da "AURORA" n° 28 (Agosto - Settembre 1995)

RECENSIONI

 

Henri Corbin

Vangelo di Barnaba e profetologia islamica

Ed. all'insegna del Veltro, Parma '85   pp. 64    £. 15.000

 

Un esponente del «popolo eletto» noto per aver partorito, tra le altre cose, una minuziosissima indagine su "L'antisemitismo in Italia" completa di grafici e statistiche, si è pure occupato lungamente, nel quadro della sua attività di storico delle religioni, dei cosiddetti «vangeli apocrifi»: un genere di scritti che l'aggettivo «apocrifo» (da apokrypto, nascosto) designa come «segreti», «riservati», trattandosi di testi adottati da comunità iniziatiche cristiane.
Tra gli «apocrifi» studiati e pubblicati dall'eminente studioso (celebre anche per aver divulgato un articolo apocrifo di Eliade, ma apocrifo nel senso di falso) non figura però il "Vangelo" di Barnaba, sicché fino a pochi anni fa (allorché finalmente uscì la prima ed unica edizione italiana del testo) le sole edizioni accessibili erano quella inglese del 1907 (due soli esemplari superstiti nelle biblioteche) e quella iraniana uscita a Qom dopo la Rivoluzione.
Il "Vangelo" di Barnaba sembra dunque una sorta di «vangelo proibito». Perché?
Come dice Henri Corbin in questo saggio, esso è «in qualche modo, il Vangelo dell'Islam», poiché è nell'Islam che troviamo definitivamente espresse alcune nozioni che sono essenziali in quell'esoterismo cristiano delle origini di cui il Vangelo di Barnaba è documento fondamentale. Inoltre questo Vangelo presenta la figura di Gesù e la sua vicenda terrena in termini analoghi a quelli che caratterizzano la cristologia islamica: il "Vangelo" di Barnaba, infatti, nega recisamente la divinità di Gesù e non accetta la versione della sua morte sulla croce. Infine, il "Vangelo" di Barnaba contiene ripetute e circostanziate enunciazioni di Gesù concernenti il futuro avvento di Muhammad, ultima e definitiva manifestazione del Verus Propheta.

 


 

Proclo

Elementi di teologia

Ed. all'insegna del Veltro, Parma, '83   pp. 180    £. 20.000

 

Gli "Elementi di teologia" di Proclo Diadoco, «piccolo e prezioso compendio del neo-platonismo» (M. Losacco) geometricamente articolato sulla base della dottrina esposta da Plotino e da Giamblico, sono, più propriamente, degli «elementi di metafisica»: un'opera di metafisica in cui vengono svolti i temi principali dell'Uno e del molteplice, dell'intelletto, dell'anima.
Quando al primo punto, Proclo mostra come ogni molteplicità partecipi necessariamente dell'Uno e tuttavia non sia l'Uno; fa notare la priorità del primo Bene rispetto ad ogni ente che partecipa del Bene; dimostra che tutti gli enti hanno origine in una Causa Prima, la quale non è altro che il Bene e l'Uno. Circa il secondo punto, Proclo distingue un «primo intelletto», perfetto e produttore di tutti gli altri, dagli intelletti partecipati, che da quello ricevono l'ipotesi. Per quanto infine concerne l'anima essa costituisce il termine mediano tra le essenze indivisibili (essere, vita, intelligenza) e quelle divisibili (i corpi): è incorporea, incorruttibile e immortale, ma il suo atto è temporale, perché l'anima è il primo degli enti generati.
Dopo la chiusura della Scuola d'Atene e la fine del neo-platonismo nell'Occidente cristiano, la fortuna di Proclo continuò su altri lidi. Fu probabilmente Gherardo da Cremona a eseguire la traduzione latina degli "Elementi di teologia" sulla base di un testo arabo compilato da Al Farabi (secondo altri da Al Gazali o da Avicenna) come un commentario del trattato di Proclo. Ravvisando nell'esposizione metafisica di Proclo una particolare formulazione di quella «dottrina dell'Unità» che secondo l'Islam è unica (at-tawhîdu wâhidun), i maestri musulmani avevano custodito come un deposito di sapientia perennis gli insegnamenti del diadoco di Platone, per restituirli successivamente all'Europa, dove avrebbero alimentato le correnti platoniche del Medioevo.

 

 

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