da "AURORA" n° 31 (Gennaio 1996)

LE IDEE

Gramsci e Mussolini: un appuntamento mancato.
Riflessioni ed analisi

Bruno Rassu

Non esistono dubbi che gran parte del pensiero gramsciano, specie quello riprodotto nei famosi "Quaderni dal carcere", fosse completamente incompatibile con l'ortodossia stalinista. Togliatti nel primo dopoguerra fece pubblicare solo 218 di quelle «lettere», operando tagli e censure sulle 428, che integralmente furono poi stampate dal- l'Editore Capriolio-Fubini nel '65. Come notò in quel periodo lo storico E. J. Hobsbawn, «... Gramsci in effetti, per una benevole ironia della storia si è salvato da Stalin perché Mussolini l'ha messo dietro alle sbarre ...». Anche Togliatti, dal canto suo, riuscì a sopravvivere nei suoi anni di esilio a Mosca, sviluppando una servile consapevolezza di ciò che si poteva e di ciò che non si poteva fare. E quanti furono i pensatori comunisti europei, in quel periodo, «giustiziati» da Stalin?
In "Vita di Antonio Gramsci" di Giuseppe Fiori, (Laterza, 1966), si ricostruiscono, dopo il I Congresso del PCdI (Livorno, '21), i reali rapporti con Togliatti, e la rottura con i comunisti (o stalinisti) italiani già nel periodo del confino a Turi (Bari, '25); periodo durante il quale furono evitati atti di violenza contro Gramsci. È proprio attraverso questo libro, che definirò «trasgressivo» che vengono definitivamente alla luce i contrasti fra Gramsci e l'Internazionale, fra Gramsci e Togliatti.
Nei primi anni di studio a Torino, Gramsci prende contatto con il Partito Socialista ('11-'16) ed inizia, per primo, la collaborazione al foglio locale "Il grido del popolo". Collaborerà dal 1912 con il quotidiano "Avanti" di Benito Mussolini, il direttore dell'organo socialista che porterà quel giornale dalle poche copie vendute alle oltre centomila.
Antonio Gramsci nasce ad Ales (Cagliari) nel 1891, muore il 27 aprile '37 nella clinica privata "Quisisana" a Roma.
L'intellettuale Gramsci è di fisico gracile e malaticcio, la sua gibbosità appartiene ai primi anni della sua esistenza. E' documentato, nel già citato libro di Fiori, che la sorella Teresina indica in una caduta, fra i tre o quattro anni, dalle mani della domestica il motivo «di quello strano gonfiore». In proposito esiste anche uno scritto di Gramsci che dice «... da bambino, a quattro anni, ho avuto delle emorragie per tre giorni di seguito che mi avevano completamente dissanguato, e convulsioni. I medici mi avevano dato morto e mia madre ha conservato fino al 1914 circa una piccola bara ed il vestitino speciale che dovevano servire per seppellirmi ...».
Di altra salute ed energia godeva il socialista Benito Mussolini che proprio in quel periodo intravedeva nella partecipazione alla conflagrazione mondiale ('14-'18) la via rivoluzionaria del nascente fascismo di «sinistra» nella linea del grande pensiero di Sorel che univa i valori nazionali alle conquiste sociali. Anni dopo un documento dei comunisti italiani in esilio chiaramente riconosce la validità di quella linea politica; a tal proposito è pubblicato su "Stato Operaio" n° 8 (agosto '36): "Per la salvezza dell'Italia e la riconciliazione del popolo italiano" «... Lavoratore fascista ti diamo la mano. Noi comunisti facciamo nostro il programma fascista del 1919, che è un programma di pace e di libertà, di difesa dei lavoratori ...». Il documento è firmato da Togliatti, Di Vittorio, Longo, Negarville, Sereni, Teresa Noce, Donini ed altri. 
Può apparire incredibile ma il fatto, storicamente vero, viene riportato nel libro "Rosso e Nero" di "Beppe" Niccolai ('82).
Nel libro "Gramsci" di James Jolly, Saggi Oscar Mondadori '92, viene menzionato, il lungo periodo di cure mediche di cui Gramsci fu sottoposto, prima nella clinica privata a Formia e, successivamente, in una clinica romana. Ritornando al '19 (1 maggio), a Torino esce il primo numero di "Ordine Nuovo". Il solo documento di giornalismo rivoluzionario marxista. Lo firmava, come segretario di redazione, Antonio Gramsci .
In quel periodo, la ricerca gramsciana per una nuova società, prevede, secondo i dettami del comunismo leninismo la centralità dei «consigli» di fabbrica, di fattoria. Ai «consigli» sovieto-bolsevichi si opporranno, soprattutto nel periodo della RSI, i «consigli di gestione delle imprese socializzate» che collaborano con l'imprenditore.
Mussolini indica nel primo programma fascista la partecipazione degli operai alla conduzione dell'azienda come traguardo alla realizzazione dello "Stato Nazionale del Lavoro". In quel periodo (1919) Benedetto Croce scriveva su Mussolini «... un uomo di schietto temperamento rivoluzionario quali non erano i socialisti italiani ...». Anche Enrico Corradini scriverà di quel periodo che «... Mussolini aveva espresso fin dal '19 concetti analoghi a quelli di Gramsci in varie occasioni, molti obiettivi quali quelli dei "consigli" ...».
