da "AURORA" n° 53 (Dicembre 1998)

STUDI E RICERCHE

 

Albania '97:

riflessioni sulle ragioni della crisi e sul ruolo delle istituzioni internazionali di finanziamento

(parte seconda)

Andrea Segrè

 

6. Aiuti e cooperazione internazionale

Al di la delle responsabilità, seppure indirette e comunque qui soltanto ipotizzate, nello sviluppo del fenomeno delle finanziarie piramidali, alla comunità internazionale, e in particolare a quella sua parte rappresentata dalle istituzioni di finanziamento, si può imputare invece un ruolo diretto in materia di aiuti, di cooperazione e assistenza tecnica, e naturalmente di indirizzo politico-economico.

Come ricordato sopra l'Albania è il paese che ha ottenuto la quota pro capite di aiuto più elevata fra le economie in transizione; fra il '91 e il '96 oltre 2 miliardi di dollari, il 50% dei quali stanziati, quasi tutti destinati a progetti di investimento pubblico, essendosi ormai arrestato nel '95 l'aiuto umanitario. (21)

Solo nel settore agro-alimentare, a partire dal '92 sono stati stanziati in progetti di sviluppo e assistenza tecnica più di 350 milioni di dollari, oltre la metà dei quali già investiti. Si tratta di una cifra molto consistente che ha distribuito interventi a tutto campo: legislazione e mercato fondiario, riabilitazione degli schemi irrigui, sviluppo rurale nelle aree marginali e montagnose, ricerca, formazione e servizi di assistenza agricola, supporto fito-sanitario e zootecnico-veterinario, pesca e acquacoltura, foreste, credito agricolo e agro-industriale.

Eppure, malgrado le apparenti connessioni tra aiuti ed economia produttiva, gli ingenti flussi stanziati e investiti non sono bastati a innescare un reale processo di sviluppo. O forse, paradossalmente, si potrebbe pensare che proprio la «esagerazione» negli aiuti internazionali potrebbe essere stata una delle cause della crisi attuale. C'è infatti chi sostiene che gli aiuti internazionali invece di sviluppare l'imprenditorialità abbiano favorito un'accumulazione illecita che ha reso l'Albania una sorta di paradiso per le società finanziarie (22), che a loro volta peraltro hanno contribuito ad assopire qualsiasi residua volontà d'intrapresa. Come visto sopra queste hanno trovato spazio dopo l'apertura del paese e in particolare durante i primi cambiamenti voluti da Ramiz Alia, ma hanno cominciato veramente a prosperare in seguito alle prime erogazioni della comunità internazionale trovando un terreno di coltura nei miliardi stanziati dal governo italiano durante l'«operazione Pellicano» e negli aiuti della cooperazione internazionale. (23)

D'altra parte, recentemente, proprio due economisti della Banca Mondiale hanno dimostrato che i miliardi di dollari spesi in aiuti internazionali non hanno prodotto alcun effetto netto sui risultati economici e neppure sulle politiche economiche dei paesi in via di sviluppo. (24) Secondo gli autori non risulta che l'aiuto abbia sistematicamente influenzato le politiche economiche, piuttosto la tendenza è stata quella di seguire gli interessi propri dei paesi donatori.

In altre parole si tratta della prova di quanto da tempo si sospettava (25), e cioè che la cooperazione internazionale allo sviluppo in realtà si è trasformata in una sorta di super-organismo che sostiene lo sviluppo di se stesso innescando, ogni volta che viene attivato, un processo di auto-alimentazione. Si è passati cioè dal concetto di cooperazione allo sviluppo a quello di «sviluppo della cooperazione», e non si tratta soltanto di un gioco di parole. I paesi donatori traggono i maggiori vantaggi dal loro stesso operato in favore dei paesi che aiutano nel cosiddetto processo di sviluppo. (26)

