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anno 1 * n° 1

OLTRECONFINE

 

Russia: il crollo del capitalismo orientale

Renato Pallavidini

 

Una breve riflessione sulla crisi economica e politica che sta investendo la Russia post-comunista, si può articolare attorno a due dichiarazioni, apparse sui mass media italiani, e ad un fatto talmente eclatante e importante, da essere sostanzialmente sottaciuto da presunti «esperti», ex-«sovietologi» e anti-sovietici di antica razza: il grandioso consenso sociale acquisito dal PCR di Ziuganov nell’arco di soli quattro anni, che gli consente oggi di assumere un peso determinante nel nuovo governo Primakow.

Le dichiarazioni cui ho alluso s’intrecciano strettamente e ci fanno intuire molto bene il quadro drammatico dell’attuale struttura economica russa.

La prima è dell'ex-Primo ministro ed economista russo Gaidar, il quale ha dichiarato alla stampa che «l'epoca delle riforme è finita». Personalmente sento l’eco della risposta istintiva e soddisfatta di decine di milioni di lavoratori e pensionati russi: «Meno male!».

La seconda viene dai vertici del nuovo capitalismo internazionale «globalizzato» e «finanziarizzato», cioè dal grande magnate della finanza mondiale Soros, il quale ha affermato -senza peli sulla lingua!- che le «riforme» avviate proprio dal governo Gaidar agli inizi del ‘92, hanno creato in Russia un «capitalismo criminale».

Visto che una simile dichiarazione non l’ha rilasciata Cossutta, vale la pena capire meglio quali riforme economiche sono state introdotte in Russia, su mandato imperioso del Fondo Monetario Internazionale.

Queste tanto ventilate riforme risalgono -come già scritto- al governo di Gaidar del ‘92 e si sono sempre mosse in una direzione rigidamente liberista, entro una cornice politico-istituzionale e burocratica ancora di tipo sovietico, abituata solo e unicamente a gestire un’economia, socialista, statalista e pianificata.

Ciò significa concretamente che lo Stato non aveva ancora una vera e propria amministrazione finanziaria preposta a riscuotere le tasse, perché nell'economia socialista, come nella vita quotidiana dell’ex-cittadino sovietico, non esistevano tasse, essendo tutto il PIL assorbito, gestito e ridistribuito dallo Stato.

Cos’è successo dunque in Russia, dal ‘92 ad oggi?

All’improvviso, agli inizi del ‘92, su pressante invito del FMI, il governo ha liberalizzato i prezzi di tutte le merci -prima definiti dallo Stato- e ha messo in vendita tutte le aziende statali, grandi e piccole, di ogni settore.

All’improvviso la Russia è passata da un’economia statalizzata e nazionale, ad un’economia liberista controllata dai grandi organismi finanziari. Tutto ciò senza che nessuno pensasse a riordinare la macchina burocratica dello Stato e la legislazione vigente, per creare un regime fiscale razionale e porre lo Stato almeno nella condizione di riscuotere le tasse. Né, tanto meno, questi «riformatori» «liberisti» e «liberali», a cominciare dal criminale Eltsin, hanno pensato all'impatto sociale di questo vero e proprio passaggio improvvisato, selvaggio ed eterodiretto al capitalismo liberista.

I risultati più eclatanti sono stati due.

In primo luogo, l’iper-inflazione con ritmi del 1000% al mese; una situazione che ha non solo immiserito pensionati, lavoratori, impiegati, quadri dell’esercito, i cui salari e stipendi perdevano potere d'acquisto di giorno in giorno, ma li ha anche sconvolti psicologicamente, essendo i cittadini sovietici abituati ad un regime dei prezzi pressoché immutabile nei decenni. Solo negli ultimi due anni, con il più rigido controllo dell’emissione di moneta imposto dal FMI, l'inflazione si stabilizzata a livelli del 20%. Ma anche questa rigida politica monetarista anti-inflattiva ha avuto nuove pesanti ripercussioni sociali, determinando un ulteriore impoverimento delle già impoverite masse popolari e classi lavoratrici.

Lo Stato non poteva più battere moneta per pagare stipendi sempre più svalutati; non è in grado di riscuotere le tasse dalle aziende di tutti i tipi, quindi quando mancano risorse finanziarie adeguate, sospende per mesi il pagamento degli stipendi ai lavoratori delle aziende statali e delle pensioni agli anziani.

In secondo luogo, le privatizzazioni hanno creato un’economia mista, privata e pubblica, i cui caratteri dominanti sono sostanzialmente tre:

1) il dominio del privato, remunerativo, ed efficiente nei settori commerciali e speculativi;

2) il formarsi di ceti alto-borghesi mafiosi e criminali, che detengono il controllo di questo lucroso settore privato;

3) la permanenza di un settore pubblico dell’economia, esteso dall’industria pesante a quella manifatturiera e all’agricoltura, che langue privo di capitali -in rapporto alla mancanza di adeguati finanziamenti statali e alla non curanza dei governi eltsiniani-, con aziende ferme o che producono nel quadro di un’economia di sussistenza (ad esempio una fabbrica meccanica russa produce ancora trattori per aziende agro-alimentari bulgare, che li pagano con barattoli di cetrioli destinati poi ai lavoratori, al posto dello stipendio mensile).

