da "AURORA" n° 16 (Aprile 1994)

EDITORIALE

 

A carte scoperte

Alberto Ostidich

 

Chi -come noi di "Aurora"- è da tempo alla ricerca di una nuova sintesi culturale capace d'assumere in sé il carattere dinamico dell'impegno politico, ha dovuto porsi -prioritariamente- il problema del contesto politico entro cui operare. Elaborando cioè un proprio schema progettuale ed organizzativo in alternativa al sistema dominante. È quanto abbiamo iniziato a fare con la piattaforma programmatica della "Sinistra Nazionale".
Ma per andar oltre, operativamente, occorrerà anche prevedere un riordino degli elementi e dei fattori antisistemici in campo (presenti, spesso, sotto forme latenti e/o potenziali), attraverso una loro connessione e integrazione ad un modello unitario. E detto modello, per essere "modello di fattibilità" dovrà saper cogliere sino in fondo le diversità (non eludibili né eliminabili: aggiungo, per fortuna...) delle varie componenti antagonistiche; solo escludendo quanti -per spocchie, pregiudizi, frustrazioni, incapacità o altro- si rendano obiettivamente inutili a qualsiasi correlazione.
Quest'ultimo aspetto non mi pare necessitare di particolari sottolineature.
Né mi soffermerò sul recente risultato elettorale, la cui pregnanza «a destra» non fa che confermare nostre precedenti analisi e osservazioni.
Quel che invece qui interessa è un altro genere di conferma: che questa ultima «svolta» della politica italiana testimonia dell'intima compenetrazione fra mondo politico propriamente detto e mondo economico-produttivo. Ne consegue, a livello di prospettive «nostre», che occorre sempre tener presente come ogni componente di un insieme sociale viva oggi in un "universo complesso", tra continue e costanti interazioni. E qualunque possa essere il grado d'intensità di tali scambi, questi vanno rapportati alla pressione esercitata dall'ambiente e dalle circostanze; da un mondo esterno, cioè, che presenta proprie variabili, propri parametri, propri soggetti.
Ora, nella presente fase storica dell'Italia, gli assetti societari stanno dando segnali contraddittori, ma in cui è udibile il crescendo di nuovi bisogni e di nuove consapevolezze. Parimenti si è notato e si nota un differenziale sempre più accentuato tra l'affacciarsi disordinato di spinte sociali e la capacità politica di saperle ordinare. Tale gap va posto in relazione (anche) al "tessuto umano" di cui è fatto il nostro Paese; e ciò, unitamente all'incapacità (o non volontà) di governare le emergenze, contribuisce di certo a tenere alto il livello del «differenziale» di cui sopra.
L'Italia ci fornisce complessivamente un panorama politico, che -pur nella frammentarietà e discontinuità dei fattori che vi interagiscono- risulta viceversa segnato da una grande malleabilità alle varie forme di stampo capitalistico. Ultimo episodio, appunto, quello dell'adeguamento al "modello berlusconiano".
Per darci allora, come Movimento Antagonista della Sinistra Nazionale, alcune coordinate d'analisi, mi pare importante fissare una pur sommaria periodizzazione del "modello italiano". E ciò al fine di porre in risalto le conseguenze socioculturali derivanti dagli assunti liberalcapitalistici di ieri e di oggi.
Dall'unità d'Italia alla fine del secolo scorso il sistema -lungo il passaggio (1876) dalla "Destra" alla "Sinistra"- si presentò con le caratteristiche di una stessa osmosi fra classe politica risorgimentale e classe burocratico-amministrativa sabauda. 
Vennero così poste le basi per uno «Stato borghese» investito di precise funzioni di controllo sociale e di difesa dell'ordine nazional-patriottico; uno Stato che venne rafforzandosi con la centralizzazione degli apparati di gestione e con il conseguente, contestuale smantellamento delle autonomie localistiche con i classici strumenti delle prefetture e dell'esercito.
Nel periodo immediatamente successivo, e sino alla 1ª guerra mondiale, in conseguenza di una maggiore ideologizzazione della società, la classe dirigente tende a gestire in proprio le trasformazioni dell'«Italietta», sostenendo in prima persona l'organizzazione della vita comunitaria. Possiamo datare a questo periodo lo sviluppo massimo dello «Stato liberale», avente ruolo di garante dell'iniziativa privata, della libera concorrenza e dell'individualismo borghese. Tale scelta di sistema produsse due distinti ordini di comportamento: il primo fondato sulla mediazione degli "interessi forti", anche fra loro contrastanti, della grande borghesia nascente: il secondo contraddistinto dalla repressione violenta dei movimenti politici che sostenevano istanze, popolari e/o individuali, di segno opposto al modulo educativo borghese.