L'Albania non si è sottratta a questa regola, alla pari di molte altre economie in transizione dove, dopo la caduta del muro di Berlino, si è concentrata l'attenzione delle istituzioni internazionali di finanziamento, che hanno aggiunto un'area di influenza senza tuttavia cambiare i metodi di azione. (27)

Quindi non sorprende che da un lato si sia accumulata ormai una importante documentazione sul fallimento dei progetti il cui impatto a livello locale è molto modesto se non negativo (28), evidentemente con sprechi di risorse umane e finanziarie, e dall'altro che si continuino a sostenere gli stessi «modelli» imposti dalle burocrazie post-marshalliane e replicati schematicamente e sistematicamente quasi fossero un dogma ideologico.

Coerentemente, infatti, all'indomani della crisi si è immediatamente proposto -senza quindi avere materialmente il tempo di interrogarsi sulle ragioni degli avvenimenti- un nuovo Piano Marshall per l'Albania. Pochi giorni dopo gli avvenimenti di marzo la Banca Mondiale aveva già messo in circolazione un documento dal titolo, significativo, "Albanion Recovery Program". (29) Straordinaria poi la tempestività settoriale proposta dalla stessa Banca Mondiale per quanto riguarda l'agricoltura: un aide-memoire datata 6 maggio '97 proponeva un Economic Recovery Program: "Agriculture Sector" (Tirana, 6 pp.), preceduta (21 aprile '97) da un più corposo (28 pp.) Preliminary Discussion Paper: "Albania Recovery Program. Agriculture".

In questi e altri documenti (30) si sono ripetute, per non dire rafforzate, le «condizionalità» imposte a suo tempo e che, come riportato sopra, avevano fatto dell'Albania un (raro) modello di liberismo economico senza necessariamente sostenere che tale modello applicato all'Albania sia stato la causa o una delle cause di quanto si è verificato nel '97 risulta evidente che qualcosa non ha funzionato. Forse allora qualche modifica nell'approccio -si badi: non un'irrealistica inversione di rotta- potrebbe essere utile, se non altro come tema di riflessione.

 

7. La necessità di un approccio diverso: il caso dell'agricoltura e della politica agraria

Per riprende l'esempio dell'agricoltura, che in fondo rappresenta un settore emblematico sia per la sua importanza in Albania, se possibile ulteriormente accresciuta durante e dopo la crisi (31), sia per essere fra i più protetti in tutti i paesi cosiddetti sviluppati, e considerando gli effetti della politica agraria sostenuta finora, è chiaro che bisognerebbe avere il coraggio di azioni che vadano contro l'imposizione di condizioni teoricamente perfette, ma con qualche problema nell'applicazione pratica. In alcuni casi il «conto» costi-benefici non torna e bisogna dimostrare una certa elasticità nell'approccio teorico ed empirico.

In particolare per il settore agro-alimentare si deve partire da due evidenze e cioè che:

a) le pur fondamentali e necessarie politiche delle strutture (32) non hanno, ne possono avere, effetti nel breve periodo: proprio seguendo l'esperienza dell'agricoltura dell'Europa occidentale, la ristrutturazione aziendale e l'adattamento strutturale sono processi, necessariamente di lungo periodo, ed è illusorio affidarsi a visioni normative che postulerebbero modificazioni immediate; (33)

b) i vincoli e limiti di bilancio impediscono e impediranno in futuro -si potrebbe dire fortunatamente per le «tentazioni» che ne potrebbero derivare- qualsiasi tipo di sostegno diretto e indiretto all'agricoltura,

Ecco che allora, invece di ostinarsi a (ri)chiedere «the maintenance of liberal trade regime» si potrebbe ragionare nei termini di un'adeguata protezione (35): a) da fissare in un orizzonte temporale di breve-medio periodo; b) da non generalizzare ma delimitare nell'ambito di alcuni sotto-settori sensibili, c) da definire comunque (e negoziare) in accordo con le regole definite dall'Organizzazione per il commercio mondiale. (36)

In altre parole, proprio per sostenere lo sforzo (che tutti a ragione postulano) per il miglioramento delle strutture -efficienza, organizzazione, dimensione, ecc.- ma i cui risultati si avranno nel medio-lungo periodo, e soprattutto per dare «respiro» (e possibilità di attuazione) a questo importante aggiustamento, bisogna agire con misure che abbiano effetto nel breve-medio periodo ridisegnando per prima cosa le tariffe doganali dei prodotti agro-alimentari (capitoli 1-24).

