da "AURORA" n° 53 (Dicembre 1998)

EDITORIALE

 

Alcune considerazioni sull'Irak

A. De Ambris

 

 

La nuova aggressione anglo-statunitense è scattata la notte tra il 16 e 17 dicembre: un diluvio di missili, bombe «intelligenti» e convenzionali si è rovesciato per quattro lunghissimi giorni su installazioni militari e caserme della Guardia Repubblicana -il corpo d'èlite dell'esercito irakeno- ma anche su installazioni industriali, abitazioni civili, ospedali, depositi alimentari, installazioni radio-televisive. Questa escalation di ferocia tecnologica nei confronti di un Popolo già duramente provato da un embargo che dura da sette anni può essere spiegata solo con quanto dichiarato da un funzionario statunitense all'ambasciatore irakeno all'ONU: «riporteremo il potenziale industriale dell'Irak indietro di cinquant'anni, ridurremo il popolo irakeno allo stato di pura sopravvivenza». Domandarsi le ragioni di tanta feroce determinazione è inutile se non si tengono presenti o, peggio, si ignorano quelli che sono da sempre i pilastri portanti della politica estera americana fin dalla guerra contro la Spagna del 1898, in seguito alla quale attrassero nella loro sfera d'influenza Cuba, Portorico e le Filippine.

Questo Paese dagli enormi spazi e dalle immense ricchezze, che ama dare di sé un'immagine di nazione pacifica, tollerante e democratica è stato protagonista di oltre 200 interventi armati al di fuori del proprio territorio (è noto che sono solo due le guerre che coinvolsero il territorio statunitense; la prima contro l'Inghilterra, la seconda contro il Messico). Nella totalità dei casi si è trattato di guerre d'aggressione, cioè non imposte dalla necessità di preservare l'integrità territoriale e la sicurezza dei cittadini statunitensi, ma dettate dagli interessi economici delle oligarchie mercantili «ossessivamente dedite ad aumentare la propria ricchezza». (1)

Tutta la politica di potenza americana è determinata dall'obiettivo di allargare le attività economiche dei propri imprenditori (le Multinazionali) e fare in modo che siano le più proficue possibili. Per raggiungere quest'obiettivo gli USA non hanno arretrato di fronte a nulla; l'assassinio politico, l'organizzazione di «colpi di Stato», la creazione di bande di criminali -tipo gli «squadroni della morte» organizzati in quasi tutti i paesi dell'America Latina-, fino ai bombardamenti indiscriminati sulle popolazioni civili (Vietnam, Grenada, Panama, Irak, Libia, ecc.). (2) È il controllo economico delle risorse del pianeta l'obiettivo strategico a cui gli USA si sono votati. E solo in questa infame logica di dominio economico, che è anche «dominio politico» e di «controllo del territorio e delle risorse strategiche», che va inquadrata la crisi irakena; l'isolamento economico e politico, le sanzioni, l'usurpazione di sovranità nazionale, il vero e proprio genocidio a cui è sottoposto tutto un popolo che non vuole piegarsi alla logica nefasta del Nuovo Ordine Mondiale (fonti dell'Unesco indicano in oltre 100mila i minori irakeni deceduti ogni anno per denutrizione e malattie imputabili all'embargo. Secondo il giornale britannico "The Guardian" decine di migliaia di nuovi nati in Irak sono affetti dalla «sindrome di Down», diretta conseguenza dell'utilizzo, nei bombardamenti «alleati» del 1991, del DU («depleted uranium»), uranio esaurito: «ma ancora capace di rilasciare radiazioni per oltre 4 mila anni». (3) Sarebbero oltre quaranta le tonnellate di DU sparpagliate sul territorio irakeno.

