da "AURORA" n° 7 (Giugno 1993)

L'INTERVISTA

L'ultimo soldato dell'Impero

Claudio Mutti


Intervista ad Aleksandr Prokhanov, a cura di Claudio Mutti (Mosca, 1/3/93)


 

D: Vuole parlarci della Sua attività letteraria?
R: Finora sono stato più un letterato e un romanziere che non un uomo politico. Ho appena terminato di scrivere un romanzo che si intitola "L'ultimo soldato dell'Impero" ed è dedicato agli avvenimenti culminati nel putsch dell'agosto '91. Sono stato al centro di quegli avvenimenti; i membri del comitato che organizzò il putsch erano miei amici.
Il mio primo libro riguardava invece il mondo contadino e le tradizioni popolari russe. Poi dovetti abbandonare le regioni che amavo per visitare la Siberia e le zone industriali. Così passai alla futurologia e scrissi un romanzo sulla città dell'avvenire. Successivamente il destino mi condusse sui fronti di guerra e così scrissi una serie di romanzi a sfondo geopolitico. Ho al mio attivo quattro libri sull'Afghanistan, un paese nel quale sono stato una quindicina di volte. 
Infine pubblicai un romanzo sulla tragedia della perestrojka: "Seicento anni dopo la battaglia".

D: Quale funzione ha svolto la letteratura nel periodo che ha visto il crollo dell'Unione Sovietica?
R: L'intellettualità e il mondo letterario russo sono divisi in due campi contrapposti: i democratici filo-americani e i patrioti. All'inizio della perestrojka furono i democratici a svolgere un ruolo che ebbe ripercussioni determinanti sul piano politico. Gli scrittori di orientamento patriottico rimanevano passivi ed incassavano colpi su colpi. Ma adesso l'intellettualità patriottica è passata al contrattacco; e io penso che la vittoria dei patrioti sarà ineluttabile.

D: Nel malaugurato caso di una definitiva vittoria della democrazia, quali sarebbero le prospettive d'azione della letteratura russa?
R: La letteratura russa ha accumulato, negli ultimi sei anni, una grande esperienza di resistenza. Nel caso in cui il potere democratico rendesse impossibile una continuazione della lotta sul piano politico, la letteratura diventerebbe un grande accumulatore di resistenza patriottica. Essa, d'altronde, ha già un'esperienza di questo tipo: in certi periodi della nostra storia, la letteratura è stata l'unica forma di resistenza.

D: In quali circostanze lo scrittore Prokhanov è diventato il direttore del quindicinale "Den", che reca come sottotitolo la dicitura «giornale dell'opposizione spirituale»?
R: Allorché avvertimmo il pericolo incombente della disintegrazione dello Stato e prevedemmo la situazione che si sarebbe venuta a creare sulle sue rovine, decidemmo di allineare il giornale "Den", che allora era il "Giornale dell'Unione degli Scrittori dell'URSS", sulla trincea della lotta contro le tendenze filo-americane e filo-sioniste presenti nel campo della cultura. Nell'agosto del '91, dell'Unione si impadronirono esponenti della democrazia radicale come Evtushenko e Cernicenko, che tentarono di eliminarmi, anche fisicamente. Allora "Den" assunse il ruolo di organo d'opposizione; e, poiché non esisteva ancora né un opposizione politica, né un'opposizione militare, ma solo una piccola opposizione di nazionalisti russi, decidemmo di rappresentare l'opposizione spirituale. In quel momento, dunque, decidemmo di non scomparire, ma di lottare con le forze a nostra disposizione. Per tre mesi siamo stati l'unico nucleo di resistenza. Abbiamo ricevuto minacce d'ogni genere, siamo stati ostacolati in mille modi, ma non abbiamo disarmato e così siamo diventati un punto di riferimento centrale per tutti i settori dell'opposizione. Attorno a "Den" si è costituito un nucleo di intellettuali, tra cui Aleksandr Dughin, che ha mostrato come l'idea sociale dei rossi e l'idea nazionale dei bianchi non si trovino in contrapposizione, ma, anzi, siano complementari e convergano verso un unico obiettivo, tant'è vero che ogni vero Russo è contemporaneamente nazionalista e socialista. Perciò attualmente "Den" non è solo un giornale di propaganda, ma anche uno strumento di elaborazione politica per tutta l'opposizione.

D: Il giornale da Lei diretto riserva un'attenzione tutta speciale all'Islam e annovera anche, tra i suoi redattori, esponenti del Partito della Rinascita Islamica. Qual'è il rapporto tra Islam e opposizione patriottica?
R: Il nostro obiettivo è la restaurazione dell'Impero. Ora, il nostro è un Impero eurasiatico, che ha sempre avuto una fondamentale componente musulmana. Dunque, la lotta degli Ortodossi contro l'Islam, come si ha in Jugoslavia, è priva di ogni significato. Anzi, è solo interesse degli Stati Uniti che Islam e Ortodossia si combattano tra loro. Il nostro primo compito, perciò, consiste nel riunire su un unico fronte queste due grandi forze: Islam e Ortodossia, elemento turco-tataro ed elemento slavo. Bisogna comprendere che non è possibile batterci separatamente contro il mondialismo. Come ortodosso, d'altronde, posso dire che l'Islam c'è molto vicino per la bellezza della sua cultura, per la forza della sua tradizione, per il grado sublime della sua spiritualità.

D: Con queste idee, come ha vissuto l'esperienza afghana?
R: Mi ricordavo sempre dei grandi scrittori russi (Lermontov, Tolstoj, Puskin ...) che parteciperanno ad avvenimenti militari contro la Turchia, mi manifestarono sempre il loro amore per l'Islam. Io stesso, d'altra parte, non ho mai considerato la guerra in Afghanistan come una guerra contro l'Islam o contro i Musulmani, ma come una guerra imposta da ragioni geopolitiche.

D: Com'è l'Italia vista dalla Russia?
R: Credo che l'Italia sia il Rinascimento interrotto. E il periodo di Mussolini è una sorta di nuovo Quattrocento.

Claudio Mutti

 

 

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