da "AURORA" n° 16 (Aprile 1994)

*   *   *

 

Un voto pericoloso

Renato Pallavidini

 

A distanza di parecchi giorni dal voto politico, è possibile fare un'analisi più precisa, che necessariamente deve tenere conto della convulsa dinamica politica di questi ultimi due anni.
Primo elemento da far rilevare è l'arretramento storico verso un quadro di governo crispino e ottocentesco. Ribadisco un concetto già espresso in una valutazione a caldo dei risultati elettorali. 
La Destra con la quale dovremo fare i conti non è la DC, né il PNF nel suo aspetto di regime conservatore. Questa destra è una emanazione diretta del mondo imprenditoriale nei suoi aspetti più retrivi e antipopolari: da un lato i grandi gruppi più intrallazzati con il vecchio sistema politico DC-PSI, dall'altro lato il mondo della piccola e media impresa, abituata ad un rapporto autoritario in fabbrica, sempre privo di controlli sindacali. Ancora una volta, questo ceto medio imprenditoriale ha effettuata la scelta più reazionaria possibile; ha assolto al compito di truppa d'assalto della Fininvest, della P2 e dei riciclati di Tangentopoli. 
Ora si può proprio dire che il «nuovo che avanza» è la mascheratura del vecchio; una carnevalata spaventosa, senza più quelle risorse da sperperare e quei radicamenti organici nel sociale, che consentivano in precedenza di garantire in modo assistenzialistico i redditi popolari. Si tratta insomma di una destra imprenditoriale pura, iperliberista e reaganiana, sorretta da un puro e semplice voto di opinione e dall'uso spregiudicato delle comunicazioni di massa. 
Una destra che, se andasse sino in fondo nei suoi programmi, farebbe tabula rasa di qualsiasi garanzia sociale e sindacale, dalle pensioni, alla sanità, alla tutela dei posti di lavoro, sino al pubblico impiego. In parole povere è un ritorno dialettico allo scenario sociale di fine Ottocento. 
Lo Stato sociale -già peraltro intaccato in aspetti sostanziali dagli ultimi due governi-, costruito dal Fascismo, riconfermato dalla DC, ampliato e tutelato dal movimento operaio comunista, con le grandi lotte degli anni '60 e '70, sarebbe fatto a pezzi, letteralmente sbranato, come del resto fece Reagan in America.
Secondo elemento di valutazione è il fallimento, almeno momentaneo, del progetto espresso negli ultimi due anni, dal mondo economico, culturale e politico laico-liberale, a favore dell'ennesimo pasticcio trasformistico all'italiana. 
Ho personalmente scritto molte volte su "Aurora", come su altri giornali, che l'obiettivo che si ponevano i settori imprenditoriali più dinamici, e i loro referenti politici erano il capitalismo efficiente e liberista, sul piano economico, e il sistema anglosassone fondato sull'alternanza fra schieramenti omogenei al governo del Paese, sul piano strettamente politico-istituzionale. 
Un vecchio sogno del mondo liberale italiano da Gobetti, a Pannella, a Bobbio, ecc. 
Non è casuale, infatti, che, in questa fase politica, Scalfari e il suo giornale siano stati particolarmente attivi nell'attacco ai vecchi partiti di regime e nell'appoggio al mondo imprenditoriale e finanziario. Scalfari fa proprio parte di questo polo liberale -che ha sempre dovuto subire le leggi del trasformismo e del consociativismo- che ha sempre sognato l'omologazione dell'Italia al modello occidentale, articolato attorno al binomio capitalismo liberista efficiente e alternanza politica. 
Anche quando questi signori giocavano a fare gli uomini di sinistra, era sempre all'Inghilterra che guardavano. 
Nessuno, all'interno del PCI, e dei vecchi gruppi extraparlamentari, se ne rendeva conto, ma nei fatti i vari Scalfari e Pannella puntavano a corrodere il tessuto culturale della sinistra, per assecondare sulle lunghe distanze questo disegno politico economico, del tutto compatibile con gli interessi del capitalismo italiano e internazionale.
Una simile trasformazione sembrava ormai possibile e probabile, non solo perché era passata la legge elettorale maggioritaria, ma anche perché ci si trovava di fronte ad una sinistra in grande parte omologata al sistema e ai suoi valori, che riscuoteva di simpatie e appoggi fra il padronato e nel mondo finanziario. Il passaggio ad un regime politico anglosassone avrebbe avuto almeno due grandi conseguenze positive:
1) appiattiva del tutto sul sistema capitalistico il PDS e il Sindacato, e quindi garantiva un passaggio morbido e senza eccessive tensioni sociali al liberismo.
2) risolveva il vero problema di fondo della storia politica italiana: il ricambio periodico del personale di governo, senza crisi traumatiche e pericolose per la stabilità degli equilibri sociali.
L'irruzione improvvisa sulla scena di Berlusconi, della P2 e dei gruppi più retrivi del nostro capitalismo ha bloccato questo progetto, creando dissapori e tensioni all'interno del mondo imprenditoriale, e la violenta reazione della stampa laico-liberale. 
Ne sono una testimonianza i comportamenti di "Stampa e "Repubblica", nonché la nota vicenda di Montanelli.
Ha vinto nuovamente il trasformismo all'italiana, e sarà interessante vedere come si ricompatterà il fronte conservatore, e quali equilibri si formeranno al suo interno. 
Un obiettivo è stato però indiscutibilmente raggiunto: il passaggio ad una classe politica tecnocratica, che è la espressione diretta del mondo imprenditoriale, priva di legami di massa, sradicata dal tessuto popolare della società civile. Una simile classe politica fa veramente paura, perché è in grado di assecondare senza più mediazioni il complesso degli interessi capitalistici, nazionali e non, grandi, piccoli e medi.
