da "AURORA" n° 51 (Settembre 1998)

POLITICA E SOCIETÀ

 

La Sinistra italiana sull'orlo del baratro

Renato Pallavidini

 

 

La storia di questo secolo è stata troppe volte scandita dalle più tragiche scissioni della sinistra.

Non è questo il momento e il luogo per rievocare queste tragedie e le loro altrettanto tragiche conseguenze. Tuttavia, ciò che si sta verificando in questi giorni, in queste ore, all'interno della sinistra italiana esige una presa di posizione da parte di tutti i suoi militanti.

Lo squallido quadro che ci stanno offrendo Bertinotti, i suoi «fidi» alleati trozkisti, D'Alema, Veltroni, Cofferati è certamente l'ennesima tragedia della sinistra italiana, ma agli occhi dell'opinione pubblica «non schierata» e della destra berlusconiana assume un tale aspetto di farsa, di teatro dell'assurdo, da inibire sul nascere ogni paragone con i grandi drammi della storia della sinistra internazionale: dallo scontro sanguigno fra SPD e, Comunisti nella Germania del 1919, sino alla lacerazione del socialismo italiano fra il 1914/15 e il 1922.

La vittoria elettorale dell'Ulivo nel '96, è scaturita dal voto comunista e antagonista, nei collegi uninominali. Ammesso e non concesso che militanti ed elettori pidiessini e ulivisti pensassero ad una «grande svolta riformatrice ed europeista», mi pare molto chiaro che dalla sinistra antagonista veniva un voto soprattutto anti-berlusconiano e anti-finiano. Gran parte dell'elettorato «ulivista» non ha assegnato a Prodi e a D'Alema un mandato per chissà quali «riforme europeiste», né tanto meno per una svolta epocale in direzione del socialismo, -non riescono però ad entrare in sintonia telepatica con le fantasie di Bertinotti; magari lui credeva veramente che si potesse marciare in direzione del socialismo magari chiamando in aiuto truppe zapatiste o cubane!

Molto più realisticamente di Bertinotti, sono convinto che gran parte dell'elettorato di sinistra fosse, in primo luogo, conscio di tutti i limiti epocali e internazionali entro cui avrebbe dovuto muoversi Prodi e, dunque, si affidasse all'Ulivo per temperare, quanto più possibile, l'impatto del liberismo economico e dell'attuale sistema imperialistico sullo Stato sociale e sugli interessi complessivi delle classi lavoratrici e delle masse popolari, in attesa di tempi migliori.

In secondo luogo, questo elettorato, molto più conscio di Bertinotti e di D'Alema della pericolosità sociale e istituzionale del Polo, ha conferito al centrosinistra e a Rifondazione Comunista il mandato imperioso di smantellare questa destra eversiva, di sgretolare Forza Italia, di riemarginare Fini e i suoi «ras», di rispedire a casa i riciclati di peggior stampo -da Casini a Cicchitto, passando per Publio Fiori, ecc.- e infine di consentire ai Magistrati di fare sino in fondo il loro lavora, spedendo nelle patrie galere Berlusconi, Previti e la loro banda.

Ora siamo di fronte ad una rottura non facilmente sanabile fra PDS e Rifondazione, al rischio della «sfarinazione» di Rifondazione stessa, al logoramento complessivo d'immagine e di consensi di tutta quanta la sinistra, che nella migliore delle ipotesi può portare alla costruzione di un grande polo centrista, che si sta già configurando, fra l'UDR di Cossiga e di Cicchitto, i centristi laici dell'Ulivo, il PPI, i vari tronconi dell'ex-PSI, come una riedizione aggiornata e corretta del vecchio Pentapartito.

 

Se tutto va bene e sorvoliamo sul peggio al momento!

Quali le responsabilità di questo ennesimo dramma, con toni farseschi, della sinistra italiana?

In primo luogo, credo si debbano inchiodare alle proprie responsabilità, Bertinotti e la sua «frazione», perché ormai in Rifondazione, siamo al «frazionismo» scissionista, come puntava sin dall'inizio la canaglia trozkista del partito; argomento sul quale ritorneremo!

Quanto dicono Veltroni e Marini, in questi giorni, è sacrosanta verità: non si può votare il documento di politica economica del governo a giugno, per poi bocciarne una finanziaria ad esso conseguente ad ottobre!

È ormai più di un anno che Bertinotti si muove fra i tatticismi della peggiore tradizione del minimalismo socialista e l'estremismo demagogico, verbale, velleitario del più inconcludente massimalismo italiano, prima, durante e dopo il fascismo.

Bertinotti ha una strategia, un progetto politico, una tattica da proporre in alternativa al PDS o allo stesso Cossutta?

Su tutti questi punti che, nella tradizione marxista-leninista sono basilari per qualificare un partito come Partito Comunista, Bertinotti non ha prodotto un solo documento, neppure un articolo o un discorso. Solo velenose e improvvise polemiche contro tutto e contro tutti; critiche aprioristiche e demagogiche.

