da "AURORA" n° 6 (Maggio 1993)

RECENSIONI

 

René Dubail

L'ordinamento economico nazionalsocialista

Ed. all'insegna del Veltro    pag. 240    £. 32.000

 

Primo studio autenticamente scientifico sull'ordinamento economico che il governo del Terzo Reich realizzò in alternativa alle ideologie economicistiche, il libro del Dubail fornisce una descrizione estremamente chiara dell'economia nazionalsocialista e può essere seguito senza difficoltà anche dal lettore digiuno di nozioni economiche, anche grazie al saggio introduttivo di Maurizio Lattanzio, che è il traduttore dell'opera.

L'Autore spiega come il Terzo Reich abbia realizzato, con appositi strumenti tecnico-giuridici, una serie di risultati che ben possiamo chiamare rivoluzionari: la banca di emissione come strumento della politica economica dello Stato; la moneta nazionale, come proprietà del popolo, garantita e coperta dal lavoro e dai beni reali prodotti; emissione della moneta in rapporto alla potenzialità produttiva della nazione; lavoro soggetto e non oggetto dell'economia; funzione sociale dell'iniziativa privata nel quadro di uno Stato che non è omnia facens, ma omnia potens.

Secondo Dubail, la caratteristica di un tale ordinamento economico, cioè l'adozione di un tipo di pianificazione che miri a saldare le energie economiche della nazione in un contesto di collaborazione e di solidarietà organica, in contrapposizione allo schema liberalmarxista della lotta di classe, costituisce un esempio positivo e sostanzialmente riproponibile.

Molti dei problemi che si sono presentati nel corso del dopoguerra, afferma Dubail, come la promozione dei paesi sottosviluppati, la sovraproduzione, la difesa del primo impiego, la instaurazione della giustizia sociale, non sono stati certamente risolti.

Problemi del genere, secondo l'Autore, potrebbero essere affrontati solo facendo ricorso a misure analoghe a quelle che furono proposte, e in una certa misura applicate, dal nazionalsocialismo.

U. B.

 


 

Roberto Mainardi

L'Europa germanica. Una prospettiva geopolitica

Ed. Nuova Italia     pag. 241      £. 36.000

 

Dal crollo dei regimi dei Paesi dell'Est, che ha investito nell'estate '91 la stessa Unione Sovietica, sta nascendo una nuova geografia dell'Europa, di cui la Germania riunificata è l'arca economicamente più forte e la regione chiave degli assetti geopolitici.

Agli 80 milioni di abitanti della Germania Federale si aggiungono i 13 milioni di germanofoni dell'Austria e della Svizzera, i 2 milioni dell'Alsazia e del Lussemburgo, i 20 milioni di neerlandesi delle Fiandre e dell'Olanda, gli oltre 3 milioni di tedeschi che costituiscono tuttora consistenti minoranze nell'Europa centro-orientale e nei Paesi nell'ex-Unione Sovietica.

Il testo che qui presentiamo descrive le strutture socio-demografiche ed economiche e l'organizzazione dello spazio (regioni, aree metropolitane) della Germania federale e degli altri luoghi di lingua tedesca e neerlandese, e la loro collocazione nell'ambito europeo e mondiale, partendo dalla constatazione che i recenti avvenimenti, consolidandone la leadership nell'ambito dell'economia europea, fanno della Germania il principale interlocutore delle politiche degli Stati Uniti e del Giappone.

 


 

Igor Shafarevich

La setta mondialista contro la Russia

Ed. all'insegna del Veltro     pag. 112     £. 15.000

 

«Tra gli intellettuali d'oggi, non ho trovato nessuno che gli stesse alla pari nella determinazione di morire in patria e per la patria, piuttosto che cercare la salvezza in Occidente»: così in "La quercia e il vitello" (ed. franc. Seuil, Paris '75, pp. 395), Aleksandr Solzhenitsyn scriveva a proposito di Igor Shafarevich.

Dal punto di vista della intelligencija mondialista, invece, Shafarevich è un fascista, un neostalinista, un antisemita.