Terzo elemento da valutare sono le ragioni di questo repentino successo berlusconiano. Se ne possono addurre molte: le giovani generazioni rincoglionite dalla TV e dalle mitologie americane, l'uso spregiudicato dei media, la capacità di proporsi come novità assoluta a fronte di una sinistra che ripresentava la vecchia faccia di Occhetto, ecc.
Ma un dato va posto in luce, che viene da lontano, sin dagli anni '70: la tendenza della sinistra a scivolare sui modelli dell'avversario, dai valori alle politiche economiche, passando per i progetti istituzionali. 
Questo orientamento perverso si traduce in un rafforzamento del consenso sociale ed elettorale delle forze conservatrici e borghesi. Soprattutto sul terreno culturale -che significa i modi di pensare e i comportamenti delle persone-, se si cominciano ad esaltare i «nuovi bisogni», «gli spazi di libertà individuali» all'interno della militanza politica, lo spinello libero, le diversità sessuali, insomma l'insieme dei principi individualistici ed edonistici della civiltà borghese e se ne agevola la penetrazione fra le masse operaie e popolari. Si predispongono le psicologie individuali ad aderire politicamente a chi promette successo, divertimento, evasione individuale, ecc. 
L'esatto inverso di quanto predicava Gramsci, per il quale i «moderni princìpi» -il partito- doveva esprimere e radicare nella società civile un sistema di valori alternativo a quello dominante, aprendo un vero e proprio fronte di lotta ideologica e di controcultura già prima della rivoluzione politica. 
Sino ad un certo punto della storia italiana, la sinistra comunista si è organicamente impegnata su questo terreno culturale, difendendo valori di solidarietà, di rigore morale, di impegno politico sociale, di dedizione all'interesse collettivo, appoggiandosi surrettiziamente alla tradizione cattolica e rurale del Paese.
Venuto meno questo fronte di lotta ideologico-culturale, in un momento, per altro che vedeva già i primi processi di modernizzazione e americanizzazione della società italiana -consumismo, crisi della famiglia, ecc.-, si è agevolato l'assorbimento del modello culturale borghese da parte delle generazioni degli anni '80, e la sua penetrazione nel tessuto sociale operaio e popolare delle zone economicamente più avanzate del Paese. Non è casuale che il crollo si sia verificato al Nord.
Diverso il discorso nell'Italia Centrale, non per il dato culturale, che rimane in linea con il resto del Paese, ma per quello politico ed economico. 
In Emilia, il PDS ha un tale radicamento che può anche riuscire a soddisfare la domanda di libertà individualistica e di benessere delle masse. 
Nella Lombardia bossiana, l'operazione non riesce; le aspirazioni borghesi e americane sono meglio espresse e garantite da Berlusconi.
Sul piano delle politiche economiche la contraddizione è ancora più vistosa. 
L'ha focalizzata molto bene Bossi a "Milano-Italia": la sinistra è ormai liberista, ma l'elettorato, soprattutto il ceto medio, oramai è convinto che il liberismo sia la panacea per tutti i mali, si orienta su quelle forze che lo esprimono più coerentemente, che danno più garanzie di realizzarlo senza pasticci. 
Insomma chi di spada ferisce di spada perisce!
Negli ultimi anni siamo poi andati verso un'abissale decadenza. Cassato il vecchio PCI, che ogni tanto si ricordava di Gramsci e qualche volta persino di Lenin, i vari Veltroni, D'Alema, ecc. hanno cominciato ad assumere come punti di riferimento Kennedy, Roosevelt, il modello americano nella sua variante "liberal". 
Tutti ammaliati dal progetto scalfariano di "partito americano"! Si superava in un sol colpo il comunismo e la socialdemocrazia, nel tentativo di farsi accettare completamente dalle classi dominanti capitalistiche, e di meglio interpretare i bisogni borghesi della società civile. Ma se l'obiettivo è Beverly Hills, Miamy Beach, ecc. diviene spontaneo credere ad una personalità vincente come Berlusconi? Noi l'abbiamo scritto, in occasione dei risultati referendari sul maggioritario, che aveva firmato altri 50 anni di opposizione. Forse è successo di peggio, rispetto a quanto avevamo previsto.
C'è in tutto questo scenario cupo, un dato positivo: oltre un certo limite sinistra riformista e sindacato non possono andare nel cedimento alle classi capitalistiche. 
Se la triade malefica Bossi, Berlusconi, Fini andasse sino in fondo nel suo programma ultraliberista, il conflitto sociale sarà duro. 
Sindacati confederali e PDS dovranno schierarsi e assicurarne la direzione strategica. Miglio lo ha già messo in conto, e dati i noti collegamenti di questo "signore" ed i "servizi" c'è da attendersi una risposta militare feroce. 
Noi dobbiamo fare blocco a sinistra, come gruppo organizzato, là dove esso sussiste, oppure individualmente. Scendere sulle piazze accanto a tutti gli altri che saranno presenti, perché la nostra idea del socialismo e i nostri interessi economici lo impongono.
Un'ultima questione. 
La CISNAL, che si è beata tanto in una linea sindacale quasi di estrema sinistra, cosa farà di fronte ad un simile governo? 
Se accetterà di appoggiarlo, quelli di noi che hanno ancora la tessera farebbero bene a strapparla, perché ci sarebbe come minimo da vergognarsi a militare in un sindacato che, dopo aver tanto gridato, fa il gioco di Miglio e Berlusconi.

 

Renato Pallavidini

 

 

articolo precedente

indice n° 16

articolo successivo