da "AURORA" n° 36 (Settembre 1996)

RECENSIONI

 

Arrigo Petacco

Il comunista in camicia nera
Nicola Bombacci tra Lenin e Mussolini

Arnoldo Mondadori, Milano 1996       pag. 231        £. 29.000

 

Sorprende che uno storico dichiaratamente antifascista abbia osato infrangere la cortina di silenzio nella quale, per oltre 50 anni, è stata avvolta la straordinaria avventura umana e politica di uomini come Nicolino Bombacci e Carlo Silvestri. Un libro che pesterà i calli a molta gente, non esclusi i sedicenti neo-fascisti i quali hanno avvalorato, per mezzo secolo, la tesi resistenzialista del fascismo-reazione.
Il lavoro di Petacco, al pari di quelli di Pietro Neglie ("Fratelli in camicia nera") e di Luca Canali ("Pietà per le spie"), va ben oltre il pur meritorio «revisionismo» defeliciano ricollocando nella loro vera dimensione politica ed umana i protagonisti della storia del Novecento:
1) conferma la sostanziale ispirazione socialista del movimento mussoliniano delle origini a dispetto della storiografia ufficiale;
2) evidenzia l'incapacità di analisi di «santoni» quali Gramsci, Togliatti, Bordiga e Terracini incapaci di comprendere e valutare nelle sue straordinarie potenzialità l'emergente fascismo. Rivaluta, al contrario, la lucidità del «super traditore» Bombacci, sostanzialmente in linea con Lenin, nel condannare «la malattia infantile del comunismo», ovvero il settarismo e l'estremismo che impedirono il dialogo possibile col «compagno» Mussolini. Una verità, questa, fastidiosa per il Partito comunista che Paolo Spriano, nella sua monumentale opera apologetica, è stato incaricato di conculcare;
3) evidenzia la profetica intuizione di Nicolino Bombacci (intuizione fatta propria dal COMINTER almeno fino al 1924) sulla necessità di collaborare col Fascismo al fine di riportarlo a sinistra. Profezia che costerà cara al Lenin di Romagna e che, ironia della sorte, verrà ripresa, nel '37, tardivamente dallo spesso Partito Comunista d'Italia col famoso "Appello ai Fratelli in camicia nera";
4) riabilita, dopo cinquant'anni di menzogne e calunnie, la figura di Bombacci e l'opera da lui svolta sia da segretario del Partito socialista che da fondatore e dirigente del P.C. d'I.;
5) evidenzia la reale volontà di Mussolini di arrivare alla pacificazione ed alla collaborazione con i socialisti e la Confederazione Generale del lavoro, prima, durante e dopo (nella RSI) il Ventennio e pone in risalto il ruolo di quella componente socialista nazionale interna al Partito fascista ed identifica la Repubblica Sociale come parte, seppure eretica e «anomala», dello sviluppo storico del socialismo italiano.
Il libro non aggiunge nulla di nuovo per gli «addetti ai lavori». Ma a differenza di altri saggi, più o meno sconosciuti al grande pubblico, può diventare, anche in considerazione del prestigio dell'Autore e dell'importanza dell'Editore una «lettura di massa». Questo da certo fastidio ai bigotti di tutte le chiese ed ai dogmatici del nulla sia a destra che di sinistra. Farà felici, al contrario, quanti al di là degli stereotipi erano da tempo edotti sull'esistenza, senza soluzione di continuità, di una sinistra nazionale la quale, piaccia o non piaccia, ancora esiste e pretende di ricongiungersi, all'alba del Terzo Millennio, con quanti sentono di appartenere alla tradizione socialista italiana ed europea la quale, a sua volta, deve fare i conti con questa realtà.
I «continuatori ideali» dovrebbero, a questo punto domandarsi, una volta per tutte, se il loro «Duce», quello che hanno artatamente creato a loro immagine e somiglianza, per quale dannato motivo si sia circondato nell'epilogo drammatico della sua vicenda politica ed umana di socialisti come Silvestri e Cione e di comunisti come Bombacci. Nonostante quanto sostenuto dagli eminenti «continuatori» in merito a questo libro, dal quale trasparirebbe un Bombacci «comunista deluso» approdato al fascismo in virtù di una «revisione ideologica» la realtà storica è diametralmente opposta: la «revisione ideologica» fu nel «ritorno alle origini» del fascismo e del suo Capo. Una prova inconfutabile di questa asserzione si desume da tutta l'attività «repubblichina» di Mussolini; dal discorso del Lirico ai tanti interventi giornalistici di quei due anni, dalla Legge sulla Socializzazione delle Imprese ai tanti provvedimenti legislativi del governo di Salò ispirati ad una visione socialista della nuova Italia.
Al di là delle mistificazioni dei sedicenti nazional-popolari che pretendono di conciliare Bombacci ed Evola nel nome dell'anticapitalismo, l'approdo del «Lenin della Romagna» alla RSI era supportato da una folta pattuglia di «fascisti» e non che ispirandosi al Socialismo tentava di rompere definitivamente con la politica destrorsa del Ventennio. È significativo che Evola non aderì alla RSI e spinse la sua critica verso la legislazione sociale della Repubblica del Nord fino a definirla «plebea», salvando di essa solo il cosiddetto aspetto eroico, di lotta, «per l'onore e la fedeltà», esaltando al contempo quei gerarchi che, unitamente agli industriali ed ai tedeschi tentarono fino all'ultimo di impedire il varo della legge sulla Socializzazione delle Imprese.
Nicola Bombacci (e la folta pattuglia socialista che lo affiancava e che includeva tutta l'intellighentia del «fascismo di sinistra» oltre a non pochi «eretici del socialismo»), non era un «comunista deluso» approdato al fascismo. Egli approdò al fascismo unicamente quando questo ultimo riscoprì la sua vocazione di sinistra, la sua «anima» socialista. E ciò fu sintetizzato dallo stesso Bombacci a Genova, in un suo affollato comizio, nel Marzo del 1945.

