da "AURORA" n° 51 (Settembre 1998)

LETTERE

 

Carmignano 6 settembre 1998

 

Cari amici, ringrazio Francesco Moricca per la stima nei miei confronti e nel contempo chiedo attenzione alla dicitura esatta del mio cognome.

Do per sottinteso che l'autocritica parta dall'interno; in linea di principio sono d'accordo sui requisiti che distinguono veri e falsi miti. Quando si entra nel loro specifico le interpretazioni possono divergere come nel caso di Marx.

Una premessa chiarificatrice e rivelatrice sul suo conto: Marx rifiutò l'idea che il suo nome si prestasse a definire un movimento (marxismo) quale sinonimo di comunismo. I suoi seguaci non lo ascoltarono ritenendo scientifica la teoria marxiana e perciò giudicandola comunista per eccellenza.

Comunismo come quintessenza della cultura liberale? Volendo, anche questo. Ma andando oltre il liberismo di stampo borghese con la sua uguaglianza giuridica, il comunismo afferma l'uguaglianza materiale ossia pari opportunità economiche per tutti.

Dal punto di vista teorico il comunismo prospettato da Carl Marx era il massimo per l'umanità. Non per inadeguatezza teorica l'obiettivo fallì, ma per inadeguatezza intrinseca all'umanità, per la sua indisponibilità a realizzare l'ideale, per il suo egoismo, per il retaggio animale che si trascina dietro.

Si veda, ad esempio, il concetto jünghiano di «inconscio collettivo». Francesco Moricca non è disposto a riconoscere per debolezze umane diverse scelte nella vita privata di Marx. Allora si devono demonizzare perché predicava bene in pubblico e razzolava male in privato?

Una ammissione non mi costa: Marx era tutt'altro che eroe o santo anche laico. Nella vita quotidiana era uno come tanti altri del suo tempo. Ciò garantisce che se non si è distinto nel bene, non si sarebbe distinto nel male.

Peraltro contraddicendo la teoria della rivoluzione simultanea in occidente e oriente, soltanto uomini d'azione come Lenin potevano macchiarsi di grandi crimini. Ma se era così diverso come pensatore e come attore della politica cosa ha a che fare Lenin con Marx? Cito Lenin per comprendere i suoi continuatori: Stalin, Mao, Pol Pot ed altri.

Marx teorizzava il movimento della classe sfruttata verso l'emancipazione finale. Le accollò anche la guida del partito, ma lo intendeva più come ispiratore ideale che come organizzatore pratico e comunque criticò la concezione giacobina. Come la psicologia del profondo insegna, l'idea del partito in Marx rifletteva la sua particolare personalità per niente propensa a rischiare in prima persona come avrebbe potuto essere nella Comune di Parigi.

Non sono al corrente cos'abbia scritto Francesco Moricca su Marx, ma in Aurora n° 49, pag. 18, avanza assunti assolutamente arbitrari. Non si possono estrapolare frasi di Marx dal loro contesto per fargli dire quello che si vuole.

L'immediata pratica realizzazione era riferita a tutt'altro contesto della ... prassi rivoluzionaria ... più importante della teoria ... frase quest'ultima che non mi sembra appartenere a Marx.

Marx pensò si all'immediata realizzazione pratica del comunismo, salvo in età più avanzata posticiparlo a tempi più favorevoli. E comunque fu sempre preoccupato di fondarsi su precise teorie.

Dal suo decorso teorico documentato risulta evidente la contraddizione tra il Marx della maturità e quello della vecchiaia sul ruolo dei contadini oppure sul rapporto Europa-Russia: basti ricordare che inizialmente malediva la Russia dispotica e agraria mentre alla fine riconobbe il possibile ruolo di palingenesi della sua comunità contadina.

Moricca descrive in termini offensivi Marx per essersi fatto ricevere dalla regina Vittoria, episodio che ignoravo ma che non inficia l'ottica nella quale giudicarlo. Sotto l'aspetto personale è perfettamente comprensibile che un uomo affranto dal peso degli anni, delle sventure familiari e dell'emarginazione politica di fatto non abbia energia per sostenere una combattività sia pure ideale.

Sotto l'aspetto pubblico può essere che Marx avesse finito per disperare dell'evoluzione comunista in occidente e che anche questo contribuisse a fargli crollare la sua tensione militante. In forza di queste vicissitudini nell'ultimo Marx si intravede un approccio misticheggiante al sociale: vedasi la prospettata evoluzione interiore della comune rurale russa. Perché allora l'intera società non dovrebbe partecipare ad una mutazione interna che la predisponga ad uno stato d'animo integralmente comunitario? In quest'ottica si capisce che Marx abbia esposto le sue idee sociali perfino alla regina Vittoria, perché a questo punto si rivolgeva ai singoli individualmente, aldilà delle classi. Questa è anche la teorizzazione degli epigoni di Marx: si vedano i miei riferimenti a Camatte in precedenti numeri di Aurora.

