da "AURORA" n° 31 (Gennaio 1996)

RECENSIONI

 

Adolfo Pepe

Storia della CGdL,
dalla guerra di Libia all’intervento

Laterza, Bari 1981               £. 24.000

 

Si tratta di una ricerca sulla Confederazione Generale del Lavoro, condotta sulla base della stampa quotidiana e periodica dell’epoca, dei documenti sindacali, delle deliberazioni congressuali e dei materiali d’archivio che copre, dal particolare angolo visuale dell’organizzazione e della lotta sindacale, uno dei periodi decisivi della storia di questo secolo in generale e del movimento operaio in particolare: quello che va dalla guerra italo-turca all’intervento italiano nel Primo conflitto mondiale.
È proprio all’inizio degli Anni Dieci che, posto innanzi alla radicalizzazione delle tensioni di classe, Giolitti tenta di varare un piano di riforme sociali e politiche volte ad assicurargli il consenso delle masse attraverso l’integrazione nel governo del Paese dell’ala riformista del partito socialista. Ma la guerra di Libia mette definitivamente in crisi il disegno riformista giolittiano e fa esplodere all’interno della CGdL e del PSI le contraddizioni da tempo latenti tra le varie anime; sia riformiste che rivoluzionarie.
«Contraddizioni» che continueranno a percorrere, attraverso varie vicende, la storia delle organizzazioni operaie in questo secolo. Sullo sfondo della guerra coloniale e del sopravvento della vocazione conservatrice della borghesia nazionale, il saggio, analizza, attraverso l’evolversi della lotta interna al Sindacato e ai difficili ed alterni rapporti tra questi e il Partito della classe operaia, la crisi del movimento sindacale: dalla scissione dell’USI (guidata da Alceste De Ambris e Filippo Corridoni) alla «settimana rossa» di Ancona, dal disorientamento di fronte alla guerra che si avvicina alla dirompente azione dell’interventismo di sinistra guidato da Benito Mussolini.
La guerra mondiale, alle soglie della quale si ferma il volume, segna la sconfitta definitiva dei gruppi dirigenti riformisti socialisti e confederali ed il fallimento del loro tentativo di egemonizzare le masse lavoratrici de Paese. L’azione politica del Direttore de "l’Avanti", vero punto di riferimento della base rivoluzionaria del PSI, anche nei lunghi periodi di isolamento all’interno della direzione del Partito e di violentissima polemica con i «ministeriali», mantiene intatta la sua linearità rivoluzionaria.
Mussolini, infatti, fin dal fallimento -determinato dall’ignavia della dirigenza Confederale e dall’atteggiamento compromissorio di gran parte del Partito socialista- della «settimana rossa», ha imboccato la strada che lo porterà a rompere definitivamente col chiacchericcio e l’attendismo dei «socialisti della domenica».

 


 

Plutarco di Cheronea

Sulla E di Delfi

Ed. all'insegna del Veltro, Parma, '81   pp. XXII + 58    £. 12.000

 

Questo «dialogo delfico», pubblicato nella stessa collezione in cui sono apparsi alcuni testi di Celso, Porfirio, Giuliano, Salustio filosofo, riguarda un simbolo cui veniva attribuita una notevole importanza nel massimo centro oracolare del mondo greco: la lettera "E" rappresentata all'ingresso del santuario apollineo di Delfi. I personaggi del dialogo, tra i quali è il giovane Plutarco, considerano questo ierogramma alla luce dei molteplici significati riconducibili alla lettera epsilon; ma il risalto più grande viene dato all'intervento del maestro di Plutarco, Ammonio, il quale conclude la discussione soffermandosi sul senso ontologico della lettera in questione. Intesa come seconda persona del presente indicativo di eìnai (il nome greco della epsilon; suonava appunto ei), questa lettera equivale infatti a «tu sei», sicché Apollo, al quale tale frase viene indirizzata da chi giunge al suo tempio, si presenta come un'ipostasi dell'Essere. Insomma, mentre la scritta «Conosci te stesso» comportava la domanda «Chi sei?», la "E" suggeriva la risposta adeguata: «Tu solo, o Dio, veramente sei». Inoltre, il nome di Apollo viene interpretato da Plutarco, in base a una sorta di nirukta, come un sinonimo di «Uno» o «Unico», ci troviamo perciò davanti ad una formulazione della dottrina dell'Unità divina che smentisce chi vorrebbe ridurre a mero politeismo la forma tradizionale dell'antichità ellenica. Sarà infine interessante ricordare che Coomaraswamy spiegava la "E" di Delfi come l'elemento di un rituale iniziatico: all'esortazione apollinea a «conoscere se stessi non si poteva concepire risposta più «divina», da parte di chi fosse debitamente qualificato, se non appunto «(Io sono ciò che ) tu sei» 

