da "AURORA" n° 52 (Novembre 1998)

STUDI E RICERCHE

 

Albania '97:

riflessioni sulle ragioni della crisi e sul ruolo delle istituzioni internazionali di finanziamento

(parte prima)

Andrea Segrè

 

1. Premessa

In questa nota cercherò di spiegare, per quanto possibile, le ragioni della crisi albanese del '97 interrogandomi, alla luce dell'esperienza del periodo '91-'96, sul ruolo svolto dalla comunità internazionale e in particolare dalle istituzioni internazionali di finanziamento. Pertanto non descriverò né gli avvenimenti del '97, già ampiamente ed efficacemente riportati altrove, né affronterò il problema della ricostruzione e delle prospettive di sviluppo economico e sociale del paese, esercizio cui molti si sono volentieri sottoposti ma che rimane inutile fino al momento in cui non saranno chiarite le ragioni che hanno portato «collasso» del paese. Il rischio che si sta correndo è forte: ripetere, fedelmente, gli errori -perché alcuni errori evidentemente ci sono stati- fatti in passato.

 

2. Le questioni riaperte dalla crisi delle «piramidi»

Quella che è stata indicata come la crisi delle «piramidi» -definizione impropria perché da conto soltanto di una parte della crisi, la punta di un iceberg, ma molto efficace in quanto figura la portata «faraonica» del fenomeno stesso e degli eventi che ha successivamente innescato- impone una riflessione. Riflessione che peraltro non sembra essere stata fatta in modo adeguato, non soltanto all'interno del paese ma anche nell'ambito della cosiddetta comunità internazionale. E che invece sembra tanto necessaria quanto eclatante è stato per certi versi il fallimento delle politiche di aiuto nella transizione all'economia di mercato nel paese balcanico, a suo tempo -in realtà fino a pochi mesi fa- considerato un modello, una «success story», per tutti i paesi post-comunisti.

Come noto, l'Albania ha ottenuto dalla comunità internazionale la quota pro capite di aiuto più elevata fra le ex-economie di piano. Nell'arco di tempo '91-'96 i «donors» -Italia in prima fila- hanno promesso oltre 2 miliardi di dollari impegnandone circa il 50%, per la maggior parte destinati a progetti di investimento pubblico. Eppure ciò non è bastato ad evitare che esplodesse una crisi economica, sociale e politica senza precedenti e, almeno apparentemente, imprevedibile.

Al contrario i più ritenevano che si sarebbe trattato di un «viaggio eccitante», come si può leggere nelle conclusioni di una diffusa pubblicazione della Banca mondiale (1): «assieme Albania e Banca Mondiale hanno intrapreso un viaggio eccitante. I successi ottenuti nel '92-'94 sono una buona partenza» (p. 88). Grazie alla «shock teraphy lanciata in accordo e con il supporto della Banca stessa e del Fondo monetario internazionale» (p. 11), l'Albania in poco tempo si è trasformata in «un piccolo porto di pace e di crescita economica» (p. 16) «capace di generare immediatamente dei risultati estremamente positivi» (p. 81).

Perché, invece, questo viaggio da eccitante si è trasformato in un vero e proprio incubo, soprattutto per gli albanesi, ma anche per la stessa comunità internazionale e l'Italia in particolare? Perché il porto, invece di essere un metaforico e ideale embrione dello sviluppo economico del paese, è diventato nella realtà il punto di passaggio dei principali traffici clandestini e il centro dell'economia illegale? Perché, invece di generare immediatamente dei risultati positivi, il paese ha sviluppato un sistema economico fittizio, fondato cioè non sulla produzione ma sugli aiuti internazionali e le rimesse degli emigrati e sull'illusione creata dalle finanziarie piramidali? Veramente quella delle «piramidi» è stata soltanto una straordinaria follia collettiva, tanto potente da contagiare pure gli osservatori e i rappresentanti internazionali più attenti e presenti nel paese fin dagli inizi della rivoluzione democratica? E ancora ci si può -ci si deve- domandare se quanto avvenuto nel '97 era in qualche modo prevedibile e quale è stato il ruolo della stessa comunità internazionale nella determinazione di quegli eventi.