Le tariffe attualmente in vigore pur seguendo la classica tripartizione -dazio del 7% per le materie prime e i prodotti da non proteggere, dazio del 25% per i prodotti semilavorati e per quelli richiedenti un livello medio» di protezione, dazio del 40% per i prodotti finiti, per i beni voluttuari e i prodotti che richiedono una «forte» protezione- se osservate attentamente in realtà non sembrano rispondere ad alcuna logica né di libero scambio né protezionistica. Sembrano bensì, contradittorie e in alcuni casi non giustificano l'importante differenza fra le tariffe imposte per lo stesso prodotto presentato in stadi differenti di lavorazione, condizionamento e peso. (37)

Concretamente si tratta di fissare le tariffe doganali tenendo conto della necessità di proteggere da un lato alcuni settori importanti per il futuro della produzione agricola nazionale -e questi devono essere evidentemente stabiliti seguendo una serie di criteri fra i quali si dovrebbe senz'altro inserire quello di favore per le colture ad alta intensità di manodopera- e dall'altro di negoziare con i paesi fornitori dell'Albania, un criterio di reciprocità, delle tariffe preferenziali per i prodotti albanesi. Esercizio, questo, certamente non facile cui peraltro il paese non è, ne potrebbe esserlo, preparato. Ma è una possibilità concreta, se non altro da valutare.

Chissà, comunque, se la «lezione albanese» sarà servita a qualcosa e soprattutto a qualcuno?

 

Andrea Segrè *

 

* (Università di Bologna, Dipartimento di Economia e Ingegneria Agrarie. L'autore è, per conto dell'Unione europea, consigliere di politica agraria del Ministro dell'agricoltura dell'Albania e coordinatore dei programma comunitario Ace sulla ricostruzione dei sistemi agrari in Albania e Bosnia. Le considerazioni riportate in questa nota non riflettono in alcun modo la posizione ufficiale della Commissione europea)

 

Note:

21) La sola Unione europea dal gennaio '92 all'ottobre '93 ha stanziato 330 milioni di Ecu, prevalentemente destinati agli aiuti alimentari (olio, grano, farina, riso, latte in polvere). Nel biennio '92-'93 lue ha stanziato 25 milioni di Ecu per l'alleviamento della povertà delle popolazioni rurali e permettere lo sviluppo dell'agricoltura.

22) Cfr. N. Dell'Erba, "Storia dell'Albania", Newton, Roma, '97, p. 6.

23) Cfr. N. Dell'Erba, op. cit., p. 68.

24) Si tratta di uno studio su 56 paesi osservati nel periodo '70-'93 che mette in relazione gli aiuti internazionali, le politiche economiche (vengono considerate tre politiche: fiscale, monetaria e commerciale, e in particolare tre indicatori: surplus fiscale, inflazione e apertura commerciale) e la crescita del prodotto interno lordo pro-capite (Cfr. C. Burnside, D. Dollar, "Aid, Policies and Growth", World Bank, Washington, April '97).

25) Dalle analisi di D. Seers all'inizio degli anni 60 sui fallimenti dei visiting economists nei paesi in via di sviluppo alle denunce di O. Hancock nel libro pubblicato all'inizio degli anni 80, "The Lords of Poverty", dove veniva minuziosamente denunciato il «grande affare» multimiliardario degli aiuti al paesi del Terzo mondo.

