da "AURORA" n° 53 (Dicembre 1998)

MONDIALISMO

 

Dal Vietnam a Bagdad,
l'atroce strategia dell'imperialismo

 

Renato Pallavidini

 

 

Alcune considerazioni «a caldo» -allorquando la tempesta delle passioni è ancora troppo forte per lasciare spazio alle lucide valutazioni concettuali- sull'ennesimo attacco imperialista all'Irak.

La nitida impressione avuta è che l'imperialismo USA abbia toccato il punto più basso della sua credibilità internazionale e delle sue capacità operative dai tempi della Guerra del Vietnam, in modo particolare dai giorni dei bombardamenti su Hanoi e Haiphong decisi dall'amministrazione Nixon.

Non è nelle mie intenzioni equiparare il Presidente Saddam Hussein, con ogni suo merito e demerito nella lotta anti-imperialista, alle grandi e carismatiche figure del Presidente Ho Chi Min e del generalissimo Giap: uomini che hanno scandito la storia del nostro secolo e ne hanno interpretato e attuato le più avanzate istanze emancipatrici, socialiste, solidariste e umaniste in un quadro di indipendenza e affermazione dei valori nazionali. Ma gli eventi di fine anno nel Golfo Persico sono il prodotto della stessa dinamica e avvengono in un contesto di «immondizia morale» dal quale i due presidenti statunitensi traevano ispirazione per decisioni di questa portata: il quadro politico internazionale che i bombardamenti, allora come oggi, hanno determinato e suggeriscono questo paragone.

Certo nel 1972 non vi erano ancora bombe «intelligenti» né missili «chirurgici», ma anche in quella occasione il Pentagono dichiarava che i B52 stavano operando in modo «mirato» con l'obiettivo di neutralizzare installazioni militari e infrastrutture industriali. Ma ad Hanoi come a Bagdad, bombe e missili sventravano case ed ospedali, straziano civili inermi lasciando sostanzialmente intatto il potenziale militare dei due paesi. In questi giorni le bombe USA sono così «chirurgiche» che hanno devastato la sala chirurgica di un ospedale iracheno (sarebbe materia di barzelletta se, da una parte, non vi fossero civili inermi assassinati e dall'altra una banda di gangsters che controlla politicamente e militarmente il mondo su mandato non dell'ONU -mai come in questa crisi ciò era emerso con cartesiana evidenza- ma del capitale finanziario internazionale).

Come ai tempi del Vietnam, il Presidente statunitense, allora un repubblicano oggi un democratico (tanto ammirato dall'on. Veltroni), prendeva decisioni di questa gravità sulla base di stupidi e machiavellici calcoli con una leggerezza che, a dir poco, ci lascia esterefatti! Vi sono testimonianze precise e documentate di fonte statunitense (Peter Arnett, "Dossier Vietnam", edito in Italia dalla Hobby & Work di Milano in 25 videocassette, "La guerra del Vietnam", '92) che Nixon e Kissinger, con i bombardamenti sul Nord Vietnam, si muovessero all'interno di un criminale gioco delle parti. Dopo ogni bombardamento, Henry Kissinger faceva pressioni sui diplomatici nordvietnamiti affinché costoro firmassero il documento di «pace» -che fu effettivamente firmato agli inizi del 1973- «rivelando» loro che Nixon era un pazzo ubriacone e che, se non avessero firmato, si sarebbe divertito come non mai a fare a pezzi il territorio vietnamita! La rivelazione proviene da un alto funzionario dell'amministrazione USA dell'epoca, stretto collaboratore del fu Segretario di Stato proprio al tavolo negoziale con Vietcong e Nord-Vietnamiti a Parigi: non ci sono dubbi sulla sua autenticità!