L'ascesa al potere di Benito Mussolini vide innegabilmente un periodo di lotte e di violenze, in un contesto pieno di incognite con le reazioni fasciste ad un «socialismo» anti-nazionale, rinunciatario agli interessi dell'Italia del dopoguerra con la vittoria in Russia di un bolscevismo spietato e sanguinario in uno dei più difficili momenti che la storia dell'Europa avesse mai conosciuto. Di questa realtà di lotta aspra sia Gramsci che Mussolini erano certo acutamente consapevoli e in parte ne erano vittime ed artefici, restandone condizionati anche nella formazione della linea politica. Il delitto Matteotti (interessante e documentata è la testimonianza di Carlo Silvestri nel libro, "Matteotti-Mussolini e il dramma italiano, il delitto che ha mutato il corso della nostra storia", Ruffolo Editore, ottobre '47), i quattro attentati a Mussolini da parte di Tito Zaniboni, Violet Gibson, Gino Lucetti e Anteo Zamboni, furono determinanti nel creare quelle divisioni che impedirono quell'appuntamento che la storia riproporrà più tardi. Nessuno può pensare a facili affinità tra fascismo e comunismo, però le idee di Gramsci non sono in contrasto con il «socialismo mussoliniano».
Nella fase finale della RSI vi sono chiari riferimenti comuni: gestione delle grandi industrie del Nord, con la legge sulla socializzazione dei «consigli» di fabbrica; recupero a proprietà della casa dopo vent'anni di affittanza; passaggio ad una democrazia vera e diretta con elezioni libere, attraverso le categorie del mondo del lavoro e le associazioni culturali, del capo dello Stato, come testimoniano i pensieri e i documenti del Ministro della RSI prof. Bigini, definito politicamente un socialista mussoliniano. L'altro «comunista», per personale storia ed esperimento politico vicino a Gramsci e che morirà con Mussolini, si chiama Nicolino Bombacci anche lui «giustiziato» dagli stalinisti italiani, gridando nell'ultimo respiro di vita, «viva il socialismo».
Ritornando a Gramsci, dobbiamo sottolineare che nel periodo più particolare della storia d'Italia, subì processi e prigione da un «tribunale speciale» che noi oggi dobbiamo condannare, ma che non fu il solo artefice della sua condanna. Esiste una «lettera» inviata da Mosca a Gramsci dai suoi compagni di partito in esilio che chiaramente ebbe conseguenze pesantemente negative per lui. Lo stesso giudice di sorveglianza consegnando lo scritto disse: «Onorevole Gramsci, Lei ha degli amici che certamente desiderano che Lei rimanga un pezzo in prigione». La lettera aveva uno scopo ben preciso; Gramsci doveva essere eliminato dalla scena politica, per far posto a Palmiro Togliatti. 
Rievocando quell'episodio, Gramsci ebbe a definirla «lettera criminale», «un atto scellerato», e che chi la scrisse fosse irresponsabilmente stupido e qualche altro meno stupido lo abbia indotto a scrivere (Lettera alla cognata Tania, 5/12/32 da "Lettere dal carcere", Ed. Einaudi, pag. 710-711). 
Gramsci fu arrestato l'8 novembre '26, e confinato nell'isola di Ustica; il processo fu celebrato nel gennaio '28 e fu emessa una condanna a vent'anni. In realtà fu firmato un decreto di libertà condizionale, (per esso si mossero molti ex-comunisti come Bombacci ...). Dall'ottobre '34 fu curato prima in una clinica privata a Formia e successivamente venne trasferito nella clinica di Roma ove morì il 27 aprile '37.
Beppe Niccolai scrisse che «verso Gramsci noi dovevamo chiedere scusa alla storia». Il fascismo-regime fu, in quel periodo storico, interprete negativo dei pensieri mussoliniani.
Alla fine del mio scritto devo però menzionare e ricordare un altro Gramsci, Mario Gramsci, uno dei fratelli di Antonio.
Mario, mussoliniano convinto, fu Federale a Varese subito dopo la "Marcia su Roma", e successivamente valoroso combattente in Abissinia e in Africa Orientale. Caduto prigioniero nell'ultimo conflitto, venne portato in Australia ove, essendosi rifiutato di collaborare con gli Inglesi venne confinato fra gli irriducibili. Rientrato malatissimo in Italia nel '47, moriva a soli 52 anni senza interessamento alcuno e ignorato dall'antifascismo. Di lui furono fatte sparire lettere, scritti e persino il ricordo (fatti e avvenimenti su Mario Gramsci citati alle pag. 62-77 da G. Niccolai su "Rosso e Nero", '82).
Antonio Gramsci scriveva che «la verità è sempre rivoluzionaria».
Bordiga, Renzo De Felice, Ernest Nolte e Prezzolini, uomini di diversa cultura, dicevano che il peggio del regime fascista è l'antifascismo nato nel '45: ciò è dimostrato anche dalle sofferenze dei fratelli Gramsci e dai tanti italiani morti per un ideale: da Antonio Gramsci a Nicola Bombacci a Benito Mussolini.

Bruno Rassu

 

articolo precedente indice n° 31 articolo successivo