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anno 1 * n° 1

LA POLEMICA

 

Gli epigoni di Fregli

Enrico Landolfi

 

Di tanto in tanto perfino in Alleanza Nazionale alcuni cervelli -stanchi dell'inerzia intellettuale imposta al Partito da una leadership come quella di Berlusconi, tanto urlata quanto deprimente- tentano di funzionare. Ma i risultati appaiono men che mediocri, né potrebbe essere diversamente. È infatti impensabile che in una aggregazione politica che accetta di fare riferimento a un vassallo del Creso di Arcore il clima culturale possa essere tale da stimolare pensieri alati e determinazioni eroiche in chicchessia. A meno che non si ritenga di individuare gli uni e le altre nei pluriennali platealissimi insulti di Giulio Maceratini al Capo dello Stato e nella copertura dialettica ai guai giudiziari del Cavaliere Azzurro allestita da «teste d'uovo»-squillo, fattesi «antifasciste» al solo e unico fine di ottenere da quello che definivano sprezzantemente il regime, un passaporto di perbenismo politico atto a consentirgli il viaggio verso le svariate «crostate» nelle troppe «Casa Letta». Con tutto ciò che di concreto questo può significare. Per loro e non soltanto per loro.

Le predette «teste d'uovo» -o, se si vuole, «teste» di altro genere- sono impegnate, e non da oggi, nel tentativo di dare una decente e plausibile paternità ideologica a un partito ormai raccogliticcio tuttavia pur sempre incentrato sul vecchio tronco del Movimento Sociale Italiano. Una paternità, s’intende, atta a resistere alle pressioni degli interrogativi storici, alle severe esigenze della logica, alle rughe del tempo e dei tempi.

Naturalmente si è trattato di sbarazzarsi una volta per tutte di nomi imbarazzanti quali quelli, tanto per restare nei quartieri alti, di Benito Mussolini, di Giovanni Gentile, di Nicola Bombacci, di Berto Ricci, di Carlo Borsani, di Giuseppe Spinelli, di Angelo Tarchi, di Manlio Sargenti, di Carlo Silvestri etc. etc. E, soprattutto, anzitutto, di liquidare, di distruggere perfino il ricordo di pensatori, scrittori, volontari, poeti, guerrieri, Caduti in guerra espressi dai filoni più rivoluzionari -sotto il profilo sociale e popolare- sia del «fascismo movimento», sia delle gerarchie del Littorio maggiormente dislocate in avanti sul terreno dall'avanguardia riformatrice, sia della Repubblica Sociale Italiana, sia del MSI aurorale non ancora «Destra Nazionale» e pertanto maggioritariamente proclive alle tesi di Giorgio Pini, di Bruno Spampanato, di Bruno Ricci, di Olo Nunzi, di Maria Pignatelli Cerchiara, di Orfeo Sellani, di Giuliano Bracci, di Beppe Niccolai, di Ugo Clavenzani, di Giuseppe Landi, di Manlio Sargenti, di Vittoria Guinati Nunzi.

Pari attentato, politicamente riprovevole e moralmente disonesto, stanno perpetrando tali intellettuali-taxi alla memoria di quei non fascisti e perfino antifascisti che nella RSI operarono positivamente, costruttivamente- pensiamo, oltre ai già citati Carlo Silvestri e Nicola Bombacci, a Concetto Pettinato, a Marco Ramperti, a Pulvio Zocchi, a Germinale Concordia, a Edmondo Cioce, etc. etc., così consentendoci di considerare la Repubblica dei seicento giorni una realtà della storia che, promossa da un fascismo fortemente orientato a sinistra e, quindi, radicalmente rinnovato nel suo affiato sociale fino al punto di farsi socializzatore, andò oltre la sua stessa sigla pur senza cancellarla e rinnegarla, come documentato dalla opposizione di Mussolini alla richiesta di Hitler di denominare il nuovo stato «fascista». Del resto, nel governo della RSI sedeva il Maresciallo d'Italia Rodolfo Graziani, tutt'altro che fascista. E il leggendario Comandante della Xª MAS, il Principe Junio Valerio Borghese -medaglia d'oro e violatore di Gibilterra- si era spinto al punto di proibire ai suoi marò l’iscrizione a qualunque partito.