Il democratico Clinton d'altro canto doveva fronteggiare la crisi politico-istituzionale interna conseguente alla scandalo Lewinski (che già ha contribuito a determinare la recente crisi finanziaria internazionale) e nulla vi era di più congeniale, per distogliere l'attenzione dei media -nordamericani e non-, di una lezione al «pazzo» di Bagdad ormai recepito dalla media dei cittadini occidentali come una sorta di onnipotente satana in possesso di mortiferi strumenti di morte.

Che le «candide» labbra di Monica abbiano avuto un ruolo nell'ennesimo crimine imperialista è del tutto evidente: persino i media statunitensi non ritengono peregrina l'ipotesi che l'ostinazione clintoniana nello scatenare il diluvio di fuoco sulla testa degli iracheni altro non sia che l'estremo tentativo di bloccare il procedimento di messa in stato d'accusa per i gravi reati commessi nel tentativo di nascondere le piccole porcate con la compiacente stagista.

Lo squallore domina sulla tragedia. Uno squallore fetido e limaccioso nel quale si è prontamente infilato Tony Blair, fautore, con il concorso di Walter Veltroni, di quel centrosinistra mondiale, tale da riabilitare il duo Nixon-Kissinger. In fondo loro volevano, col minor danno, far fuoriuscire dalla sporca guerra indocinese in cui li aveva infilati, per difendere la «democrazia» e il «mondo libero», quel campione di libertà che era il presidente Kennedy.

Sull'altro versante c'è il popolo iracheno, il quale ha reagito non solo con una compostezza, una dignità etica, un orgoglio nazionale del tutto simile a quello mostrato, a suo tempo, dal popolo vietnamita negli anni '60 e '70, ma soprattutto, come i vietnamiti non ha dato il minimo segno di insofferenza verso i propri governanti, anzi l'impressione, che persino i media occidentali sono stati costretti a registrare e che i bombardamenti, l'assedio economico, l'assedio politico, al quale si sono indegnamente prestati anche gran parte dei paesi arabi, rafforzino il consenso e la solidarietà tra popolo e regime e suscitino all'interno della comunità nazionale una volontà di resistenza e di lotta contro la protervia imperialista persino più radicale di quella che ha permesso all'Irak di attraversare indenne le durissime prove al quale è stato in questi anni sottoposto.

È stata questa unitaria volontà di lotta, questa coscienza della dignità nazionale nonché la consapevolezza di battersi per la propria libertà e indipendenza che furono l'asse portante della vittoria vietnamita che determinò la crisi più drammatica delle forze imperialiste internazionali e innescò, proprio nel '75, il moto di crescita massima del movimento anti-imperialista e socialista mondiale: con l'intervento cubano in Africa; la «Rivoluzione dei Garofani» in Portogallo; la possibilità di infiammare Spagna, Italia e Francia; l'espandersi della resistenza armata in America Latina (ma su questi eventi, così centrali nella storia del nostro secolo, torneremo con maggiore lucidità analitica e concettuale).

Certo è che il contesto internazionale di oggi non è in nessun modo paragonabile a quello di quegli anni, né il Rais iracheno ha un sostegno paragonabile a quello che URSS e Cina garantirono al Vietnam. Tuttavia, proprio l'ultima repentina aggressione, la palese marginalizzazione delle Nazioni Unite, l'assurdità delle motivazioni (com'è possibile che un paese alla fame, isolato persino nell'ambito degli stati arabi, con gli ispettori dell'USCOM che controllano perfino chiese e cimiteri, possa dotarsi di un potenziale militare fatto di missili, armi nucleari, chimiche e biologiche in grado di minacciare la sicurezza dell'intero pianeta?). Se l'Irak disponesse solo di parte di questo presunto arsenale non l'avrebbe usato per difendersi durante la Guerra del Golfo (nella quale gli USA usarono testate missilistiche con cariche di uranio impoverito con conseguenze catastrofiche anche tra i loro soldati; centomila dei quali sono affetti dalla cosiddetta «sindrome del golfo»), rendendo ben più precaria la sicurezza d'Israele e ben più onerosa la vittoria americana? L'evidente legame tra Clinton, Monica e le centinaia di morti, civili e militari lasciati sul terreno dalle sempre più «intelligenti» bombe del Pentagono hanno fatto riassaporare a migliaia di persone quell'isolamento internazionale degli Stati Uniti, quella più o meno esplicita condanna morale di larga parte dell'opinione pubblica mondiale che contraddistinsero il periodo della guerra vietnamita. La sola Inghilterra «laburista» ha ubbidito come un cagnolino fedele agli ordini del padrone della Casa Bianca.

