti che non accetteranno mai un impiego regolare). Cambiano le quantità. Ulivisti e Rifondatori sono moderati, gli squatters sono smodati. E così della sinistra governativa o para-governativa condividono l'humus originario e il nichilismo d'approdo: ne sono la versione hard, esercitano la loro intolleranza con i pacchi bomba anziché con le manovre economiche, non disponendo direttamente del potere si rifanno con la violenza. Di fronte agli squatters, la sinistra governativa e para-governativa si trova, peraltro, un po' spiazzata, perché deve fronteggiarli in difesa di una realtà a cui essa stessa aveva un tempo contrapposto l'utopia di una società migliore. La verità è che nella guerra di corrispondenza tra squatters e rappresentanti di Rifondazione e dei Verdi non si contrappongono valori a valori, né valori a disvalori, ma si contrappone il nulla al niente, il proprio comodo a quello altrui.

 

Sradicamento

La sinistra in tutte le sue versioni è dunque oggi il luogo culturale principale dello sradicamento. Proprio per questo è lo strumento più adatto all'attuale globalizzazione capitalistica. La parte comunista della sinistra si era costruita e radicata nel corso dell'ultimo secolo sul terreno della Classe (operaia e proletaria) e del Partito. La parte non comunista della sinistra aveva cercato il proprio radicamento sociale e culturale in una piccola borghesia progressista legata a valori di riformismo politico e di eguaglianza sociale. Questi pilastri sono crollati a causa della trasformazione del modo di produzione capitalistico dovuta ai processi di globalizzazione e a causa del fallimento dell'edificazione di una società alternativa al capitalismo. Lo sradicamento che ne è conseguito ha prodotto una sorta di azzeramento, vissuto dai militanti e dal ceto politico con voluttà di annientamento e di vergogna della propria precedente identità, sentita come un peso di cui liberarsi. È questa la ragione per cui oggi la sinistra è il luogo culturale principale del cosmopolitismo ultra-capitalistico, dell'americanizzazione a tappe forzate, della distruzione del «conservatorismo borghese» in direzione di un capitalismo integralmente post-borghese (tale distruzione per la verità era iniziata già con il «mitico» Sessantotto). L'uomo nuovo delle utopie comuniste avrebbe dovuto rigenerarsi attraverso la rivoluzione, cancellando in se stesso l'egoismo e l'individualismo borghesi. Come in una sorta di perverso rovesciamento, oggi assistiamo -e sempre nell'ambito della sinistra- alla nascita e all'affermazione della caricatura dell'uomo nuovo comunista. Si tratta dell'uomo nuovo post-borghese, «grado zero» del nuovo consumismo capitalistico, cui è ormai permesso di fare tutto ciò che non sia incompatibile con la riproduzione capitalistica. Il buonismo dell'Ulivo (Veltroni, Gloria Buffo, Livia Turco, ecc.) rende possibile essere buoni e comprensivi rispetto a tutti i comportamenti trasgressivi (gay, lesbiche, travestiti, prostitute, squatters, tossicomani, obiettori di coscienza) purché non trasgrediscano i limiti sistemici del capitalismo contemporaneo.

 

