da "AURORA" n° 53 (Dicembre 1998)

IL PRIMATO

 

Dopo la recente tornata elettorale: basta con una sinistra che rassomiglia tanto alla destra...

 

il giobertiano rosso

 

 

Nella sua rubrica "Il Punto" sul "Corriere della Sera", quell'ottimo analista politico di scuola spadoliniana che risponde al nome di Stefano Folli scrive: «L'astensionismo abissale (ha votato solo il 43%) ha punito con ogni evidenza soprattutto la sinistra».

Perfettamente d'accordo. Ma qui si ferma il nostro consenso alla tesi tutt'altro che folle del Folli.

Infatti non basta al dottor Giorgio Fanfani portare (in maniera peraltro ambigua e disastrosa) un nome illustre per scansare il rischio di essere un Signor Nessuno. Va bene che la politica italiana è finita con le natiche sul pavimento, ma addirittura sostenere che uno dei tanti figli dell'Amintore nazionale -della cui esistenza nessun abitante dell'Italia aveva la benché minima contezza, fino al momento in cui ha commesso la scorrettezza di affrontare le elezioni romane usando il nome del presidente Cossiga per poi schierarsi con i nemici dell'ex-Picconatore- abbia potuto capovolgere il risultato della pugna per Palazzo Valentini dopo essere stato sonoramente trombato, suvvia!

La spiegazione del recentissimo fenomeno dell'astensionismo di sinistra, è per noi un'altra. Ed è -il Lettore perdoni una immodestia solo casuale e apparente- quella che ci siamo sempre data fin da quando la sinistra ha del tutto infondatamente ritenuto che il prezzo da pagare per vincere le cosiddette sfide del Duemila- e, così, diventare finalmente maggioritaria e egemone, fosse quello di rinunciare gradualmente ma decisamente ad essere sé stessa, di autosuperarsi, di scomparire di fatto dietro il solo fiero, orgoglioso, intransigente ma formalissimo mantenimento della ditta o ragione sociale. Ed ecco, allora, revisionismi a rotta di collo; nuovismi di ogni genere e specie; assicurazioni di moderazione e perfino di moderatismo rifilate a dritta e a manca; modernizzazioni ambigue e rinunciatarie spacciate per modernità creative e propulsive, condanne di aspetti fondamentali della storia e delle storie del movimento operaio italiano e internazionale per gettare via il bambino assieme con l'acqua sporca.

 

* * *

Le nazionalizzazioni? Vade retro, satana! Le socializzazioni? Ma che volete fare, i Mussolini a Salò? La difesa dello "Statuto dei Lavoratori"? Neppure a parlarne: si trattò di un errore di gioventù del centrosinistra che risale agli Anni Sessanta. Oggi tutto il processo produttivo deve essere come lo vuole la Confindustria, tutto flessibilità e niente vincoli di qualsivoglia natura. La programmazione democratica dell'economia? Per carità: non imbrigliamo con lacci e lacciuoli il libero dispiegarsi delle spinte imprenditoriali individuali. Intervento pubblico in economia? Neppure a parlarne altrimenti Berlusconi s'incazza e allora come si fa a riprendere il dialogo sulle riforme istituzionali per fare le quali è necessario il consenso delle opposizioni, cioè dei capitalisti? Lotta alle concentrazioni monopolistiche e oligopolistiche? Ma questo è il sinistrismo dell'età della pietra! Un freno alle multinazionali? Sciocchezze demagogiche: il mondo è un villaggio globale, ormai, che non tollera strettoie dimensionali a strutture produttive che hanno un senso solo se le macroeconomie tracimano i confini e il pesce grande può tranquillamente mangiare e metabolizzare il pesce piccolo. La parola socialismo? Meglio stare alla larga: troppo sputtanata da Craxi e, al contempo, pericolosa perché turberebbe i buoni rapporti della sinistra provvista di «cultura di governo» con le «forze sane e dinamiche dell'imprenditoria». Meglio privatizzare senza infrenamenti. Se poi l'Italia a furia di cedere i gioielli di famiglia si trasforma in una colonia degli USA o vattelapesca di chi altro chi se ne fotte. Possiamo sempre salvarci l'anima chiamando ciò internazionalismo o spirito europeo.

Certo, oggi sul tappeto qualcuno ha posto il problema della settimana lavorativa di trentacinque ore. Ma si tratta di una forzosa concessione a quel pazzo da legare di Bertinotti della quale non ci vuole liberare neppure il più composto e austero Cossutta; vedremo cosa si può fare ...

Solo sulla «pregiudiziale antifascista» tutti vanno d'amore e d'accordo. Tanto, non costa niente e non crea nessun problema. A oltre mezzo secolo dalla fine della guerra civile si tratta solo di chiacchierare, di una vescica piena di vento.

Essa non solo non è di ostacolo ma, anzi, funziona da propellente per il completamento del processo egemonico di quella che una volta nella sinistra si chiamava -e che noi continuiamo a chiamare- la ideologia borghese. Con conseguente cattura e relativo imborghesimento del movimento operaio e popolare.

Quando finirà questo lenocinio culturale, esistenziale, ideale?

Per quel che ci riguarda, per quel tanto che possiamo, siamo risoluti a opporci. Costi quel che costi.

il giobertiano rosso

 

 

articolo precedente Indice n° 53 articolo successivo