In Italia, a parte gli esponenti del Polo, l'azione USA ha raccolto gli entusiastici consensi del «digiunatore» Pannella, dei suoi accoliti e di intellettuali ignoranti e incompetenti come Norberto Bobbio (su '"la Stampa", questo vecchio rottame dell'azionismo, ha avuto il coraggio di ribadire che Saddam è un pericolo per la pace mondiale; purtroppo non si può dire che sia pagato da Berlusconi: è solo un cretino, posto su un piedistallo di «aurea cultura», dai più squallidi e mafiosi ingranaggi della struttura accademica italiana!), mentre la presa di distanze è stata totale.

Senza contare l'esplicita e solenne condanna del Santo Padre; nelle chiese si è pregato per il Popolo iracheno e per la sospensione dei bombardamenti su Bagdad.

Caro Clinton, neppure Hitler era stato oggetto di una condanna così esplicita da parte del Papa! La «dolce» bocca della «calda» Monica ti è costata cara in tutti i sensi: persino il fedele Eltsin ti ha staccato il telefono in faccia!

Quelli della mia generazione forse hanno sbagliato i conti con la storia (anche nell'Europa del XVI secolo avanguardie borghesi di massa hanno tentato l'abbattimento dell'ordine feudale rimanendo sconfitte proprio a fine secolo; spirò forte il vento della reazione per quasi tutto il secolo successivo, poi venne l'89 e, al suo interno, il grande ed effimero '93: il feudalesimo fu spazzato via e infilato nella «pattumiera della storia»).

I capitalisti si apprestano a salutare il XX secolo con feste trionfali -peraltro lo fecero anche nel 1899, sicuri che la «Belle epoque» dovesse durare in eterno-, ma gli eventi mediorientali delle ultime settimane, per quanto tragici possano esser stati in termini di sangue umano innocente versato dai criminali del Pentagono e della Casa Bianca, hanno già prodotto evidenti fenditure in un quadro storico sino a qualche giorno fa roseo e mieloso.

Il popolo iracheno è in piedi! Le masse islamiche sono sempre più determinate nella lotta all'imperialismo occidentale! Fidel Castro è più vitale che mai!

Nel Chiapas i «campesinos» ridanno fiato al mito di Zapata e di Villa (che con le loro lotte incrinarono le certezze borghesi all'inizio del presente secolo) e con la loro lotta fanno rivivere la determinazione del Che! Il nazional-comunismo russo entra nelle stanze del potere a Mosca e l'Europa si è data governi di sinistra e di centrosinistra che, con l'eccezione di Blair, in diversa misura marcano le distanze dalla politica imperialista della Casa Bianca. E il Vietnam è ancora lì, come il Generalissimo Giap, a monito di tutti gli imperialismi!

La lotta non è finita, è appena agli inizi. Forse il 1917 non è stato l'89 del Socialismo ma solo un momento di prova generalizzato. Si rifletta sugli errori del passato, sulle debolezze, sulle divisioni, sulle occasioni mancate. Si rileggano i testi dei grandi dirigenti del movimento anti-imperialista e socialista del XX secolo: si mediti sui loro dubbi e sui loro moniti. Si guardi con fiducia al XXI secolo e forse dalle prove di guerra si passerà a quella che Massimiliano Robespierre definiva «la guerra della libertà contro il dispotismo»!

E verrà il nostro '89

Renato Pallavidini

 

 

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