 

Saddam Hussein: un folle

Nella lunga e sanguinosa storia del loro interventismo gli statunitensi -e in parte, anche se in misura minore e meno incisiva, gli inglesi- non si sono mai accontentati di sopprimere quanti erano di ostacolo all'affermazione e alla tutela dei loro cosiddetti «interessi vitali», ma hanno cercato di distruggerli anche sotto l'aspetto morale, degradandoli nella loro «umanità». «Inumani», sanguinari, pazzi e liberticidi sono via via diventati Jacobo Arbenez (presidente del Guatemala che aveva osato espropriare, dietro compenso, 160.000 ettari alla United Fruit, nel quadro della riforma agraria del '52 e che fu spodestato da un colpo di Stato organizzato dal segretario di stato USA John Foster Dulles); Joao Goulart, colpevole di intralciare l'espansione delle Multinazionali a stelle e strisce in Brasile, sostituito dal generale Castelo Branco che nel volgere di due anni consegnò nelle mani della oligarchia mercantile statunitense l'industria brasiliana con effetti devastanti per tutta l'economia dell'America latina; Salvador Allende, colpevole di aver nazionalizzato le miniere di rame, non tenendo nella dovuta considerazione gli interessi della ITT, assassinato da golpisti militari direttamente collegati al "The Ad Hoc Committe On Chile" (che fu finanziato direttamente, oltre che dalle Multinazionali, da Henry Kissinger su ordine di Richard Nixon e con l'approvazione degli Intellingence Committes del Senato e del Congresso USA); Ho Chi Minh che voleva la libertà e l'unità territoriale del suo popolo contro la logica neo-colonialista dei mercanti statunitensi; Ernesto Che Guevara e Fidel Castro, che hanno riscattato Cuba dalla condizione di bordello dei Caraibi e che nonostante un feroce embargo trentennale hanno fatto di Cuba una nazione civile, della quale non si possono negare, nonostante l'impegno dell'USIA (Unided State Information Ageney), l'Agenzia governativa che si occupa di intossicare l'informazione interna ed internazionale, i successi nell'alfabetizzazione, nella ricerca e assistenza sanitaria e nella qualità della vita dei propri cittadini, certo ben lontana dagli standards europei e nordamericani ma infinitamente superiore alla media degli altri paesi latino americani (basti qui ricordare le condizioni di vita negli altri paesi del Caribe; Haiti e Portorico).

Il breve, per questioni di spazio, escursus sulla politica di intossicazione propagandista operata dagli statunitensi (tantissimo vi sarebbe da aggiungere anche a proposito dell'Europa e del Medio ed Estremo Oriente), lo abbiamo fatto per evidenziare quella che, a nostro avviso, è una delle armi più incisive (in quanto si avvale del mezzo subdolo e intossicante della «disinformazione») della strategia americana. Distruggere moralmente l'avversario, attenuandone o estinguendone i caratteri di «essere razionale e pensante», attenua o estingue i sentimenti di solidarietà e pietà che ognuno di noi istintivamente prova verso quanti soffrono e sono vittime del sopruso e dell'ingiustizia.

La valenza di quest'intossicazione di massa è comprovata dalla percezione del pubblico e dei media occidentali rispetto a quanto accaduto in Libano in contemporanea ai bombardamenti anglo-statunitensi in Irak. Un caccia israeliano durante un'incursione in territorio libanese ha colpito un'abitazione civile uccidendo una donna e i suoi sei figli. Non vi è stata nessuna reazione significativa dell'opinione pubblica occidentale: i quotidiani hanno relegato la notizia nelle pagine interne, i telegiornali l'hanno trasmessa in coda come un trascurabile e normale dato di cronaca. Al contrario la reazione dell'Hezebollah (la milizia sciita che combatte contro gli israeliani nella cosiddetta fascia di sicurezza, da questi occupata in spregio a tutte le risoluzioni dell'ONU) concretizzatasi col lancio di alcuni razzi in Alta Galilea, con danni materiali e feriti leggeri, si è meritata la prima pagina dei quotidiani e l'apertura dei telegiornali.

Questa disparità di trattamento deriva dal diverso «valore umano» dei protagonisti recepito dagli occidentali: Palestinesi, Siriani, Libanesi, Iracheni, Libici, Sudanesi, ecc., sono «estremisti», «terroristi», «fondamentalisti»; al contrario gli israeliani sono «democratici», «moderati», «civili» anche quando uccidono una donna e i suoi sei figli.

