da "AURORA" n° 25 (Aprile 1995)

COSTUME

 

Altro giro...

Giovanni Albanese

 


 

«Chi ha un perché nella vita sa affrontare tutti i come»

F. Nietzsche

 


 

Eccoci qua. Altro giro, altra corsa. La Prima Repubblica viene demolita e subito ne viene costruita un'altra. Il tempo materiale forse non c'è stato, però i risultati estetici sono senza alcun dubbio convincenti. La politica sembra ora diventata tutt'altra cosa; da oggi, dovranno regnare la limpidezza più assoluta e il rigore morale. Le giacche ed i nuovi politici fanno bella mostra, tutto sembra una sfilata, una telenovela i cui interpreti recitano una parte sempre più virtuale che si avvicina talmente alla realtà da confondersi con essa. La televisione diventa il palcoscenico perfetto dal quale pronunciare discorsi bellissimi, fare promesse grandiose e addirittura garantire miracoli. Tutto, appunto, simile alle telenovelas, tutto come in un falso televisivo; noi stessi attenti protagonisti, noi produttori, noi che abbiamo legittimato il tutto affidando le nostre speranze a chi già le ha deluse una volta e adesso si ripropone come salvatore, come nuovo Messia del libero mercato. Come dire, il nuovo non ha proprio confini. Ed è questa una malattia infettiva, un piccolo virus che sembra abbia colpito anche chi sembrava esserne altamente immune. Anche il famoso Marco, che tutti noi abbiamo visto affrontare le più dure battaglie (condivisibili o meno che fossero) con la sigaretta accesa e la camicia sudata, con la sua aria anticonformista e soprattutto con le sue idee non controllabili, adesso anche lui è cambiato. Elegantemente omologato. Giacca, cravatta, sigari e così sia.
Certo c'è da dire che ci sono anche altri esempi. Immagino chi è stato costretto a prendersi una lunga vacanza in Tunisia; certo dopo tanto lavoro è anche giusto. Tuttavia il suo lavoro non è andato perduto, c'è chi lavora per lui. È proprio vero, in Italia si cambia tutto per non cambiare nulla; la nostra Italia dai tanti volti e dalle mille contraddizioni. Le ultime novità che ci vengono offerte sono il libero mercato e le privatizzazioni sfrenate. Sono già tanti gli interessati che caldeggiano queste opinioni.
Le privatizzazioni, non considerabili come rimedio, né come ottimo investimento e il libero mercato, un mercato privo di vincoli ove regni la libertà totale. Ma cos'è veramente questa libertà? Non sempre libertà è sinonimo di giustizia, non sempre questa parola può essere intesa positivamente. È qui opportuno ricordare la celeberrima frase: «la mia libertà finisce laddove inizia quella di un altro». Proprio in questo contesto le frase esce dal comune per divenire un fondamentale teorema ed è questo messaggio che potrebbe farci tornare alla mente l'idea delle libertà che noi conosciamo. Il primo che non può seguire questa regola è lo stesso mercato, anzi, la diseguaglianza, il contrasto di interessi, lo sfruttamento, ecc. sono tutti elementi fisiologici di quest'ultimo.
Innanzitutto, alla base del libero mercato vi è il potere e questo viene esercitato dal più forte ai danni del più debole senza alcuna reticenza. Questa è la regola, chi detiene più capitali può acquistare di più, speculare di più. Il mercato nasce e si sviluppa con la forza della diseguaglianza; ciò non è nulla di nuovo: già il concetto è stato affermato da illustri studiosi del passato i quali hanno definito questa diseguaglianza come necessaria e ineluttabile.
Da ciò deriva che, in un libero mercato, l'operaio, il pensionato, il disoccupato, la casalinga, ecc., non potrebbero parteciparvi e qualora avessero una piccola possibilità sarebbero ben presto divorati dal più forte. Già questo è accaduto con alcune privatizzazioni. Migliaia di persone, e non certo ricche, hanno sottoscritto il famoso «pacchetto» di «investimento» ed ora si ritrovano ad aver addirittura perso parte dei loro risparmi. E tutti questi miliardi dove sono finiti? Non sono certo stati devoluti in opere di bene; certamente serviranno a qualche povero ricco per sanare debiti o arrotondare i guadagni.
Qual'è il compito che invece spetta a tutte quelle persone che non possono evidentemente competere in un simile mercato? Il compito, svolto tanto egregiamente quanto inconsapevolmente, è quello di avere un ruolo del tutto passivo. Cioè, di consumare, spinti da potenti mass media, tutto ciò che il mercato offre loro. Ecco perché il libero mercato vuole la diseguaglianza, ecco la logica secondo cui è solo chi ha grossi capitali a godere dei benefici del mercato.
Credo di poter capire i motivi che spingono verso la libertà di mercato, verso le teorie dello «Stato minimo» e dello «Stato gendarme», lo Stato che lascia fare, che non s'intromette nelle faccende economiche, che abbia, cioè, funzioni di semplice guardiano. Motivi questi che capisco, ma che non condivido; davvero questa è l'unica strada da percorrere? Di certo questa è una strada che già altri hanno percorso. La «grande» America l'ha fatto; questa moderna civiltà, anzi, ce lo sta dimostrando e sta diffondendo nel mondo gli ideali del consumismo. Tutto è lecito purché si consumi.
Guardiamo bene, però quali sono stati i trasguardi raggiunti. Stati Uniti, ad esempio, non vuole dire solo benessere; ben altro si nasconde dietro l'apparente opulenza, un'altro volto si cela dietro quello tranquillizzante del capitalismo. Il volto di milioni di poveri ghettizati, senza voce e senza speranza, il volto del degrado sociale, il volto dell'intolleranza, della violenza e del sopruso; tutti fenomeni che sono interdipendenti e che hanno certamente origine unica: la miseria e quindi l'ignoranza (anche lo studio è un privilegio). Ecco gli effetti del libero mercato e dello «Stato minimo» che inevitabilmente si ripercuotono nel sociale. È lo stereotipo della persona modello (o sei così o non ci sei), del consumo, dell'avere, che spinge alla folle corsa verso il potere. Ed è soprattutto nel disagio economico che vanno ricercate le cause della delinquenza, della violenza, dell'abuso, ecc. Ecco poi l'unico ruolo dello «Stato gendarme», relegato alla funzione di deterrente, sempre più interprete di un autoritarismo e di una ricerca arginante, che arriva alla pena di morte come unico ed estremo tentativo riparatore.
Forse da noi, in Italia, non è molto diffuso il sogno americano, forse siamo ancora lontani dall'esempio fatto, però una cosa è certa, stiamo addentrandoci in un campo minato; occorre reagire adeguatamente e, soprattutto, dovremmo imparare dagli errori degli altri. Teniamo gli occhi aperti: in Italia non ci sono solo Ambra ed Emilio Fede, teniamo meno in conto il superficiale e diffidiamo di coloro che, gravati di debiti, promettono il falso e si servono del consenso popolare al fine di gestire il potere per scopi personali.
Mi domando, inoltre, come sia possibile che forze, a quanto dire moderate o addirittura di ispirazione cristiana, possano fare fronte unico in una battaglia per la conquista del tanto agognato mercato; si sono forse convertiti al Dio-denaro?
A tutto questo bisogna pensare adesso, poiché a nulla servirà in futuro addossarsi a vicenda la colpa; siamo tutti responsabili, quindi tutti colpevoli!

Giovanni Albanese

 

 

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