Spostamento

L'individuazione dei motivi della metamorfosi dalla vecchia cultura comunista del PCI nella nuova cultura ultra-capitalistica dei Democratici di Sinistra fiancheggiati «criticamente» dai loro alleati strategici di Rifondazione Comunista è essenziale per orientarsi nell'attuale situazione. Questa metamorfosi, infatti, non riguarda soltanto alcune migliaia di professionisti della politica, ma coinvolge milioni di persone. Occorre evitare di interpretare i cambiamenti in termini moralistici, bisogna piuttosto passare da una diffusa teoria del tradimento ad una teoria dello spostamento all'interno di un comune circolo ideologico mistificato, sia prima sia dopo gli eventi epocali del 1989. Per essere più chiaro, sintetizzerò le due teorie. Secondo la teoria del tradimento, ciò che è accaduto all'interno della sinistra comunista italiana trova la sua spiegazione nel fatto che le tentazioni e la vanità, ancora una volta nella storia umana, hanno vinto, facendo passare coloro ai quali era stato affidato il compito di guidare il riscatto degli umili e degli oppressi dalla verità (il comunismo) alla menzogna (il capitalismo), dalla dignità alla svendita dei valori. In altre parole, un tempo il comunismo e il marxismo erano di moda, ora non lo sono più. Ed allora i quadri dirigenti hanno cambiato campo, sono passati dalle fumose sezioni affollate dalla noiosa base militante ai salotti sofisticati. Si sono gratificati con un'orgia di telefonini, portaborse, biglietti gratis per gli aerei e i pendolini e con tutti gli altri innumerevoli privilegi del ceto parlamentare. Questa spiegazione coglie alcuni corposi elementi di verità descrittiva superficiale. È noto, del resto, che il ceto politico in generale risulta nell'essenziale composto da individui mediocri, incapaci di affermarsi nei propri ambiti professionali e che appunto per questa ragione scelgono la via del professionismo politico, intessuto di furberie, intrallazzi, cordate, ecc. Tuttavia questi aspetti sono da considerarsi secondari. Più plausibile sembra, invece, la teoria dello spostamento per spiegare la metamorfosi degli intellettuali e dei politici della sinistra comunista di questa fine secolo italiana, altrimenti comprensibile soltanto in termini di corruzione personale generalizzata. Interpretare, infatti, il passaggio di campo di detti intellettuali e politici dal comunismo al capitalismo come passaggio dalla verità alla menzogna, dal Bene al Male, implica che prima essi aderissero fondamentalmente, sia pure tra errori ed incertezze, ad una teoria della verità, il marxismo nelle sue varie accezioni. Ma così non è. La precedente adesione al marxismo si basava già integralmente su una gigantesca mistificazione ideologica, quella della centralità dell'appartenenza di Partito e della comunità militante, scambiate con falsa coscienza con l'adesione ad una teoria veritativa della condizione umana. Quindi noi oggi non assistiamo ad altro che ad uno spostamento da una precedente situazione di menzogna (l'appartenenza ideologica al Partito) ad una nuova situazione di menzogna (l'adesione totale al capitalismo mondializzato). Il circolo ideologico non è mai stato interrotto, perché da una situazione precedentemente erronea (l'adesione al marxismo come ideologia di Partito) si è passati ad una situazione ormai manifestamente e platealmente non veritativa (l'adesione alla totalità capitalistica trasfigurata nella fine della storia).

 

L'ultimo stadio

I pentiti del comunismo e/o della socialdemocrazia, avendo sempre pensato la storia come una successione di «stadi» direzionata verso un «ultimo stadio» sono ora portati a vedere la globalizzazione capitalistica come lo stadio finale della storia, in cui vivere pienamente il regno dei diritti umani di cittadinanza e la flessibilità del lavoro millantato per «indipendente». Così oggi lo Stato italiano è una struttura non nazionale, spartita da due nomenklature di origine cattolica e comunista al servizio di interessi transnazionali. Da un punto di vista culturale e sociale, cioè, l'Ulivo, nonostante la sua retorica europeista, è un fattore attivo di americanizzazione subalterna, come si può chiaramente capire, ad esempio, dai progetti di «riforma» della scuola pubblica italiana. La discussione che all'interno di un auspicabile Fronte Antagonista dovrà aprirsi è, dunque, una discussione sui fondamenti. Sono convinto che essa sarebbe in grado di smascherare innanzitutto la finzione su cui il Potere si basa, che è appunto la rappresentazione teatrale di centro, sinistra, destra. Chi dice di voler «ridiscutere» i fondamenti con il vincolo del rispetto della dicotomia incapacitante sinistra-destra soffoca la discussione prima ancora che cominci. Utilizzando questi termini obsoleti e fuorvianti, infatti, dovremmo concludere, ad esempio, che l'Ulivo è contemporaneamente di destra, di centro e di sinistra: è di destra in economia (perché fa gli interessi delle oligarchie finanziarie capitaliste), è di centro in politica (dove detiene il potere attraverso i più classici meccanismi del consenso e del compromesso), è di sinistra nel costume (sostiene apertamente l'innovazione in tutti i campi). Lo smantellamento, «di sinistra» delle forme di vita tradizionali borghesi e proletarie, fatto dall'Ulivo in nome della modernizzazione nichilisticamente permanente, è funzionale ad un allargamento globale del mercato e del connesso potere «di destra» del denaro che questo comporta. La politica attuale viene dunque artificialmente organizzata in uno spazio illusoriamente bipolare. Esso nasconde il fatto che ormai tutto è sottoposto a costrizioni economiche sistemiche che tolgono ogni residua possibilità di decisione indipendente. Le scelte essenziali le determinano gli «esperti economici», non certo i «cittadini elettori», ridotti ad elemento di legittimazione ornamentale. Il ceto politico liberaldemocratico svuota, infatti, la partecipazione alla vita pubblica di ogni sovranità delegandola, subito dopo gli spettacoli gladiatori delle campagne elettorali, ai «tecnici» dell'economia neoliberista.