Il caso di Saddam Hussein non è molto diverso: questi è la quintessenza del male, il tiranno che massacra il proprio popolo, il despota che utilizza la risoluzione ONU, «petrolio in cambio di cibo», per riarmarsi invece di sfamare il proprio popolo, curare i bambini, ricostruire il paese distrutto della sua megalomania guerresca. Del Presidente e della realtà irakena si tacciono molte cose, altre vengono amplificate e valorizzate.

Saddam non è uno stinco di santo, nessuno in Medioriente lo è. Ciò è una realtà oggettiva, inconfutabile. Ma va infine detto che in un'area nella quale turbolenze religiose, dispute territoriali, sudditanze economiche, conflitti intestini formano un vero e proprio inestricabile puzzle, il regime irakeno non è il peggiore. Saddam Hussein è un laico, il vero, unico erede, dal punto di vista ideologico, di Gamal Abdel Nasser e del socialismo nazionale propugnato dal defunto leader egiziano. In Irak non esiste la discriminazione religiosa -e la libertà di culto della quale godono i cattolici di rito caldeo, il 7% circa della popolazione, è noto-, la laicità dello Stato è fuori discussione.

Molti dei maggiori responsabili irakeni sia militari che civili appartengono alle minoranze curde, sciite e cattoliche: Tareq Aziz, vicepresidente del paese è un cattolico praticante: le donne non hanno obblighi diversi, per la legge, da quelli degli uomini e le scelte confessionali sono considerate diritto inalienabile del singolo individuo.

Sotto Saddam Hussein lo sviluppo dell'Irak è stato tumultuoso, il paese ha compiuto un balzo in avanti incredibile sia nella produzione industriale che in quella agricola ed è stata attuata una riforma agraria con la distribuzione delle terre, ponendo termine ad una sudditanza di tipo feudale alla quale erano costretti i contadini. La discriminazione delle minoranze curde e sciite è stata amplificata dai media occidentali: perché se è vero che atti di repressione vi sono stati, in specie nei confronti dei Curdi, ciò è avvenuto nel quadro della guerra contro l'Iran e rispetto a entità ben definite della minoranza curda che con l'Iran collaborava aggredendo alle spalle l'esercito irakeno, impegnato in un durissimo e logorante conflitto. Ciò sia chiaro, non significa giustificare l'utilizzo di gas asfissianti e le stragi di civili nel Kurdistan.

Il «pazzo» di Bagdad, tra l'altro, è uno dei pochi leaders mediorientali al quale non si può imputare l'arricchimento personale. Ma chi difende l'Occidente, quali campioni di democrazia e tolleranza gli anglo-statunitensi si sono impegnati a preservare? La corrotta monarchia saudita, che applica al proprio popolo la «legge del taglione», impone con la forza della «gendarmeria religiosa» il rispetto dei dettami del Corano e, allo stesso tempo, garantisce ai propri membri, oltre 2000, le risorse per scorazzare tra i tavoli verdi dei casinò europei, per comprare panfili da mille e una notte, per vivere le «occidentali» emozioni del sesso estremo e della droga nelle loro lussuose ville sulla Costa Azzurra.

 

La lunga agonia delle Nazioni Unite

La proditoria aggressione all'Irak ha avuto, ufficialmente, quale causa scatenante il mancato rispetto da parte di Bagdad degli accordi raggiunti con l'ONU dopo la Guerra del Golfo. Premesso che nessuna risoluzione delle Nazioni Unite autorizzava (lo sostengono Russia, Cina, Italia, Francia, ecc.) interventi automatici in caso di contenzioso sul rispetto di detti accordi, va evidenziato che l'UNSCOM (la commissione per il disarmo irakeno) ha agito di conserva a quella che era, in quel momento storico, un'urgenza estrema per il Presidente Bill Clinton: distogliere l'attenzione dell'opinione pubblica americana e internazionale dalla squallida storia di sesso nella quale si era impegolato il «piccolo» sporcaccione della Casa Bianca e di rallentare la procedura di impeachment avviata dal Congresso.