Anche e soprattutto in una prospettiva futura è bene allora interrogarsi sulle cause, siano queste endogene e/o esogene alla realtà -come noto estremamente complessa- dell'Albania, e che hanno (ri)portato il paese a un groviglio di problemi e di controversie locali e internazionali. Riportato perché la crisi attuale affonda, necessariamente, le sue radici nella lunga storia e nella forte tradizione culturale del paese -la letteratura sull'Albania è tanto ricca quanto poco consultata-, del resto già così ben sintetizzate in un poco conosciuto ma illuminante reportage di Joseph Roth pubblicato nel '27 dalla "Frankfurter Zeitung". (2)

Evidentemente non sarà facile trovare delle risposte agli interrogativi sollevati appena sopra. In questa sede, per così dire di riflessione preliminare, sarebbe già un risultato notevole riuscire ad evincere, collegandoli, il numero più elevato possibile di elementi che costituiscono il quadro di riferimento che ha portato alla crisi del '97, di per sé stesso molto complesso e ancora veramente poco chiaro, soprattutto nella speranza che il dibattito venga approfondito e arricchito da altri contributi. (3)

 

3. Economia virtuale e traffici illegali

Paradossalmente le conseguenze degli avvenimenti del '97 -la spirale inflattiva, il deprezzamento del lek, il peggioramento di tutti i principali indicatori economici e sociali (4)- hanno avuto un merito molto importante e cioè hanno fatto emergere le reali condizioni di degrado in cui l'Albania è sempre stata, nonostante le statistiche ufficiali fornissero un'immagine tanto positiva quanto virtuale.

Di tutti i paesi dell'est-europeo quella albanese risultava fra il '93 e il '96, l'economia con il tasso di crescita economica più elevato (il prodotto interno lordo sarebbe aumentato mediamente dell'8-9% all'anno), il livello di inflazione più basso (circa 10% su base annua), il livello di disoccupazione più modesto (sotto il 10%), i tassi di cambio più stabili (il dollaro si è per lungo tempo scambiato attorno ai 100 lek). Un quadro macro-economico, insomma, di sviluppo e stabilità che tuttavia, come si vedrà meglio oltre, non trova(va) essenziali riscontri nella realtà risultando di fatto apparente.

Avere la certezza che ci siano state delle distorsioni volute nella presentazione delle statistiche ufficiali, e una conseguente strumentalizzazione da parte delle autorità governative, risulta a questo punto poco rilevante. Più importante sarebbe invece capire perché i dati pubblicati sono sempre stati avvallati, autorevolmente, dagli organismi internazionali. (5) L'Albania era diventata l'orgoglio del Fondo Monetario internazionale e della Banca Mondiale perché avvalorava le loro tesi e i lo schemi.

Coerentemente peraltro le istituzioni internazionali hanno continuato a difende e a confermare il «miracolo albanese» se è vero, come è vero, che in un documento preparato congiuntamente da Banca Mondiale, Commissione europea, Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo e Fondo Monetario Internazionale immediatamente dopo le elezioni del 29 giugno '97 si certificava ancora «la crescita impressionante del prodotto interno lordo, fra i più alti in Europa nel periodo '93-'96». (6)

Tuttavia, al di là dei possibili artifici numerici -senza che ciò implichi necessariamente la dolosità visto, che le statistiche albanesi non sono state mai veramente contestate- e considerando che in effetti l'economia albanese nel '91 aveva subito una sorta di azzeramento e quindi i tassi di crescita riflettono questa condizione, il fatto saliente -questo si evidente per chiunque sia venuto a contatto non sporadico e superficiale con la realtà albanese- è che in oltre cinque anni di libero mercato il paese non è riuscito ad avviare una vera e propria economia produttiva lasciando invece molto spazio ai traffici illegali.

Nonostante che la maggior parte dei rapporti rilevasse il contrario (7), l'assenza di un'economia produttiva era palese ben prima del '97. L'esempio più eclatante si ritrova nel settore primario, ma anche industria e terziario non si sottraggono a questa evidenza.