Ricorrendo all'insulto e alla falsificazione, sinistri individui come Francois Fejtö, Adam Michnik, Andrej Sinjavskij, nonché alcuni insignificanti pennivendoli di "Panorama" e del "Manifesto" lo hanno attaccato in maniera fegatosa in seguito alla pubblicazione del suo saggio "Rusofobija" uscito in Italia con il titolo "La setta mondialista contro la Russia"; titolo che ad alcuni pierini della cosiddetta "Nuova Destra" ha fornito il pretesto per biasimare l'editore italiano, mentre ha dato modo allo stesso Shafarevich, nel corso di un'intervista concessa alla TV di Mosca nei giorni del fallito putsch d'agosto, di introdurre nel lessico politico russo la nozione e la parola mondialismo, divenuta da allora d'uso comune.

Il saggio di Shafarevich, dunque, venne originariamente diffuso dal samizdat negli anni '80; tre anni fa venne pubblicato dalla rivista letteraria "Nash Sovremennik" (centinaia di migliaia di copie); seguì l'edizione italiana; e in questi giorni, finalmente, esce presso le edizioni Chapitre Douze l'edizione francese.

Non si creda che "Rusofobija" si esaurisca nella difesa del popolo russo dalle accuse che gli vengono rivolte dai russofobi (arretratezza, misoneismo, xenofobia, sottomissione al dispotismo, oscurantismo religioso, ecc.).

Al di là di ciò, il merito di Shafarevich consiste nell'aver applicato alla situazione russa la teoria del "piccolo popolo" concepita da Augustin Cochin nel suo "Esprit du jacobinisme".

"Piccolo popolo" è un gruppo sociale e culturale che rescinde ogni legame con la nazione in seno alla quale si trova a vivere, ne disprezza le tradizioni, i valori etici, i moduli psicologici, e pretende di governare questa nazione in base a princìpi astratti ed estranei alla sua storia.

In Russia il "piccolo popolo" ha avuto una parte determinante nel preparare gli eventi del '17, nel provocare il crollo e la disintegrazione dell'URSS, e nel tentativo di imporre alla Russia il modello politico ed economico occidentale.

Chissà che dall'indagine di Shafarevich qualcuno non si senta stimolato ad intraprenderne una analoga in rapporto all'Italia ...

Franco Morini

 


 

L. Berti - A. Fumagalli

L'antieuropa delle monete

Ed. Il Manifesto     pag. 160     £. 26.000

 

C'è un bisogno d'Europa che prima o poi la stragrande maggioranza dei cittadini del continente riconoscerà come il requisito necessario della sua sopravvivenza.

E questa la ragione di fondo che oggi deve spingere a pensare e volere la creazione di un grande spazio europeo, economico, politico e sociale.

Ma proprio per la molteplicità e la complessità delle sfide che sono implicate in questo difficile processo di costruzione dell'Europa, appare del tutto inaccettabile che la responsabilità di indicare la rotta, di segnare i traguardi, di dettare i tempi, di scegliere i modi, sia interamente lasciata all'interesse parziale, per quanto rilevante o addirittura decisivo, degli operatori economici, delle grandi imprese, dei gruppi finanziari, delle banche, delle eurocrazie.

Eppure è esattamente questo il processo che è venuto avanti in questi anni.

Se è vero che «da sempre, fin cioè dagli anni '50, la costruzione europea è stata vista in tre modi e tempi: un modo affidato alla integrazione dei popoli (...), un modo affidato alla responsabilità e alle decisioni dei poteri politici (...), un modo, rapido e politicamente meno faticoso, concentrato nella delega all'economia e in particolare agli strumenti finanziari e monetari» (De Rita, "Un autunno da vivere con rigore"), non vi è dubbio che gli anni '80 hanno visto prevalere decisamente quest'ultimo modo.

L'Unione economica e monetaria europea, preludio all'unione politica, sembra tornata oggi in alto mare.

Nel suo più che trentennale percorso, la costruzione dell'unione europea ha subito infiniti arresti e ricominciamenti, legati principalmente agli alterni conflitti tra gli stessi interessi economici che dall'unificazione dovevano essere il motore.

È anche la storia di Maastricht.

Ancora una volta si è tentato di affidare all'economia, e in particolar modo agli strumenti monetari, il compito di trainare l'unificazione europea.

Ma l'entità della posta in gioco ha messo allo scoperto, per contraccolpo, l'intrinseca debolezza del progetto: l'assenza di una vera mobilitazione sociale, politica, culturale intorno all'idea d'Europa.

Con l'economia soltanto non si farà l'Europa.

Ma le sfide economiche vanno capite e controllate.

 

 

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