Bertinotti, i bertinottiani e la canaglia criminale trozkista, che sta ribaltando gli equilibri interni agli organi dirigenti del partito, sul terreno delle misure sociali, contenute dalla nuova finanziaria, non hanno neppure avanzato controproposte specifiche degne di questo nome. Almeno, l'anno scorso -quando il Presidente Cossutta era ancora ascoltato, con il rispetto dovuto e meritato sul campo dello scontro politico- c'erano state proposte sulle privatizzazioni e sull'orario di lavoro, che hanno impedito il peggio all'ultimo momento. Ora agli slogans demagogici, alle chiacchiere televisive -quanto mai si è visto, nella storia del XX secolo, un Segretario generale di un Partito Comunista apparire in televisione, per portare in pasto alla piazza e all'industria dello spettacolo, i più gravi e delicati dissensi interni al Partito? Giustamente Cossutta ha rifiutato la partecipazione allo squallido teatrino televisivo!!!- si aggiunge il nulla più assoluto. Si può solo intuire la voglia pazza di correr dietro a tutti i Centri sociali d'Italia -ricevendone magari in cambio pacchi bomba-, per dissolvere il Partito in un movimento gaudente che rischia di anteporre le «canne» alle Bandiere Rosse!

In secondo luogo, credo siano ormai visibili tutti i limiti del riformismo del PDS, che non guarda neppure più al socialismo europeo, ma a Clinton, a Blair e ai vecchi miti kennedyani di Veltroni (si sarà forse pentito di aver partecipato alle manifestazioni contro la guerra del Vietnam, visto che l'ha iniziata proprio il suo amato Kennedy?).

Non è mia intenzione in questo articolo focalizzare il problema analiticamente, sia perché l'editoriale del numero precedente di "Aurora" è stato più che sufficiente ad inchiodare anche D'Alema e Veltroni alle loro responsabilità, sia perché purtroppo, proprio su questo terreno, la realtà parla da sé ed è esaltata dai media Cofferati ha osato proporre un nuovo patto sociale per difendere i «salari reali» dei lavoratori! 0 Cofferati sta per essere progressivamente colpito dal morbo di Halzeimer o che vuole prendere tutti in giro!

In base agli accordi del '93 c'è stata una caduta verticale proprio «salari reali», con la clausola capestro che i contratti dovevano tenere conto dell'inflazione programmata a non di quella reale. Ma questi accordi sono stati rispettati sino in fondo, perché, ad esempio, mentre Berlinguer sta sfasciando il Liceo italiano, il contratto della scuola -che coinvolge ben 3 milioni di docenti e non-docenti- è scaduto dalla fine del '97 e nessuno sembra se ne sia accorto: i giornali e le TV non ne parlano, i sindacalisti tacciono ormai troppo impegnati a tenere discorsi ai convegni della Confindustria.

Ora che tutto il padronato chiede una revisione di questi accordi, in senso peggiorativo, con la condiscendenza di Ciampi e della «sinistra democratica», Cofferati osa parlare di difesa del «salario reale», dando per scontato che sia aumentato negli ultimi anni?

È ovvio che, con un simile quadro «riformista» si creano enormi spazi di polemica e di azione politica a sinistra, fra disoccupati, lavoratori, giovani, ceti sociali declassati di ogni profilo professionale e proprio gli insegnanti ne sono un esempio emblematico. Purtroppo, a sinistra, dei «riformatori» c'è ormai la terra bruciata, sulla quale si ergono le polemiche da ballatoio e la «erre» moscia di Bertinotti.

In terzo luogo, un fattore importante della crisi interna a Rifondazione, che sta alterando in modo decisivo gli equilibri fra cossuttiani e bertinottiani, è rappresentato dalla presenza organizzata dei trozkisti, dalla loro azione frazionistica e antipartito.

È un fattore che sfugge ormai all'opinione pubblica e può focalizzare solo chi conosce dall'interno la storia del movimento comunista, e Cossutta che la conosce, l'ha vissuta e in parte fatta, forse doveva prevenire in tempo la crescita del cancro trozkista nel partito.

Trozkij e i suoi seguaci si sono sempre contraddistinti per politiche settarie, per un'azione frazionistica, e scissionistica interna ai partiti comunisti, sino a quando ne hanno tollerato la presenza e le provocazioni. Si pensi solo alla loro opposizione a Lenin nel marzo 1921. Ma non è questo il luogo per aprire gli archivi della storia, perché se lo fosse, dovremmo anche discutere del film reazionario, provocatorio, anarco-trozkista, mistificatore della verità storica "Terra e libertà".

Era chiaro che la canaglia trozkista, ben organizzata in frazione, -come consuetudine- ha colto al volo i limiti soggettivi e oggettivi di Bertinotti, ne hanno compreso il potere persuasivo alimentato dalla TV ed ora non ci si può certo meravigliare che non solo l'appoggino, ma ne definiscano gradualmente la linea politica: la protesta sociale fine a sé stessa, nel più assoluto isolamento politico.

In questo possibile sbocco della crisi di Rifondazione, credo personalmente sia pensabile un gioco delle parti: Bertinotti farà demagogia e movimentismo, si trascinerà dietro giovani dei Centri sociali e sbandati di tutte le risme; la canaglia trozkista costituirà la testa pensante e dirigente del «movimento» e tenterà, in prima persona, di espandere la sua specifica base di consenso fra il tradizionale proletariato di fabbrica.

In qualunque modo, in Italia, non ci attende certo un futuro roseo; questo nel momento la cui da Mosca, ove però la cancrena purulenta del trozkismo è stata tempestivamente «curata» nel corso degli Anni 30, stanno arrivando notizie politiche sempre più confortanti per l'intera sinistra antisistema.

Renato Pallavidini

 

 

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