L'agricoltura, il settore che ha registrato i tassi di crescita maggiori -certamente giustificati dal fatto che la de-collettivizzazione totale e immediata ha arrestato per un certo periodo l'attività produttiva- in realtà produce per l'autoconsumo. (8) Anche se in questo caso l'economia di sussistenza non è poca cosa se si considera che la popolazione agricola e rurale rappresenta una quota notevole -intorno ai due terzi- della popolazione totale. D'altra parte è difficile pensare che le 450mila micro-aziende agricole di poco più di un ettaro di superficie agricola suddivisa in 4-5 appezzamenti dislocati in punti diversi e condotte da famiglie di 5-6 persone, prive di dotazioni meccaniche e sotto-capitalizzate (9), fossero in grado di produrre un surplus da destinare ai mercati, vista anche la carenza di mezzi di trasporto, di strutture di conservazione e trasformazione, di mercati alimentari organizzati.

Se la privatizzazione delle strutture produttive, la liberalizzazione totale dei prezzi, l'assenza di sussidi diretti o indiretti alla produzione agricola nazionale e la mancanza di barriere tariffarie (e anche di controlli ai confini hanno fatto dell'agricoltura albanese un «modello» citato ad esempio dagli organismi internazionali, gli effetti di questo rarissimo caso concreto di liberismo applicato al settore primario, amplificati dalle deficienze strutturali e infrastrutturali viste sopra, si sono concretizzati in massicce importazioni di prodotti agro-alimentari, gran parte dei quali originari dai paesi dell'Unione europea e quindi non esenti da sovvenzioni grazie ai meccanismi della politica agricola comunitaria.

Comunque sia l'«aggiustamento» del settore agricolo sino ad ora ha portato all'abbandono di larghe zone agricole e alla perdita di certe colture locali con conseguenze sul degrado ambientale e sulla diminuzione di bio-diversità, all'incremento dei flussi di migrazione campagna-città e di quelli di emigrazione con effetti dirompenti sulla pressione demografica nelle aree urbane e periurbane e sui traffici di clandestini, alla progressiva abitudine dei consumatori albanesi nei riguardi dei prodotti provenienti dall'estero standardizzati ed esteticamente ben presentati (sebbene mai di prima scelta), ma probabilmente meno salubri di quelli locali, di necessità «naturali» per mancanza di trattamenti chimici. (10)

Osservando i mercati alimentari delle principali città albanesi è facilmente riscontrabile la quasi totale assenza di prodotti agricoli locali, cosa per certi versi paradossale se si considera il ruolo economico del settore primario -nel '96 il 52,3% del prodotto interno lordo era di origine agricola mentre gli attivi rappresentavano il 68,8% del totale degli occupati- nonché la propensione e vocazione agricola dei paese.

Neppure il settore industriale, che avrebbe dovuto costituire il motore dello sviluppo economico del paese, è in realtà decollato (il contributo della produzione industriale è progressivamente diminuito dal quasi 40% del '90 all'11,9% del '96 quando il settore occupava il 6,7% della popolazione attiva). La produzione dell'industria statale non ha superato la crisi dei primi anni 90 ed ha continuato a registrare brusche cadute solo parzialmente attenuate da una produzione privata un po' più sostenuta. Gli impianti obsoleti contraddistinti da un basso livello di efficienza ed un elevato consumo di energia hanno rappresentato un notevole freno alla crescita, peggiorata ulteriormente dall'inevitabile mancanza di know how dei tecnici locali. (11) Se gli investitori privati locali sono stati molto modesti, per non dire fasulli nel caso di alcune società finanziarie (12), quelli da parte di aziende straniere, soprattutto italiane, non hanno contribuito in modo rilevante alla modificazione della struttura industriale del paese (negli anni '95-'96 le aziende italiane, circa 600 unità, hanno creato circa 30mila posti di lavoro).

Il sistema economico albanese si è retto allora, oltre che sugli aiuti e la cooperazione internazionali di cui si dirà più avanti, da una parte sulle entrate legali provenienti dalle rimesse degli emigrati, stimate fra i 350 e i 500 milioni di dollari ogni anno, e dall'altra sui traffici illegali: immigrati clandestini albanesi e provenienti dai Balcani e dall'Asia; armi e carburanti con Serbia e Montenegro, in particolare durante l'embargo, droga albanese (13) e non, con Italia e Grecia.