Quanto alle influenze negative provenienti dagli USA, la rivoluzione industriale è nata in Inghilterra e si è parimenti diffusa in Europa occidentale, USA, Australia e Sudafrica. La civiltà industriale è retaggio di tutto l'occidente. Se ci sono differenze quantitative di sviluppo, non per questo si devono avvalorare differenze qualitativo per economie e società.

A pro degli USA potrei dire che nel loro pluralismo sono gli unici in occidente ad aver conservato una preziose isola sociale, economica e culturale: amisti, radicali eredi della riforma protestante. Sono il passato, la tradizione, la coscienza critica, il secondo termine di paragone interno all'occidente, il suo superio.

Anch'io ho il vizio immondo (testualmente riportato da F. M.) di sentirmi estraneo agli interessi nazionali non fosse altro per il sangue versato in due guerre imperialiste. Mi sento italiano per altri versi, per i contributi dati nel favorire le umane sorti.

Comunque è possibile consolarsi perché mal comune fa mezzo gaudio e quasi più nessuno in occidente è disposto a sacrificare lo vita por la stato e la nazione.

Il filosofo Emanuele Severino va ripetendo da tempo che la tecnica trionfante sta facendo tabula rasa di ogni idea e ideale. Nuovi raggruppamenti, nuove guerre assumono connotazioni od obiettivi etnico-tribali, quelli che attraversano una nazione morta. È già tanto che questo mondo incontri nuove opposizioni, identità minori ma anche mirate e consapevoli: religiose, solidaristiche, ecologiche e culturali.

Cordiali saluti

 

Tiziano Galante

 


 

Caro Galante,

con la tua del 6 settembre mi dai occasione per una ulteriore autocritica e te ne ringrazio vivamente. Ti ringrazio anche a nome di tutto il Movimento per l'attenzione che concedi alle nostre tematiche sulla base di un marxismo non rinnegato e ancora approfondito con un'ampiezza di prospettiva che manca ormai del tutto nella Sinistra di governo. Di questo te ne rendiamo atto noi tutti. Per noi è essenziale che certe cose si dicano sia pure ad una sola persona, se questa è un marxista antagonista e non disdegna di dialogare con noi per quell'antifascismo viscerale che presso i marxisti non è soltanto un «dovere d'ufficio».

Comincio col dire che la tua fedeltà al mito di Marx la trovo positiva per la sua «inattualità» in senso nietzschiano. Quanto a quella che tu chiami la mia «demonizzazione» di Marx, essa è in realtà la conseguenza del fatto che anche io ho «subìto» il fascino del suo mito. Ma si sbaglierebbe nel ritenere che io sia soltanto un «innamorato deluso». Il mio «amore» per l'uomo di Treviri è stato sempre vigile, e per questo non può dirsi amore propriamente. Se ti può essere utile sappi che anche le donne io le amo in maniera vigile, e non proprio al modo in cui è «vigile» uno che è nato e quasi sempre è vissuto nel profondo Sud. Sono quasi certo che in questo atteggiamento del mio io immutabile nel tempo, non vi sia nulla di riconducibile a spiegazioni psicanalitiche, nemmeno di tipo jünghiano. Il mio distacco da Marx è stato originato dall'attenta lettura delle sue opere principali (anche di qualche lungo brano del "Capitale"), e dal riscontro che la sua «filosofia della prassi» ha avuto nei suoi seguaci fino a Pol Pot. Ammesso anche che questi ultimi abbiano «esagerato», converrai che il «capovolgimento della filosofia nella prassi» significa ben qualcosa, e che le parole hanno comunque un significato, anche «estrapolate dal contesto» Quando ciò sia fatto con onestà, una onestà «ideologica» che non mi sentirei nemmeno di negare al macellaio Pol Pot.

