da "AURORA" n° 52 (Novembre 1998)

GIOVANI E SOCIETÀ

 

«Uno sciopero generazionale?»

Riflessioni sulla proposta del commissario Monti

Luigi Dell'Olio

 

«Ci vorrebbe uno sciopero generazionale» ha sentenziato circa un mese fa il commissario europeo Monti. Una frase forte legata ad un problema altrettanto forte come quello del disagio giovanile. Ma al tempo stesso una frase che si presta ad una serie di critiche e discussioni. In queste ultime settimane non vi è stata parte politica che non abbia soffermato la propria attenzione sul problema sollevato da Monti, non vi è stato politologo, soprattutto fra i «pedagoghi di sinistra» che non abbia detto la sua.

Ma, mi chiedo, ha senso parlare oggi di uno sciopero generazionale?

L'impressione che ricavo dall'esperienza di ogni giorno è distante anni luce da qualsivoglia sollevazione in massa dei giovani. La generazione dei ventenni cresce con una certezza: «tanto non cambia nulla in questo paese». È questa la convinzione dei giovani quando li si invita ad un maggior impegno in politica; è questo lo stato d'animo con cui si apprestano ad affrontare i concorsi (rassegnati ad essere superati da chi è «raccomandato»); è questo ancora il commento alle notizie di soprusi apprese dai mezzi di comunicazione.

In sostanza i ventenni crescono in un clima in cui manca l'educazione al senso civico ed alla collettività. «Cresciamo -affermava un ventenne pochi giorni fa in T.V.- con un concetto labile del termine stesso di generazione».

Niente di più vero. Viviamo una situazione in cui i giovani sono parcellizzati, non rappresentano una forza unitaria, non hanno più, se non in casi rarissimi, luoghi di discussione e riflessione, come potevano essere un tempo l'università o la fabbrica, dove ci si confrontava sulla propria difficile condizione di vita. «Le difficoltà reali dei giovani di oggi -questo il pensiero di Giuliano da Empoli, giovane studioso di politica ed economia- sono attutite da una sorta di corruzione diffusa: anche chi non lavora ha un telefonino e può permettersi di andare in discoteca grazie alle «mance dei genitori».

Così al mancato ricambio generazionale del mondo culturale italiano si risponde troppo spesso con un individualismo sfrenato. Di certo, i partiti politici non riescono più a svolgere un ruolo di traino per le giovani generazioni: è facile, difatti, constatare la doppia velocità esistente ormai tra società e politica: la seconda appare quasi sempre in affanno a porsi in sintonia con la prima. Neanche i partiti di sinistra paiono più credibili per le nuove generazioni. Riesce difficile capire come le due maggiori formazioni politiche della sinistra italiana riescano, al di là di qualche proclama ufficiale, a scommettere sulla libertà delle imprese e così poco sulla libertà dei giovani.

Sino a quando continuerà una deriva paternalistica dei partiti di sinistra su tematiche quali la procreazione assistita, le nuove famiglie, comprese quelle dello stesso sesso, le droghe leggere (a proposito come si fa a far comprendere ai giovani che se qualcuno vuole depenalizzare il reato di finanziamento illecito ai partiti non è accettabile rinunciare a depenalizzare i reati dei ragazzi che regalano uno spinello ad un amico?) sarà difficile abbattere la spessa cortina che divide oggi i giovani dalla politica.

«Non vorrei -ha acutamente osservato Gloria Buffo, esponente dell'ala sinistra dei DS- che, con la sinistra al governo, restassimo un paese che continua e portarsi dietro le grandi disuguaglianze e contemporaneamente non sa fare quel passo indietro dello Stato rispetto alle libertà dei cittadini».

Infine il problema più grande: il lavoro. Gli ultimi dati ci parlano di un mezzogiorno d'Italia in cui il 54% dei ragazzi e il 63% delle ragazze è senza lavoro. Una situazione di estrema gravità che rischia di portare in Europa l'Italia della moneta e quella delle imprese, ma di lasciar fuori i giovani. Un problema, questo della disoccupazione, che getta nello sconforto buona parte del mondo giovanile, senza però rappresentare un collante sociale, ma piuttosto un dissolvente, in quanto si finisce col cercare di arrangiarsi, accettando il lavoro a prezzi bassissimi, per sconfiggere l'agguerrita concorrenza: una sorta di lotta fra esclusi, insomma, che cercano in qualche modo di inserirsi nel «mercato» del lavoro.

Questi dati, dunque, fanno capire quanto il terreno sociale sia avverso al nascere di un nuovo movimento giovanile di protesta. Dovremmo a questo punto concludere con le parole di una influente ideologa della sinistra moderata, che ha motivato l'impossibilità dello sciopero affermando che nel nostro paese «i giovani non esistono»? Ci andrei cauto. C'è molto da lavorare per creare una nuova coscienza sociale e civile, bisogna lavorare su sistemi e linguaggi nuovi per capire ed unire un disagio giovanile crescente, ma un esasperato disfattismo mi sembra fuori luogo.

Luigi Dell'Olio

 

 

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