In parte il denaro generato da questi traffici è stato investito nel «terziario»: bar, ristoranti, negozi, sale giochi e soprattutto i chioschi che hanno invaso ogni metro quadrato dei centri cittadini e persino dei villaggi. La proliferazione esponenziale e disordinata dei chioschi dà peraltro la misura dell'assenza totale di qualsiasi regolamentazione di tipo edilizio, igienico sanitario, commerciale. Tutto è sommerso, senza regole o meglio con le regole della corruzione. Il terziario si è quindi sviluppato come nei paesi più arretrati: una pletora di piccoli commerci con poche merci e tanti venditori, molta burocrazia per condurre a termine una qualsiasi pratica, servizi pubblici sovraffollati di dipendenti (nel '96 i servizi contribuivano &al 20,8% nella formazione del prodotto interno lordo occupando oltre un quinto degli attivi).

 

4. Sistema bancario e finanziarie piramidali

Le condizioni in cui si è trovato il paese non si potrebbero tuttavia spiegare se non rilevando che la maggior debolezza del sistema economico-finanziario dell'Albania -in questo caso al pari di moltissimi altri paesi in transizione- trovi fondamento nell'apparato bancario. In questo settore le privatizzazioni hanno segnato il passo oppure hanno lasciato terreno brado alla corsa senza regole (e freni) di personaggi scarsamente credibili.

E in effetti, non casualmente, l'inizio del fenomeno «piramidi» risale proprio all'indomani dell'annuncio di privatizzazioni fatto da Ramiz Alia, il successore di Enver Hoxha, quando Hajidin Sejdia fondò la prima finanziaria piramidale, la "Illyria Holding", fallita poi nel '92 lasciando uno scoperto di 3,3 milioni di dollari.

D'altra parte in Albania gli ideatori delle piramidi finanziarie (dette fondi), che dopo la pionieristica "Illyria Holding" si sono moltiplicate esponenzialmente coinvolgendo -si stima- il 75% della popolazione e muovendo un giro d'affari pari al 30% del prodotto interno lordo albanese (14), hanno avuto diversi modelli da imitare ad un tempo molto lontani storicamente e molto vicini geograficamente.

È noto che fu l'italo-americano Tom Ponzi a inventare nella Chicago degli anni 20 il meccanismo delle piramidi -chiamato appunto, «Ponzi-scheme»- promettendo interessi elevatissimi in poche settimane da ripagare ai primi clienti con i soldi dei nuovi sottoscrittori. Negli anni questo gioco si è ripetuto molte volte altrove nel mondo (15) e negli ultimi tempi particolarmente nelle economie in transizione dell'Europa Centro-orientale e dell'ex-Unione Sovietica.

A Tirana probabilmente molti erano a conoscenza della "Dafina Bank" di Belgrado dove durante gli anni dell'embargo e dell'iper-inflazione alcuni gruppi decisero di tentare la catena di Sant'Antonio: questa banca privata ha dato interessi mensili del 10% in valuta ad una moltitudine di serbi impoveriti dalla guerra e dalle sanzioni fino all'inevitabile bancarotta. (16) Imbrogli simili sono avvenuti anche in Bulgaria, e i tumulti delle prime settimane del '97 ne sono stati in parte una conseguenza. In quel paese la Banca centrale ha consentito negli ultimi anni la proliferazione di un numero elevato di piccoli Istituti di credito che offrivano rendimenti molto elevati: quando la piramide è crollata sono rimasti sepolti migliaia di investitori. In Russia il caso più clamoroso è stato quello della "Mmm": interessi dal 10 al 50% sul capitale versato ma mai rimborsato.

Questa breve ricostruzione della storia e delle esperienze applicative nell'area est-europea del Ponzi-scheme pone, necessariamente, una domanda: come mai le istituzioni internazionali, e in particolare il Fondo Monetario Internazionale, hanno aspettato tanto a intervenire per impedire o almeno limitare un disastro finanziario annunciato? Fra l'altro in Albania, a differenza degli altri paesi post-comunisti dove i fondi piramidali «vivevano» al massimo sei mesi, una così lunga resistenza -alcune finanziarie hanno operato per oltre 5 anni (17)- avrebbe dovuto far nascere almeno il sospetto che la loro sostenibilità fosse sostentata dalle numerose attività illecite.