26) Chi ha occasione di fare una seppur minima esperienza nei progetti internazionali di sviluppo e assistenza tecnica -a prescindere dalla gestione governativa, non governativa o privata- probabilmente ha potuto notare questa apparente contraddizione.

27) Sulla terzomondizzazione delle economie in transizione rimando, fra gli altri, a un mio precedente contributo: "L'Unione Europea e l'allargamento ai paesi dell'Europa Continentale: il costo dell'integrazione agricola". Lettura all'Accademia dei Georgofili, 14 maggio '96, in "I Georgofili. Atti dell'Accademia dei Georgofili, Anno '96", s. VII, v. 43. Firenze '97, pp. 120-132.

28) Ad esempio C. De Waal ("Socio-economic trends in post-communist Albania", cit., pp. 134-135) ha recentemente documentato una serie di «micro» casi, specchio di una realtà molto più vasta.

29) Da ricordare che il titolo originale del Piano Marshall era appunto "European Recovery Program" ma anche che quel primo (riuscito) esempio di cooperazione bilaterale aveva in realtà delle motivazioni legate ad interessi economici e commerciali (ampio mercato per le sovrapproduzioni postbelliche) e politici (superpotenze) degli USA e che la sua riuscita, era soprattutto legata alle particolari condizioni dei paesi europei (che pur distrutti dalla guerra avevano risorse umane e capacità ancora notevoli).

30) Oltre al già citato "Albania. Directions for Recovery and Growth: An Initial Assessment" (WB, BC, EBRD, IMF) si leggano i seguenti documenti: "Albania: Post-Conflict Rehabilitation - A Framework of Economic Policies '97-2000", prepared by the Albanian autorities in collaboration with the staffs of the IMF and the WB, Tirana, September '97; Albania; "Agriculture Sector Adjustment Credit. Progress Review Mission", Tirana, September '97.

31) Secondo le prime elaborazioni statistiche relativamente al '97 emerge che nell'ambito della produzione interna lorda l'agricoltura è passata dal 52,3% al 59,1% (parallelamente sono diminuite le incidenze relative delle costruzioni, dei trasporti e dei servizi). Sebbene ancora la stima non sia disponibile risulta in crescita nel '97 anche il numero di attivi agricoli (l'anno precedente la quota era già pari al 68,8% degli occupati totali).

Questi dati confermano quanto si è osservato nei primi mesi dell'anno e cioè che la condizione di crisi, la fine di quel benessere apparente creato dagli schemi piramidali, ha provocato un «ritorno ai campi». Il che peraltro è confermato anche dalle stime ufficiali del Ministero dell'agricoltura le quali riportano che la produzione agricola nel '97 si è mantenuta generalmente stabile con un incremento dell'1% rispetto al '96.

Se quindi la situazione di caotica incertezza determinatasi nei primi mesi del '97 in fondo non ha influenzato negativamente l'agricoltura, considerando anche che i danni diretti provocati dalle rivolte sono stati relativamente limitati (cfr. A. Segrè, "Lo sviluppo agricolo oltre Adriatico: Slovenia, Croazia, Albania". "Est-Ovest", 2/97, pp. 10-13), il deterioramento complessivo del quadro macro-economico pone al settore dei pesanti condizionamenti per il futuro. Condizionamenti che tuttavia in pratica si sono già concretizzati nella campagna agricola autunnale del '97, in particolare con l'incremento del prezzo dei mezzi tecnici di produzione (sementi, carburanti). È chiaro dunque che questo pur positivo ritorno al settore primario e al lavoro agricolo è ora -e lo sarà certamente ancora in futuro- fortemente condizionato da un quadro generale di grande incertezza.

