da "AURORA" n° 52 (Novembre 1998)

"IL PRIMATO"

La grande illusione della Trimurti polista

il giobertiano rosso

 

Abbiamo ancora impressa negli occhi la scena del grande tripudio delle destre nell'aula di Montecitorio nel momento in cui il presidente Violante annunciava che Prodi e il suo governo erano stati affondati da un unico siluro scagliato dall'onorevole perché deputato vattelapesca, navigatissimo uomo buono per tutte le stagioni trasferitosi con eccezionale sprezzatura dalla flotta azzurra del navarca di Arcore ai bianchi navigli del nocchiero di Sassari per poi nuovamente reimbarcarsi su di un sommergibile battente il vessillo del Polo e comandato in servizio di scorta alle fregate berlusconiane. Urla di gioia, battimani a non finire, baci abbracci congratulazioni reciproche. Et pour cause: un radioso avvenire si spalancava dinnanzi a loro. La vita sorrideva, a Sua Emittenza, al suo ventriloquo privato Gianfranco Fininvest, a Pierferdinando Casini (un nome che è tutto un programma) detto anche il bellissimo Cecè. E, ovviamente, a tutti i loro variopinti equipaggi di reazionari della più bell'acqua. Naturale che andassero a brindare a champagne -i capi, s'intende, perché bisogna pur mantenere le distanze- nei saloni del Grand Hotel.

Le ragioni di cotanta sterminata gioia erano evidenti -ancorchè non esternate- per chi di politica mastica qualcosa. I predetti personaggi della Troika polista -è mai immaginabile un Casini senza una Troika?- così si argomentavano addosso: grazie al dogmatismo di quel grande Re dell'Irrealtà che risponde al nome di Fausto (o Faust?) Bertinotti la nave ammiraglia dell'Ulivo si è inabissata nei flutti del massimalismo. Noi ringraziamo per il segnalato favore fattoci questo brillante intellettuale rosso sì epperò vagante spesso e soprattutto volentieri nel modugnano «blu dipinto di blu» -cosa che sistematicamente gli vieta di approfondire il famoso saggio di Wladimir Ilic Ulianov detto Lenin «Estremismo malattia infantile del comunismo»- e procediamo oltre. Cioè? Ecco: mettiamo il Capo dello Stato in condizione di dover sciogliere le Camere e indire elezioni prima che scatti il semestre bianco, lo scontro con un centrosinistra ormai in pezzi e fallimentare si risolve in una semplice passeggiata sotto l'Arcore di trionfo, dalle urne scaturisce un Parlamento dominato dalle destre, da questo parlamento schizza fuori nella primavera del '99 un Presidente della Repubblica (Silvio Berlusconi) che, a sua volta, individua in Gianfranco Fininvest il capo della maggioranza cui affidare la Presidenza del Consiglio. A questo punto il gioco è fatto: le destre acquisiscono un dominio destinato a durare ben oltre il settennato berlusconiano attraverso la sommatoria dello sterminato impero mediatico del quirinalizzato cavaliere con gli strumenti comunicativi del servizio pubblico, il tutto sorretto dai quattordicimilaquattrocento miliardi del Nostro magari destinati a infinitamente moltiplicarsi grazie al pimento del Potere. Ciò, ovviamente, a tacer d'altro e d'altri.

Sic stantibus rebus (presuntivamente, è chiaro) l'allegra brigata aveva ben donde di sciacquare i propri panni non in Arno, a mo' del Manzoni, bensì in spumante d'oltre Cenisio di raffinatissima qualità. Sennonché...

Sennonché una settimana dopo tutto è andato a catafascio giacché il centrosinistra, come la fenice, è inopinatamente risorto dalle sue ceneri. Giovandosi, peraltro, diversamente della precedente edizione, di una florida salute parlamentare. Di più: senza «vivere pericolosamente» sotto il torchio dell'intrattabilità bertinottiana. E ancora -checché ne dicano i salotti radical-chic e ciò che residua di Rifondazione- con l'asse governativo più spostato a sinistra in virtù della presenza a Palazzo Chigi del leader del Massimo partito della sinistra, della immissione nella compagine governativa di esponenti dei comunisti cossuttiani, di un Cossiga che -Gladio o non Gladio- dichiara in una intervista a "il Corriere della Sera" di riconoscersi nell'area e nella cultura della sinistra cattolica.

La Trimurti polista cerca di consolarsi con la manifestazione romana di cui vanta il risultato di un milione di partecipanti, certo ragguardevole e non sottovalutabile. Si dà il caso, tuttavia, che l'Italia disponga, suppergiù, di sessanta milioni di abitanti. E allora, Cavaliere bello, vogliamo cercare di capire come la pensano gli altri cinquantanove? Lei ci appare troppo sicuro di averla già in tasca questa massa sterminata di nostri compatrioti, ragion per cui con la solita arroganza pretende immediate elezioni. Per un ovvio ossequio ai canoni della retta e corretta democrazia, dice; in realtà perché ritiene la medesima una sorta di impiegata della "Standa" o della "Mondadori" o un calciatore del Milan, come loro tenuta per contratto -naturalmente interpretato in chiave autoritaria- a stare ai suoi insindacabili ordini.

Ma se non ha capito che nel Paese il vento, e da un pezzo, è cambiato; se non si rende conto che non basta una pur ben riuscita manifestazione -peraltro organizzata lavorandoci per mesi con un apparato degno di quello del vecchio PCI e impiegandovi mezzi finanziari e mediatici sterminati- per impadronirsi della Repubblica; se non è arrivato alla conclusione che se il sindacato, la sinistra, i cattolici popolari, la classe operaia si mobilitano con la piazza, con le piazze, non lasciano bensì raddoppiano, allora vuoi dire che della politica non ha capito niente.

Con buona pace di un altro Eroe della D'esistenza e grande teorico di se stesso, Gennaro Malgieri -meglio conosciuto come Don Gennariello da Solopaca- direttore par-time de "il Secolo d'Italia", organo di camicie nere diventate azzurre per più efficacemente montare la guardia ai 14.400 miliardi del Paperone di Arcore e al suo impero mediatico.

il giobertiano rosso

 

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