È vero che i moniti espressi dagli osservatori del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale ci sono stati, ma l'intervento «allo scoperto» è stato molto tardivo (17 ottobre '96) e comunque insufficiente a convincere il Governo e le autorità monetarie albanesi a prendere le distanze da quell'alta marea speculativa, forse già a quel punto inarrestabile, che poi ha portato effettivamente alla crisi.

 

5. Ipotesi sulle ragioni economico-politiche delle finanziarie piramidali

Poiché in realtà non è ragionevole credere che il Fondo Monetario Internazionale, e quindi la Banca Mondiale e le altre organizzazioni internazionali -peraltro ben radicate nel paese- abbiano lasciato correre il Ponzi-scheme senza poterne prevedere le conseguenze e quindi intervenire, viene il dubbio che ci possa essere stata o una sottovalutazione del fenomeno o quantomeno una sua tolleranza, oppure ancora che si sia andata sviluppando una sorta di «connivenza» -di accordo non scritto- con il Governo e la Banca centrale dell'Albania, le altre due controparti che non potevano essere all'oscuro di quanto stava succedendo. In nessun caso, comunque, il quadro che ne emerge sarebbe positivo.

Una breve ricostruzione cronologica, dalla fine '90 agli inizi '97, aiuta a capire l'ambiente attorno alla quale si è sviluppato il fenomeno delle finanziarie piramidali e delineandone i contorni, contribuisce a spiegarne le ragioni economiche e politiche, l'ascesa e il declino. Gli elementi essenziali del ragionamento, in ordine cronologico, sono i seguenti (18):

* la rivoluzione seguita alla caduta del muro di Berlino si estende, con un paio di anni di ritardo, all'Albania (1990), il Fondo Monetario Internazionale entra nel paese nel '91;

* Tirana mantiene il sistema economico centralistico, la Banca nazionale d'Albania resta l'unica abilitata a far scambi con l'estero, il lek viene vincolato al dollaro in base ad un accordo politico che stabilisce a priori un controvalore (il dollaro oscillerà sempre attorno ai 100 lek);

* inizia l'esodo degli albanesi verso i paesi europei, gli emigranti mantengono le famiglie rimaste a casa con una cifra che inizialmente si stima attorno 1.350 milioni di dollari all'anno, il regime si arricchisce cambiando queste cifre in lek;

* "Illyria Holding", la prima finanziaria piramidale, fallisce lasciando uno scoperto di 3,3 milioni di dollari (il fondatore e proprietario Hajidin Sejdi viene arrestato in Svizzera nel '92), il blocco dei conti serve a far cadere il governo di Fatos Nano (successivamente arrestato il 3 luglio '93) e del presidente Ramiz Alia, accusati di essere legati al truffatore;

* parte la scalata al potere di Sali Berisha (eletto presidente nell'aprile '92) e del suo Partito democratico; nell'agosto dello stesso anno la Banca Mondiale apre nella capitale albanese una missione residente; il Fondo Monetario Internazionale pone dei limiti: se all'aumento di liquidità corrisponde un aumento meno che proporzionale della quantità di merci, esplode l'inflazione; affinché ciò non avvenga il paese deve quindi «bruciare» le rimesse degli emigrati;

* le società piramidali, che continuano a moltiplicarsi, diventano lo strumento per consumare i lek in eccesso stabilendo una corrente inversa di quella delle rimesse degli emigrati, in questo modo con una partita d giro le rimesse vengono «lavate» dalla Banca centrale e dalle società piramidali;

* gli interessi elevatissimi permettono alle famiglie degli emigrati di ritirare regolarmente degli stipendi mensili, una sorta di pensione che all'inizio viene vista (e funziona) come un ammortizzatore sociale;