 


 

Antonino de Stefano

La cultura alla corte di Federico II Imperatore

Ed. all'insegna del Veltro, Parma     pp. 328     £. 30.000

 

Dopo "L'idea imperiale di Federico II" e "Federico II e le correnti spirituali del suo tempo", le Edizioni all'insegna del Veltro hanno riproposto anche questo terzo saggio del grande medievista siciliano, che segnaliamo volentieri in questo ottavo centenario della nascita del grande Svevo.
Il libro si apre esaminando la formazione culturale di Federico, l'aspetto etico e politico della sua cultura, il carattere scientifico della sua mentalità. Ci si rivela così, attraverso i capitoli successivi, una mente dedita a molteplici discipline scientifiche, alla filosofia, al diritto, alla psicologia, alla poesia. Tutti settori in cui Federico mostrò la medesima ansia di sapere, il medesimo spirito critico che lo induceva a inviare quesiti ai dotti del tempo, ad ospitare alla sua corte poeti e letterati.
Nelle pagine del libro rivive la Palermo del XIII secolo, nella quale operarono dotti ed artisti di diversa estrazione. «La Sicilia diventa zona di contatto e di mediazione attraverso la quale la cultura greco-araba penetra e feconda il pensiero latino». L'isola diventa il centro da cui l'Imperatore invia ai sapienti del mondo musulmano le "Quaestiones Sicilianae" sull'origine del mondo, sull'anima, su Dio; quaestiones che ancora attendono di essere pubblicate insieme con l'articolata risposta fornita da Ibn Sab'in.
In un'Italia che vede le librerie sommerse di tonnellate di libri inutili e magari stanzia i fondi del CNR per finanziare la traduzione dei proverbi e modi di dire dell'Araucania, nessuno si è preoccupato, dopo i tentativi pionieristici di Michele Amari, di pubblicare integralmente la corrispondenza filosofica intercorsa tra Federico II e il maestro maghrebino.
Anche questo è un fatto significativo.

 


 

Ferdinando Cordova

Le origini dei Sindacati fascisti

Laterza, Bari 1984      pp. 481      £. 25.000

 

Il lavoro Del Cordova, docente di Storia dei partiti e movimenti politici all'Università di Salerno, pur essendo marcatamente di parte, si discosta dagli innumerevoli pamphlets antifascisti per il rigore filologico e l'ampia documentazione utilizzata -e citata- nell'esposizione storica che, in alcune pagine, echeggia al rigorismo scientifico defeliciano.
Ciò appare evidente allorquando, al di là della volontà «ideologica» dell'Autore, i sindacalisti «fascisti» e lo stesso Mussolini sovrastano, per capacità politica, acume tattico ed onestà intellettuale il personale politico, di destra e sinistra, della morente «italietta» giolittiana e si dimostrano gli unici in grado di coagulare attorno ad un preciso ed ardito «progetto di società» le èlites rivoluzionarie, forgiatesi nelle lotte di fabbrica e di piazza e nelle trincee del Grande Conflitto.
Da queste pagine emerge, con solare chiarezza, la «sostanza profonda» del Fascismo, non «incidente della Storia», ma «risposta della Storia» alla crisi del liberalismo ottocentesco ed alla vacuità di un Socialismo insterilito dalle contraddizioni al suo interno tra riformismo filo-borghese e massimalismo parolaio; entrambi incapaci di rispondere alle esigenze di partecipazione espresse dalle grandi masse, dalle classi sociali fino a quel momento marginali e marginalizzate.
Questo, non altro, troviamo alle origini del nazional-sindacalismo, vero e proprio fulcro ideologico-programmatico del nascente fascismo, ricco di uomini di grande spessore culturale, politico ed umano.

 

 

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