 

Ridistribuire la miseria

Secondo il pensiero comune, però, il criterio privilegiato per differenziare positivamente la sinistra dalla destra resterebbe pur sempre quello dell'uguaglianza. È significativo che in Italia questa asserzione venga pubblicizzata enfaticamente con l'avallo di autorevoli filosofi (Norberto Bobbio) proprio quando gli automatismi economici diretti dalle oligarchie finanziarie transnazionali incrementano in modo inaudito le disuguaglianze fra individui, nazioni e classi anche e soprattutto in presenza di governi di sinistra. Gli è che il Potere ha scelto strategicamente, almeno in questa fase storica, perfino la cultura di sinistra come proprio referente simbolico principale. Ma volendo essere paradossali e provocatori, si potrebbe affermare che, in termini di analogia storica, la capacità politica redistributiva della sinistra è oggi inferiore a quella degli schiavisti romani e dei feudatari europei ed asiatici, che pure non si sono mai proclamati «di sinistra». Si tratta, fra l'altro, di una redistribuzione finanziata ottenuta con l'impoverimento sociale di tutti gli strati inferiori dei ceti medi (così specialmente l'odio nei confronti dei lavoratori dello Stato ha trovato finalmente modo di sfogarsi) e non con prelievi sulle grandi fortune. Questo accade perché la sinistra attuale sogna un mondo interamente precarizzato e proletarizzato da «rappresentare politicamente» dinanzi ai «capitalisti illuminati» colti e raffinati (Agnelli, De Benedetti) e non cafoni ed ignoranti come Berlusconi. L'unica forma pratica di uguaglianza messa in atto nelle società capitalistiche di oggi è il volontariato caritativo ed assistenziale a stampo pauperistico (che crea fra gli individui un rapporto di disuguaglianza quanto altri mai). E ciò si accompagna, non a caso, agli sperticati elogi dei leaders «di sinistra» odierni (Bertinotti, ecc.) verso gli uomini di Chiesa e in particolare verso quelli manageriali e direttivi (come il cardinal Martini di Milano o Giovanni Paolo II).

 

Che cosa c'è oltre la Destra e la Sinistra?

La fortuna inopinata dell'Ulivo e di Rifondazione è di essersi ritrovati Silvio Berlusconi come capo dell'opposizione. Il Cavaliere è una vera manna caduta dal cielo per il governo Prodi; è un imprenditore ricattabile sulla base delle sue proprietà e delle pendenze giudiziarie, che oggi qualunque imprenditore ha nel mondo a causa dell'intreccio fra politica ed economia, e che dunque per definizione non è in grado di fare un'opposizione coerente e radicale. Se, quindi, i soggetti antagonisti non troveranno certo nell'ultraliberista Polo delle Libertà o nei deliri celtici e secessionisti della Lega Nord riferimenti a livello politico, potranno però decidere di iniziare una «lunga marcia» che consenta di definire gli elementi teorici portanti per la costruzione di una opposizione antisistemica in grado di confrontarsi a tutto campo con il Pensiero Unico delle oligarchie finanziarie transnazionali e che permetta finalmente di misurarsi in concreto con la prova dell'impatto istituzionale. Elementi per approfondire il dibattito su questi temi non mancano, ma essi richiedono l'apertura di una ricerca di ampio respiro. Di tali temi mi riprometto di parlare in modo dettagliato in un prossimo contributo alla rivista.

 

A. De Ambris

 

 

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