Quanto a Marx, direi che era sincero quanto disonesto. Ribadisco quanto ho già detto: non si ha il diritto di pretendere di cambiare il mondo quando si è «come tutti gli altri uomini»; se ci si arroga un cotanto diritto, ognuno ha il sacrosanto diritto di sospettare. Non credo, caro Galante, che ciò equivalga a una «demonizzazione». Dirò di più. Questo marxiano operare «pro domo sua» e solo strumentalmente per un proletariato che non solo «intellettualmente» si disprezza, accomuna Marx a tutta la cosiddetta «scienza» borghese. Si, egli era proprio come gli spregiati «liberaloni», ed è al riguardo sintomatico il suo odio Per Proudhon e per il nostro Mazzini, irriso col nomignolo, geniale nella sua icasticità virulenta, di «teopompo». Tu, caro Galante, mi concedi che il comunismo sia la quintessenza del liberalismo. Io però non posso concederti che il comunismo offra in più, rispetto all'eguaglianza giuridica, l'eguaglianza materiale ossia pari opportunità economiche per tutti. Intanto, nella fase «socialista» marxiana vige l'ineguaglianza in funzione dei «meriti sociali» ed è lo «Stato», ovvero il partito, l'unico proprietario. Nella fase «comunista», poi, il discorso delle «pari opportunità economiche» non si pone neanche, stando alla teoria marxiana e anche leniniana, in quanto «tutto è di tutti» e non vi è nulla a cui non si possa accedere. Vi sarebbero diversi rilievi da fare sul carattere di questa «utopia». Per noi è più onesto e altresì realizzabile socializzare la piccola e la grande proprietà, non abolire la proprietà ma concederla a tutti nella sua pienezza.

Erano a un di presso le idee di un Robespierre, di un Proudhon, di un Mazzini e di una certa corrente del cattolicesimo romano. Erano e sono le nostre idee. Non saranno mai le idee del marxismo che contava e conta ancora. Non saranno mai le idee dell'antifascismo viscerale perché strumentale solo alla difesa di particolari interessi.

Caro Galante, è certo che tu non appartieni a questa «genia» perché, in caso, avresti «altro» da fare piuttosto che scrivere a noi sulle problematiche «teoriche» del marxismo. Scusami la crudezza, ma nel marxismo non esiste alcuna teoria che meriti questo nome. È tutta una «geniale» costruzione da avvocatuccoli rampanti, la cui suprema «ruse» consiste nell'accecare gli idealisti, come te e in qualche misura come me. Che però non finisco di ringraziare il «Dio Sconosciuto» per avermi dato una «natura vigile».

Trovo, caro Galante, che in te circola un pessimismo radicale sulla natura umana, un pessimismo che mi sembra riflettere l'antropologia cristiana. La tua «pietas» per le miserie umane a me sembra l'origine di quelli che io ritengo errori anche gravi. Perché non essere meno «pietosi» e prima ancora meno pessimisti? Non necessariamente significa «diventare spietati» o ottimisti e fanatici come alcuni fondamentalisti islamici e cristiani d'altri tempi.

Qualcosa, per concludere, sul «nazionalismo». Dici di sentirti italiano «per i contributi dati (da noi) nel favorire la umane sorti». Concordo pienamente. Ma non credi che le due guerre mondiali a cui noi partecipammo, non dovrebbero essere motivo di tanta «vergogna» se vi partecipammo per difenderci dagli imperialismi più forti che avrebbero finito con lo schiacciare tutti? Noi, in effetti, combattendo quelle guerre, abbiamo contribuito a «favorire le umane sorti» contro l'imperialismo, perché effettivamente eravamo una «nazione proletaria». Abbiamo perso alla fine la partita. Ma non importa. Quel che importa è che abbiamo dimenticato di essere stati una «nazione proletaria». E la colpa più grave ce l'hanno i marxisti nostrani. Non solo comunisti. Ora però la responsabilità di quel che si farà o non si farà cade tutta sugli eredi del vecchio PCI. Bisogna gridarglielo ben forte sul muso. Quello che sostieni sugli USA posso anche concedertelo, ma tu non puoi non concedermi che gli USA, in quanto potenza egemone dell'«imperialismo come fase suprema del capitalismo», sono oggi, in regime di globalismo, il nemico numero uno di coloro che si battono per «favorire le umane sorti». Conviene essere assai parchi in riconoscimenti nei loro confronti. Peraltro, nel recente scandalo che ha coinvolto la Casa Bianca, non direi abbia fatto una bella figura quella che dovrebbe essere la Potenza guida del Mondo nel Terzo Millennio. Non mi riferisco tanto al suo Presidente, che -come diresti tu- «è in fondo un uomo», ma alla sua classe dirigente e al popolo tutto, col suo puritanesimo ipocrita e con la sua incapacità di esprimere un giudizio chiaro di condanna o di assoluzione.

Con stima

 

Francesco Moricca

 

 

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