In questa ottica può dirsi non esista una vera e propria cesura fra il decennio giolittiano (e dintorni) ed il successivo "Ventennio", caratterizzato quest'ultimo da un regime di tipo liberal-autoritario in cui si tende a ricomporre ed a riassorbire le predette istanze antiborghesi. Le eccezioni d'indirizzo e le controtendenze ben presenti nell'arco del periodo '22-'43, non sembrano poter inficiare la determinazione di una complessiva, sostanziale continuità fra «Stato fascista» e «Stato borghese». La rottura, traumatica, avviene con la RSI. Avviene col tardivo «ritorno alle origini» e con la riscoperta dell'anima socialrivoluzionaria in seno all'idea fascista. La RSI fu infatti l'unico tentativo (riuscito solo in parte, date le circostanze) di realizzazione in Italia di uno Stato socialista.
Quindi, nella fase seguita a quella «parentesi storica» -e fino ai giorni nostri, pur con modalità (ovviamente) diverse e a fasi alterne- si torna agli schemi liberali d'antan. Salvaguardando peraltro alcune delle realizzazioni (: conquiste sociali) del «deprecato Ventennio».
Sicché, nella nuova democrazia liberale saranno presenti almeno quattro livelli d'intervento: l'assunzione diretta di parte della forza-lavoro «eccedente» secondo le regole del «mercato puro», la creazione di ammortizzatori ad hoc quali la CIG o la Cassa per il Mezzogiorno; la tutela sindacale protetta del lavoro dipendente; l'erogazione a prezzi politici di servizi pubblici: istruzione, trasporti, sanità, ecc.
Questi quattro segmenti -intersecanti rispettivamente, i primi tre il mercato del lavoro, il quarto l'organizzazione d'impresa- costituivano parti di una linea diretta verso il cosiddetto «Stato assistenziale». Invero, lo Stato italiano è -o meglio era, sino a qualche tempo addietro- improntato ad una «economia mista»; per cui, da una parte presentava il "Mercato" come elemento-cardine dei «valori di scambio» e, dall'altro, si dotava di enti erogatori di «valori d'uso».
Un simile «equilibrio keynesiano» su cui si è retta l'Italia ante Muro, aveva come perno principale la tenuta sotto controllo della domanda sociale. Rottosi quindi il vecchio modello consociativo, il Potere -sbarazzatosi della sua pretesa funzione sociale- intende ora muoversi attorno ad un nuovo sistema di relazioni economico-finanziarie, rinnovare le strutture pubbliche e programmare nuovi modi di intervento nel campo politico-culturale. Di questi aspetti del neo-capitalismo su "Aurora" si è parlato a lungo (prima ancora -lo diciamo con una punta di orgoglio- che altri iniziassero a preavvertire quale fosse il vero cambiamento in atto...).
Non ci resta dunque che ribadire: non è affatto detto che gli equilibri futuri reggano per molto. Non è detto che l'attuale rapporto non conflittuale tra Stato e società civile continui; che interventi pseudo-sociali acquieteranno ancora la richiesta di giustizia, di lavoro, di qualità della vita. Non è detto, infine, che il Sistema riesca ancora una volta, grazie alle sue mutazioni superficiali, a far coesistere al suo interno aspirazioni, domande, pulsioni ed interessi tanto diversi tra di loro. Anzi, il successo della Destra alle politiche di marzo metterà a nudo l'intima fragilità del corpo sociale; e lo stesso "modello di sviluppo" avanzato dalla Destra che si dimostrerà ben presto incapace di dare prospettive e opportunità concrete a gran parte dei suoi stessi sostenitori. In parole povere, il leit motiv: «meno tasse per tutti e 1 milione di nuovi posti di lavoro» presto si rivelerà per quello che è: uno slogan fallace e mendace. A quel punto sarà chiaro il non funzionamento della ricetta liberal-pragmatica che si vuole valida per l'intero Paese. 
E molti si accorgeranno «dal vivo» che ciò che si vuole -invece- è un'Italia a due velocità, dove i ricchi siano sempre più ricchi ed i poveri sempre più poveri. 
Facile dunque prevedere che il disagio sociale, unito all'incertezza del presente e alla paura del futuro, crescerà; e che tale miscela esplosiva di preoccupazioni e d'inquietudine finirà per deflagrare.
Tutto ciò conduce ad almeno una considerazione, ossia ad un'ultima considerazione di massima che si riallaccia a quella iniziale: nell'intervallo tra presa di coscienza della crisi prossima ventura e strategia per affrontarla politicamente e socialmente, sembrano mancare a chi «non ci sta» atti, scelte e comportamenti coerenti e conformi alla posta in gioco.
Per quanto riguarda il nostro giovane Movimento, noi a quella partita vogliamo partecipare. Comunque. Sarebbe però assurdo, pateticamente assurdo il bluff: in mano non abbiamo finora che ben pochi atout. Ma non è, d'altro canto, che altri possibili «compagni di gioco» siano in possesso di chissà quali chances...
A carte scoperte, allora: compagni rifondatori e camerati nazionalpopolari, cattolici solidaristi e socialisti libertari, nazionalcomunitari e filo-islamici, anarco-sindacalisti e metapolitici rivoluzionari (...) vogliamo provare a non dargliela vinta?

 

Alberto Ostidich

 

 

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