32) Si tenga presente comunque che i condizionamenti esterni al settore sono tali e tanti da far pensare all'agricoltura non come un fenomeno additivo e coesistente con gli altri ma dipendente, condizionato e a sua volta condizionante. Ne segue che il modo di essere dell'agricoltura dipende dal modo di essere di tutta l'economia dell'aggregato e che non esiste un modo ottimo: ogni livello economico ha un suo ottimo agricolo, che muta se muta quel livello.

Ciò implica che se da un lato visioni troppo settoriali sono destinate a fallire se non collegate al «resto» del sistema, dall'altro il modo di fare l'agricoltura in Albania è diverso da quello usato altrove e quindi sono stati commessi molti errori quando, per aiutare il paese, si sono insegnate metodologie e tecniche buone altrove. Il benessere economico non è immutabile. L'Albania può diventare come altri paesi se rispetterà tempi e modi che le sono propri, senza salti e correlando le modificazioni, che sempre e ovunque creano problemi e difficoltà, allo sviluppo economico del sistema.

Così il forte esodo, tanto per rimanere nell'ambito delle manifestazioni citate sopra, è fenomeno positivo dipendente dallo sviluppo in particolare degli altri settori in grado di accogliere l'eccesso di manodopera. È da vedere se è troppo o poco, ma come fatto generale è fenomeno sano. Se tuttavia le condizioni di sviluppo del sistema non consentono trasferimenti di attivi in lavoro extra-agricolo ecco che il fenomeno diventa catalizzatore di degrado e involuzione. Va, senza dubbio, contenuto.

33) Ad esempio per risolvere i problemi di polverizzazione e frammentazione fondiaria non sarebbe certamente sufficiente la promulgazione di una legge, per quanto perfetta, sul riordino fondiario e neppure l'istituzione, come qualcuno ha proposto, della «minima unità colturale» per prevenire l'ulteriore frazionamento dei terreni. Semmai si dovranno studiate delle misure «preventive» e «curative» agendo nell'ambito delle forti e consolidate consuetudini albanesi (canoni).

34) Cfr. "Albania Post-Conflict Rehabilitation", cit., tab. 1 ("Summary and timetable of key policy actions")

35) Il termine «adeguata» è qui ripreso dall'unico documento della comunità internazionale di finanziamento che lo utilizza, sebbene con preciso riferimento a un regime di scambi liberale («adeguate liberal trade regime», cfr. "Albania. Directions for Recovery and Growth", cit., tab. III).

L'uso dell'ormai quasi desueto (a parole) «protezione» tiene conto del fatto che l'interminabile disputa fra i sostenitori del libero scambio e quelli del protezionismo nasce in realtà, come ricorda S. Ricossa ("Dizionario di economia", Utet, Torino '82, p. 401), dal voler riconoscere a princìpi generali in una materia dove invece contano soprattutto gli aspetti contingenti, ben calati nella realtà di un dato momento e di un dato luogo, come è appunto il caso dell'Albania.

36) Sin dal maggio '92 l'Albania ha lo status di osservatore nell'ambito GATT/WT0. In supporto alla candidatura a membro dell'organizzazione l'Albania ha presentato nel dicembre '94 un "Memorandum of Foreign Trade". Successivamente (febbraio '96) l'Albania ha fornito le risposte a 250 interrogazioni pervenute da vari paesi del WTO e nell'aprile dello stesso anno si è potuto tenere il primo "Working Party" che ha praticamente avviato l'avvio della discussione per l'accesso. Il secondo "Working Party" si è tenuto a Ginevra nell'ottobre '96. La crisi della fine '96 e inizi '97 ha provocato uno stallo dei negoziati.

37) Ad esempio: nei capitoli 0.1 e 0.2 (animali vivi e carni) si prevede un dazio del 40% in generale per gli animali adulti e le carni disossate mentre per gli animali giovani e le carni con ossa è prevista una tariffa del 7%; per le produzioni orto-frutticole (Capitoli 0.7 e 0.8) il dazio è fissato costantemente al 7% senza tener conto della differenza fra i vari prodotti né della loro stagionalità.

 

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