 


 

Giovanni Luigi Manco

La città fiorita.
Il divenire del socialismo in Mussolini

Ed. all'insegna del Veltro, Parma '96       pp. 142       £. 25.000

 

Questo pregevole saggio di Giovanni Luigi Manco è non solo sorprendente per la dovizia della documentazione, per la vasta e varia riflessione teorica che ne pervade le pagine più impegnate e impegnative, per la audace ma non visionaria peculiarità relativa alle tematiche dottrinarie e alla interpretazione storica che in esso emergono, ma è anche costellato di sorprese atte a farci scoprire, non di rado, un mussolinismo assolutamente inedito, sconosciuto, preda di contraddizioni talora felicemente creative, talaltra duramente antagoniste. Ciò che maggiormente colpisce nel Mussolini ideologo e politico è la molteplicità delle sue connessioni intellettuali, del suo esplorare e attingere in una estrema varietà di autori, nella dovizia di referenti culturali assunti mediati rielaborati indi vivificati alla luce di proprie intuizioni e di stabili traguardi. Per esempio, è possibile scorgere nella tessitura dottrinaria del capo del fascismo l'utilizzo di idee che ebbero corso nel movimento nazionalista ancor prima della costituzione del partito azzurro, frutto della riflessione teorica di un pensatore dallo straordinario spessore elaborativo, dalla vivace capacità di ricerca, dalla non comune peculiarietà. Trattasi di Enrico Corradini, ideatore della formula del «nazionalismo come socialismo della Nazione italiana nel mondo», vale a dire della lotta di classe trasferita dal piano interno a quello internazionale mediante la sostituzione dei due tradizionali protagonisti del conflitto sociale, proletariato e borghesia, con due nuovi attori: nazioni plutocratiche e nazioni proletarie. Peraltro inoltrandosi nel brillante monitoraggio del Duce-pensiero in offerta sia rossa che nera posto in essere dall'Autore non ci si tarda ad accorgere di un intreccio spesso stretto fra l'analisi marxista e il suggestivo, non irrealistico, a ben vedere, immaginario corradiano. Quanto poi alla gestione politica della «Cosa» mussoliniana, un discorso diverso nutrito di elementi notevolmente critici non è certo evitabile.
Viene proposta al lettore una lettura del primo Mussolini ideologo e politico non soltanto fondata sulla analisi esaustiva, puntuale, eccezionalmente estesa e approfondita delle origini e degli sviluppi della sua esperienza di pensatore e leader socialista, ma esposta in appropriatissimi termini e con scorrevole, gratificante, elegante prosa.
Il che è garanzia di godimento intellettuale formativo; di possibilità seria per chi vorrà scorrere le dense pagine di questo "La città fiorita"; di fruizione di ampie aperture su di uno spaccato remoto (e tuttavia non scevro di forti addentellati con le più scottanti problematiche dell'attualità); su vicende nazionali fra le più intense e drammatiche ai supremi livelli incarnate da una eccezionale personalità della storia non soltanto italiana.
Essa, a oltre mezzo secolo dal pubblico linciaggio del suo cadavere, ancora suscita straordinario interesse ad accese discussioni fra storici di ogni orientamento e militanza, tempestoso onere riservato alle sole figure che hanno signoreggiato la storia e, magari, ne sono state signoreggiate.
E allora, come non ricordare il Cesare della tragedia di Shakespeare? Egli giace immerso nel suo sangue, spento dalle pugnalate di Bruto, falso libertario in realtà sicario dell'oligarchia, assassino del suo benefattore, strumento di restaurazione del potere reazionario degli ottimati. Eppure -ecco il miracolo- il suo corpo domina la scena. Così come, senza soluzione di continuità, dominerà i secoli.

Enrico Landolfi
(dalla Introduzione)

 

 

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