* il gioco si alimenta con la catena di Sant'Antonio fino a raccogliere quasi due miliardi di dollari e coinvolgere un numero molto elevato di albanesi compresi gli emigrati che investono le rimesse;

* nel frattempo il Partito democratico consolida il potere prima con le elezioni politiche del maggio '96 e poi con le amministrative dell'ottobre dello stesso anno (elezioni entrambe fortemente contestate dall'opposizione ma riconosciute -forse non a caso frettolosamente- dalla comunità internazionale);

* dopo le elezioni alcune società piramidali iniziano ad abbassare i tassi di interesse dando l'impressione che si voglia arrivare alla trasformazione delle finanziare in vere e proprie banche;

* i tassi comunque rimangono ancora estremamente elevati e gli albanesi continuano a investire inebriati dalla possibilità di facili guadagni e ingannati dal sostegno evidente che il governo e lo stesso Presidente continuano a dare alle finanziarie;

* al Fondo Monetario Internazionale viene negato un incontro con lo staff della maggiore finanziaria albanese (ottobre '96);

* nel gennaio del '97, davanti alle pressioni della comunità internazionale che non può più accettare apertamente la situazione dei debiti interni, Presidente e governo decidono di bloccare improvvisamente le attività delle finanziarie;

* la catena viene interrotta: fallisce una delle maggiori finanziarie ("Sudja") e si sparge la voce, incontrollata, della fuga dei capitali (un importante giornale albanese pubblica in prima pagina una foto di un potente motoscafo e un titolo sibillino: "I milioni di dollari delle finanziarie stanno prendendo il largo");

* parte la corsa della popolazione nel tentativo di recuperare i capitali depositati, ma la maggior parte dei capitali accumulati dalle finanziarie è probabilmente già al sicuro (inizia la fuga -non ostacolata- dei proprietari di alcune società):

* il Fondo Monetario Internazionale sblocca il lek che va in caduta libera: per rimborsare il debito basterebbe allora utilizzare una piccola parte dei capitali accantonati;

* a questo punto però il meccanismo sfugge di mano e non può essere portato a termine come, consapevolmente o inconsapevolmente, previsto; parte la rivolta al sud dove i clan sono maggiormente esposti e la popolazione è tradizionalmente avversaria del presidente Berisha, originario del nord:

* la rivolta prende corpo fino a diventare incontrollabile (il 1° marzo si dimette il premier Alexander Meksi) e porta, dopo le elezioni del 29 giugno - 6 luglio, il ritorno dei socialisti al potere.

Senza voler necessariamente alludere a fatti collusivi, se effettivamente è andata così -quello sintetizzato sopra è solo un ragionamento a «buon senso» che incrocia date, avvenimenti politici e fatti economici- allora è molto probabile che Governo, Banca centrale, Fondo Monetario Internazionale e società piramidali in qualche modo siano entrate in un unico «giro» in cui ognuno degli attori citati aveva un proprio tornaconto. Governo e Banca centrale potevano esercitare e consolidare il potete politico, economico e finanziario; le finanziarie piramidali potevano continuare indisturbate i traffici illegali, il vero affare per loro (19), Fondo Monetario Internazionale e Banca mondiale, con il conforto della comprovata efficacia degli schemi adottati, vedevano garantita la stabilità macro-economica del paese; la comunità internazionale era invece soddisfatta da quella politica, importante anche per garantire quella più generale nell'area balcanica. Il cerchio in questo modo si chiude. (20)

Andrea Segrè *

 

* (Università di Bologna, Dipartimento di Economia e Ingegneria Agrarie. L'autore è, per conto dell'Unione europea, consigliere di politica agraria del Ministro dell'agricoltura dell'Albania e coordinatore dei programma comunitario Ace sulla ricostruzione dei sistemi agrari in Albania e Bosnia. Le considerazioni riportate in questa nota non riflettono in alcun modo la posizione ufficiale della Commissione europea)

 

Note:

1) Cfr. "The World Bank, Albania and the World Bank. Building the Future", Washington, '94.

2) Straordinarie le analogie con la crisi attuale quelle che si possono leggere negli "articoli sull'Albania del 1927" (tradotti in italiano in J. Roth, "Museo delle cere", Adelphi, Milano, '95). In questa nota, tuttavia, le cause endogene verranno considerate nella misura in cui funzionali a quelle esogene.