Orbene, sarebbe molto interessante essere esaustivamente edotti circa l'incarnazione del pedigree ideologico su cui si esercitano fino ad oggi ascosi pensamenti dei pensatori di via Nazionale e dintorni. I nomi tanto gelosamente tutelati non si sa bene nei confronti di chi e di che cosa, sono, gira e rigira, sempre gli stessi, a palmare dimostrazione che, come recita l'antico adagio, non c'è nulla di nuovo sotto il sole. La solita sfilata, insomma, dei soliti noti o da tempo passati a miglior vita oppure, come suol dirsi, «impegnato nelle istituzioni» domestiche ed esteriori, attualmente e nei trascorsi lustri. Vediamo, citando alla rinfusa: Prezzolini, Thatcher, Reagan, Fisichella, Fukuyama, Chirac ecc. Per inciso: in gran spolvero, come annunciate, urbi et orbi dal Gran Cerimoniere di Fini, Adolfo Urso, i gollisti, al cui gruppo del Parlamento Europeo AN ha fatto domanda di adesione. Con molti distinti saluti alla già Amatissima Ombra -a tacer di tante e tante altre- di Robert Brasillach, condannato alla fucilazione da un tribunale gollista e non graziato da De Gaulle nonostante una cospicua lista di firme della grande cultura francese anche di sinistra, raccolta dal cattolico di sinistra Francois Mauriac in calce a una domanda di grazia. In proposito, ci pungerebbe vaghezza di chiedere a un brasillachiano del calibro di Don Gennariello da Solopaca, alias Gennaro Malgieri, direttore e mezzo servizio de "Il Secolo d'Italia", organo ufficiale del partito dei Fiuggiaschi, cosa pensa della ennesima genuflessione trasformistica del Grande Rinnegato, di fronte all'erede politico di colui che, cattolico -come cattolico era il signor Reboul, pubblico ministero nel processo contro il poeta di Perpignano- pretese intransigentemente il sangue di Robert Brasillach. Ciò gli chiede chi, come il sottoscritto, se francese non avrebbe militato nello stesso schieramento del direttore del "Je suis partout", giornale da cui, peraltro, si era separato, se ben ricordiamo nell'agosto del '43, non condividendo l'interpretazione oltranzista che della linea della collaborazione dava la quasi totalità della redazione.

Vorremmo concludere questo pezzo con un suggerimento agli ingegneri d'anime dell'Alleanza, cosiddetta Nazionale, dettato esclusivamente dalla nostra ben nota bontà d'animo. Diciamo loro: non affatichino troppo le già lasse meningi -lasse per gli sforzi immani cui sono state sottoposte per meglio servire e con sode argomentazioni le ammucchiate di miliardi e le TV del leader Forza Silvio- nella ricerca dei loro Padri Spirituali. Perché ne basta uno solo e non può essere che colui il cui nome già avemmo l'onore di segnalare a conclusione dei calcoli di Fiuggi di quel grandissimo calcolatore che si chiama Gianfranco Fini, meglio conosciuto come Gianfranco Fininvest.

Si tratta, sia detto senza offesa per lui, di Leopoldo Fregli, di cui la benemerita Enciclopedia Pomba fornisce questo edificante ancorché ristrettissimo ritratto: «Artista del teatro di varietà (Roma 1867-Viareggio 1936), fu trasformista famoso, la cui arte consisteva nella possibilità di procedere a fulminee complete trasformazioni della sua personalità in macchiette e tipi diversi, o isolati o impegnati in un'azione a parecchi personaggi impersonati da lui solo».

Amen!

Enrico Landolfi

 

 

 

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