In sostanza come si è arrivati a queste situazioni così squilibrate, fra il ‘92 e i nostri giorni?

Nei primi due anni di una privatizzazione così improvvisata e selvaggia, i settori più occidentalizzati, imborghesiti e furbeschi della ex-nomenclatura economica sovietica, con l'aiuto dei «prestiti» del FMI e di capitali mafiosi sorti attorno all’ex-mercato nero sovietico (i vecchi compratori di jeans, giornali pornografici, valuta occidentale, ecc.), hanno acquistato la uniche grosse aziende che potevano dare grossi profitti immediati: quelle del settore energetico, già dirette da Cernomirdyn in epoca sovietica.

Questi nuovi «capitalisti» esportavano petrolio e gas in tutto il mondo, collocavano i profitti nelle banche occidentali e con le rendite, assicurate da questa speculazione commerciale-finanziaria, alimentavano il mercato dei prodotti di lusso, il settore del divertimento, ecc. Ciò consentiva ad altri gruppi mafiosi di creare ditte di importazione di beni di consumo occidentali e di aprire costosi locali d’intrattenimento.

Il circuito esportazione materie prime/rendite finanziarie/importazione di crescenti masse di merci occidentali era controllato dall'alleanza privati e potere politico. Si sviluppava senza alcun prelievo degno di questa nome. Divorava tutti i prestiti occidentali. Si muoveva nel contesto di una produzione industriale e agraria, ancora di proprietà statale, in condizione di recessione sempre più drammatica. Un numero crescente di fabbriche dovevano bloccare l'attività per mancanza di acquirenti. L’agricoltura si è quasi avvitata su se stessa: le aziende agrarie prima producono per il fabbisogno locale -come nell'Europa carolingia-, poi per il mercato russo, con le classi agiate e i nuovi ceti medi urbani che spesso ne snobbano i prodotti, a favore della più raffinata ed esotica frutta di importazione.

Il quadro sociale complessivo è quello già descritto, cui occorre aggiunge il completo sfacelo dello «Stato sociale», anch’esso privato dei finanziamenti pubblici.

Non c’è da stupirsi che in uno scenario del genere, si siano sviluppati ampie nostalgie per l’era sovietica -che almeno dava solide garanzie sociali a tutti- e crescenti consensi elettorali all’intera sinistra comunista, al cui interno i settori «ortodossi», marxisti-leninisti e stalinisti appaiono ancora egemoni.

L’indiscusso controllo politico acquisito oggi da una Duma a maggioranza comunista, la formazione di un governo con ministri comunisti nei dicasteri economici più importanti, l'appoggio decisivo che esso riceve dal PCR e dai partiti suoi alleati e il ridimensionamento dei poteri presidenziali non costituiscono ancora elementi per «temere» una restaurazione del Sistema. Sovietico.

Primakow, nei suoi discorsi di insediamento, ha citato il "New Deal» di Roosevelt ed è certo che l'intera politica del suo gabinetto si muoverà per emancipare la Russia dalla tutela della finanza internazionale, per ricostruire lo Stato sociale, proteggere gli interessi delle masse popolari e per ridare dignità alle Forze armate.

È dunque prevedibile una svolta politica in senso sociale e nazionale, orientato a creare un sistema economico misto -com'era quello americano ai tempi di Roosevelt e di Truman- sottratto al primato della speculazione della rendita finanziarla e al controllo dei gruppi capitalistici mafiosi e criminali; un’economia mista dunque efficiente e capace di risollevare dalla tragica recessione l’intera produzione industriale ed agraria.

Per quanto riguarda i presunti pericoli per la «democrazia» russa, che verrebbero dal ritorno dei comunisti al governo, credo non sia neppure il caso di parlarne. Le parole più eloquenti le hanno pronunciate i carri armati di Eltsin, alla fine del ‘93, quando hanno chiuso a cannonate il vecchio parlamento «colpevole» di essere contrario alla politica «liberale» e «liberista» del Presidente e di volerlo -già allora- rimuovere dalla sua carica per etilismo cronico (altro che Monica!). Questo, modello di «democrazia» eltsiniano-etilista è già stato affossato dal voto popolare! Qualunque «cosa» sorga al suo posto, non potrà che essere migliore da tutti i punti di vista, anche sul terrena della tutela della vita democratica del paese (per non parlare dei livelli di consumo alcoolico dei governanti).

Renato Pallavidini

 

 

 

 

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