3) Di seguito, oltre alla letteratura disponibile, farò riferimento anche a miei lavori precedenti, dove pur senza voler attribuirvi ex post valenze profetiche, effettivamente si facevano rilevare -con particolare riferimento al mondo agricolo e rurale- alcune delle questioni che si pongono in questa nota. [Fra gli altri lavori si vedano: "The Albanian Agro-Food Sector in Economic Transition", (con G. Jaehne). Oecd, Pub. '93; "La rivoluzione bianca", il Mulino, Bologna, '94; "Lo sviluppo agricolo in Albania. Alcune considerazioni in margine agli interventi di cooperazione italiana e internazionale", "Est-Ovest" 5, '94; "Agricoltura e società in economie dinamiche", Franco Angeli, Mulino, '95; "La coopération italienne en Albanie eri matière agro alimentaire", Option Mediterranéen, Ciheam, Paris, '97].

4) A questo proposito si rimanda all'analisi congiunturale riferita al primo semestre '97 e riportata sul numero 3/1997 di "Est-Ovest".

5) Fa riflettere la lettura ex post delle dichiarazioni, tra le tante citabili, del direttore generale del Fondo Monetario Internazionale. M. Camdessus, e del rappresentante del Fondo residente in Albania. W. Ding, e ben sintetizzate dal mensile economico albanese "Albanian Economic Tribune" (2/94) in copertina ("Tirana overpasses all East European countries") e nell'articolo di apertura ("Camdessus: the production increase in Albania is over 10%").

6) Cfr. World Bank, European Commission, European Bank for Reconstruction and Development, International Monetary Fund Albania. "Directions for Recovery and Growth An Initial Assessment", July 16, '97, p. 5.

7) Ad esempio il "Financial Times" in un rapporto speciale sull'Albania scriveva che: «un sistema economico artificiale, basato su impianti industriali inefficienti e sulla collettivizzazione dell'agricoltura, è stato sostituito nell'arco di tre anni da un'economia di piccoli agricoltori, commercianti e uomini d'affari» (21 luglio '94).

8) Le stime ufficiali relativamente al '94 riportavano in media al 18,3% i prodotti agricoli destinati al mercato (cfr. "1994 Special Agricultural Survey". Tirana, '95. tab. 48, p. 61).

9) Il termine «azienda agraria» ha in Albania un significato molto relativo. Evidentemente non si tratta soltanto di un problema terminologico o di classificazioni di tipologie aziendali, di comportamenti imprenditoriali o di contenuti normativi, così come si potrebbe pensare avendo in mente gli elementi che di solito si danno per scontati nei sistemi agricoli occidentali, e cioè la tecnica, i prezzi, le leggi e le norme. In questo caso, al contrario, il quadro di riferimento è totalmente assente oppure condizionato da una realtà locale molto particolare legata ancora a retaggi difficilmente modificabili nel breve periodo.

10) E quindi migliori dal punto di vista organolettico. Peraltro questa «forzata» produzione biologica, senza cioè utilizzare input chimici, se opportunamente studiata, verificata e sviluppata potrebbe diventare una concreta opportunità per l'esportazione di prodotti albanesi nei mercati dell'Unione europea.

11) Per un'analisi critica sullo sviluppo dell'industria albanese si veda G. Antonelli, "Struttura industriale e opportunità di investimento in Albania", in G. Antonelli. G. Candela, A. Segrè, "Albania, una regione oltre Adriatico", Quaderni IDSE, 4, '96, pp. 27-46.

12) Alcune finanziarie avevano in effetti formalmente acquistato una parte delle aziende industriali albanesi senza però necessariamente metterle in funzione. Ad esempio i prodotti agro-industriali esibiti dalla società "Vefa" (si veda oltre) durante la fiera alimentare di Tirana del '96 sono stati etichettati direttamente negli stands lasciando qualche dubbio sulla loro origine.

