da "AURORA" n° 2 (Gennaio 1993)

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Cinque anni di Intifada

Marco Battarra

Lo scorso mese di dicembre ha segnato il quinto anniversario dall’inizio dall’Intifada nella Palestina occupata.
La situazione sul posto si è notevolmente modificata negli ultimi mesi. Dopo la sconfitta militare dell’Iraq, il movimento palestinese si è trovato indebolito e sotto la pressione della diplomazia americana, gli elementi più moderati della resistenza -cioè la direzione dell’OLP- sono stati indotti ad accettare i negoziati di Madrid e di Washington.
Avendo compreso che delle concessioni di pura forma potevano portare a nuove concessioni, più sostanziali, da parte dei suoi interlocutori arabi, Rabin ha riesumato il progetto di autonomia previsto tredici anni fa dagli accordi di Camp David, firmati da Begin, Carter e Sadat. Si tratta, in sostanza, di permettere ai Palestinesi di Cisgiordania e di Gaza di occuparsi loro stessi della propria amministrazione, che in realtà non ha alcuna incidenza negli interessi dell’occupante, così da alleggerire i compiti amministrativi e repressivi delle forze di occupazione. Questo progetto, nell’ipotesi sionista, potrebbe portare alla creazione di una sorta di protettorato posto sotto la doppia tutela della monarchia giordana e dell’entità sionista.
Sfruttando una certa fretta nei propri partigiani nell’esercitare le fittizie prerogative di un’amministrazione sotto tutela, fretta che si è tradotta in una corsa del tutto sconcertante per arruolarsi nella futura polizia palestinese, la direzione dell’OLP ha puntato su un accordo a breve termine. Un tale calcolo implicava inevitabilmente una serie di nuove capitolazioni, cosa che si è puntualmente verificata.
Così ha tradito l’impegno preso unanimamente da tutte le fazioni dell’OLP, il 22 luglio ’92, di rifiutare la partecipazione al sesto round dei negoziati di Washington se gli Stati Uniti avessero accordato allo Stato sionista il prestito di dieci miliardi di dollari. I negoziatori palestinesi, agendo in conformità alle direttive della direzione di Arafat, sono andati a Washington e si sono messi nella prospettiva di un accordo-quadro con l’entità sionista sull’ autonomia amministrativa, mostrandosi molto concilianti. Malgrado ciò sono dovuti rientrare con le pive nel sacco in quanto il governo sionista ha interrotto i negoziati e rinviato a quest’anno la definizione dell’accordo.
Le nuove capitolazioni della direzione di Arafat sono state denunciate con veemenza dall’opposizione palestinese. Le due frazioni rivoluzionarie dell’OLP, il Fronte Popolare di George Habach e il Fronte Democratico di Nayef Hawatmeh, hanno accentuato la loro collaborazione, peraltro già rinforzata dopo l’inizio dei negoziati arabo-israeliani dei quali hanno denunciato le infamanti condizioni. In diversi comunicati, in comune con le organizzazioni islamiche Hamas e Jihad Islamica, in assoluto le più radicali nella lotta di liberazione nazionale, così come con l’insieme dell’opposizione palestinese, hanno riaffermato il loro sostegno alla posizione dei combattenti dell’interno, definita nella dichiarazione n° 86 del 1 settembre ’92 della Direzione Patriottica Unificata dell’Intifada: «La Direzione Patriottica Unificata riafferma il suo rifiuto di ogni soluzione non fondata sulle risoluzioni della legalità palestinese, araba ed internazionale, che hanno tutte sottolineato la necessità di realizzare gli imprescrittibili diritti nazionali del popolo palestinese, compresi il diritto al ritorno, all’autodeterminazione e alla costituzione di uno Stato palestinese indipendente che abbia come capitale Al Qods (Gerusalemme)». Inoltre le due organizzazioni il 22 settembre, hanno annunciato la creazione di un Comando Unificato che deve raggruppare le loro strutture.
L’intensificazione della lotta armata contro l’occupante, in particolar modo da parte degli islamici di Hamas che nelle ultime settimane hanno portato a termine molteplici operazioni militari, ha portato lo Stato sionista ad intensificare la repressione, culminata con la deportazione di massa di 413 militanti nella fascia di sicurezza alla frontiera libanese. Non contento di ciò il governo razzista israeliano impedisce il passaggio dei convogli di aiuti umanitari.
Abbandonati da tutti, isolati dal mondo, con il Corano come unica arma, disposti ad arrivare fino al martirio, questi militanti islamici stanno infliggendo la più dura sconfitta al governo israeliano, svelandone la vera natura al di là della sua colorazione politica.
Questi uomini devono essere un esempio per tutti noi. In Europa è nostro dovere portare un sostegno totale e senza condizioni ai combattenti dell’Intifada. Il 1993 dovrà essere l’occasione per accentuare la nostra solidarietà militante con una campagna a favore della resistenza palestinese. 
Lo scontro che si combatte a Gaza e ad Al Qods e la nostra lotta.

Marco Battarra

 

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