Nessun'altra spiegazione è plausibile assodato che il capo dell'UNSCOM, l'australiano Richard Butler, consegnò al Presidente americano 48 ore prima che al Segretario dell'0NU Kofi Annan il rapporto che, secondo quanto pubblicato del giornale francese "Libèration", «era stato redatto col chiaro intento di provocare la crisi (...) Butler ha scelto di citare solo i rari incidenti che hanno opposto gli ispettori e deliberatamente non menzionato tutte le ispezioni condotte senza ostacoli, oltre 300 secondo fonti irakene confermate dagli stessi ispettori dell'UNSCOM». (4)

La presa di distanze di gran parte dei cosiddetti Paesi Occidentali, la forte opposizione di Cina, Russia (che ha richiamato, per consultazioni, i propri ambasciatori a Londra e a Washington), le accuse del Papa (che ha parlato di vera e propria «aggressione»), il dissenso espresso dalle Nazioni Unite, hanno per la prima volta nel corso di questo tormentato dopoguerra, disvelato all'opinione pubblica mondiale quale sia la vera natura dell'imperialismo americano.

Il dissenso della stragrande maggioranza dei governi e delle Nazioni Unite non ha impedito a Clinton, e al «fido» Blair, di scatenare l'apocalisse in territorio irakeno vomitando, in soli quattro giorni, una quantità di esplosivo maggiore di quella di tutta la Guerra del Golfo.

Le conseguenze di questo strappo, della lacerazione prodotta dall'arroganze anglo-statunitense sono destinate a pesare sul futuro delle stesse Nazioni Unite. I segni di insofferenza di parte considerevole e importante di membri dell'ONU sono palesi, aggravati dalle rivelazioni, a posteriori, sulla collaborazione tra servizi segreti israeliani, statunitensi ed inglesi ed ispettori dell'UNSCOM. Ossia: l'utilizzo di una commissione delle Nazioni Unite per raccogliere informazioni su strutture militari di uno stato membro e, con l'ausilio di queste, selezionare gli obiettivi da colpire. (5)

Dal momento nel quale Kofi Annan, nel febbraio '97, impedì l'attacco anglo-statunitense recandosi -su pressione italiana, cinese, francese e russa- a Bagdad per un colloquio diretto con Saddam Hussein, la Superpotenza si è resa conto che l'ONU (della quale gli USA sono il maggior debitore, non avendo negli ultimi 10 anni versato la loro quota di contributi) non è più uno strumento del tutto affidabile.

Al momento non possiamo ipotizzare, siamo ancora nel mese di Ramadan, gli sviluppi della situazione. La tensione non accenna a calare, le continue scaramucce nelle zone di interdizione al volo (del tutto illegali in quanto non previste da nessuna delle risoluzioni ONU, ma decise, autonomamente, da Inghilterra e USA) preludono ad una ripresa dello scontro. La caparbietà irakena, oltreché dimostrare la grande dignità e il grande valore di questo Popolo, può rivelarsi letale per la Superpotenza. Il Vietnam, Cuba e l'Afghanistan dimostrano che quando un intero Popolo rifiuta di piegarsi difficilmente esso sarà sconfitto. E se in Irak e iniziato il crepuscolo dell'ONU, almeno nella forma in cui questa entità sovranazionale si è inverata negli ultimi decenni, non è detto che le parole, rivolte a Clinton, dal generale russo Lebed non possano tra qualche tempo essere annoverate tra le profezie avveratesi: «L'Irak sarà insieme il vostro Afghanistan e la vostra Cecenia».

 

A. De Ambris

 

Note:

1) John Kleeves, "Vecchi Trucchi", Il Cerchio, Rimini '91;

2) "Cry of the People", New York '80;

3) "The Guardian", 20 dicembre '98. "la Repubblica", 22 dicembre '98;

4) "Libèration", 18 dicembre '98;

5) "Washington Post", 6/7 gennaio '99.

 

 

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