13) L'Albania si è specializzata nella coltivazione di Cannabis indica diventando il più importante produttore europeo di marijuana. Nonostante il prodotto albanese immesso nel mercato europeo abbia fatto scendere il prezzo da 1200 a 800 dollari al kg, questa quotazione evidentemente non permette a nessuna delle colture tradizionali di competere. La coltivatone di Cannabis sativa è iniziata intorno al '93 quando dalla Grecia si è importata la tecnica di produzione e in poco tempo ha raggiunto proporzioni allarmanti, visti i profitti che i contadini potevano (soprattutto al sud dove le condizioni climatiche sono migliori, ma anche al nord). Sebbene forse nessuno è in grado di fare un censimento della coltura, risulta che siano in produzione centinaia di migliaia di piantine capaci di produrre decine di tonnellate di hashish grezzo, quantità che metterebbero l'Albania al primo posto fra gli altri paesi dell'ex-blocco orientale (cfr. R. Zili, "Vreme", 3 novembre '96).

14) Secondo stime recenti le cinque principali «piramidi» (fra parentesi la sede): -"Vefa Holding" (Tirana, Valona), "Gjallica" (Valona, Saranda e Girocastro), "Sudja" (Tirana), "Kamberi" (Valona), "Populli et Xhaferri" (Tirana)- avrebbero coinvolto direttamente 225 mila clienti cumulando un debito pari a quasi 2 miliardi di dollari a fronte di un valore patrimoniale pari a poco più di 650 milioni di dollari (cfr. A. Civici, F. Lerin, "Le mystère des pyramides", "Courrier de la planete", n. 39, Mars-Avril '97, pp. 36-37).

15) Anche in Italia, fra gli innumerevoli esempi, si può ricordare che l'«aeroplano», nella Milano degli anni 80 era un classico esempio di Ponzi-scheme: si investiva e riceveva un milione e se ne riceveva in regalo un altro, l'importante era trovare sempre qualche nuovo passeggero da infilare nella waiting list del volo milionario fino e quando i più sfortunati restavano immancabilmente a terra.

16) La promessa in campagna elettorale di risarcire i truffati (fatta dalla moglie del presidente Milosevic) non è stata in realtà mantenuta. Così del resto è andata anche in Albania, dove peraltro la promessa è stata doppia: all'inizio della crisi da parte del primo ministro Alexander Meksi (fine gennaio) e negli ultimi giorni di campagna elettorale dal futuro premier Fatos Nano (metà giugno).

17) "Vefa Holding", "Gjallica" e "Sudja" sono state costituite nel '92, "Kamberi" e "Populli et Xhaferri", nel '93.

18) Riporto di seguito un ragionamento che ho esposto ad un convegno internazionale sul collasso e la ricostruzione albanese (Bologna. 18-19 luglio '97). Lo sguardo sempre più seccato del funzionario della Banca mondiale che mi sedeva accanto, le sue risposte sempre più irritate, mi hanno indotto a pensare che in quanto andavo dicendo forse vi era effettivamente un «fondo» di verità. Si tratta evidentemente soltanto di ipotesi sebbene alcuni elementi che la sostengono si ritrovano anche altrove (ad esempio si vedano gli articoli di P. Fusi, "Truffa all'albanese con benedizione mondiale", "Avvenimenti", 12 febbraio '97, e di D. Culi, "Albania: enigma o semplicemente ignoranza", "Rive", 3/97, pp. 45-47.

19) In effetti c'è il fondato sospetto di collusione fra esponenti del governo e società piramidali, come testimoniato da C. De Waal ("Socio-economic trends in post-communist Albania", M. Uvalic, a cura di, "Balkans and the Challenges of Economie Integration - Regional and European Perspectives", Longo Editore, Ravenna, '97, p. 140).

20) E solo a margine si può ricordare che K. Luniku, governatore della Banca d'Albania -che risulta abbia scritto una serie di lettere al primo ministro per «avvertirlo» dei rischi legati agli schemi piramidali anche se ciò non giustifica perché allora non sia intervenuto con gli strumenti in suo possesso- dopo la crisi è «scappato» negli Stati Uniti e lavora attualmente presso il Fondo Monetario Internazionale.

 

 

articolo precedente Indice n° 52 articolo successivo