da "AURORA" n° 39 (Febbraio - Marzo 1997)

L'INTERVENTO

Euro o Europa?

Ernesto Ivano Boselli

La prima volta che abbiamo votato i nostri rappresentanti al Parlamento europeo era l’anno 1979.

In quegli anni il clima che io ricordo era di entusiasmo e di speranza. Popoli che fino a 40 anni prima avevano avuto come principale occupazione quella di trucidarsi a vicenda, per la prima volta eleggevano comunemente deputati, capaci di legiferare per ogni Stato membro. I deputati tedeschi e francesi, sia pur influenzati dai partiti nazionali, insieme imponevano parametri e novità sia al bovaro bavarese che al pescatore siciliano. Finiti i massacri e curate le ferite, era vera la voglia tra la gente di dire basta agli egoismi, di seppellire l’idiozia ed usare finalmente la capacità umana di volgere a proprio vantaggio le condizioni socio-ambientali. La sinistra intera era pronta a combattere l’incipiente neo-liberismo. L’attenuarsi poi della guerra fredda ha favorito il superamento dei limiti alla collaborazione e ad intendere l’Europa dei 45 Stati, non più dei 9. Pare addirittura, ormai, che Pershing e Cruise se ne stiano buoni buoni nei loro hangars, sempre pronti certo, ma puntati fuori da confini europei. L’integrazione economica ed il completo abbandonarsi dei gruppi dirigenti trasformerà il mercato comune europeo in antagonista (si dice così?) a quelli statunitense e nippo-asiatico e ci permetterà, di qui a poco, di pagare le diavolerie giapponesi ed il cioccolato svizzero in Ecu. Per andare al cinema sborseremo 6 unità di moneta. Già immagino la classica vecchietta alle prese col solito etto di prosciutto.

Ma andiamo avanti. Dunque, sono 18 anni che si è formato il Parlamento europeo e quali sono stati i cambiamenti visti? Visti da noi, da me, visti dalla strada e dalle notizie giornalistiche?

Il Parlamento europeo, nei riguardi dello Stato sociale, non si è mosso nella direzione giusta. Il diritto di ognuno a partecipare alla ricchezza prodotta è ignorato. Infatti il mondo del lavoro -finanziatore dello Stato sociale- rincorre con affanno l’occupazione: chissà se i 7 milioni di disoccupati europei di vent’anni fa avranno ora trovato un lavoro?

Infatti. Per chi nei Parlamenti è antagonista, i rimedi sono gli stessi del 1979: riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, piena occupazione e poi... le pensioni non si toccano.

Far fronte all’incipiente neo-liberismo, ma poi? Da noi, ad esempio, sento ora da Radio RAI che Bertinotti ha consigliato la FIOM di non sottoscrivere il nuovo contratto, ...nuovo si fa per dire. Per sette mesi sindacati e Confindustria hanno trattato, a volte si sono ignorati, a volte si sono insultati. Il tempo è passato, poi è scaduto e voilà, ecco il contratto. La FIOM ha firmato insieme a FIMO, UILM ... e Confindustria. C’era anche un ministro; l’ho visto firmare, ma non so cosa.

L’unica cosa certa, visibile ad occhio nudo, è che per un bel pezzo la contrattazione nelle officine e nelle fabbriche metalmeccaniche diverrà ricordo e rimpianto. E Bertinotti? Chissà se ha consigliato anche a Prodi di non firmare una tassa di nome Europa.

Non so negli altri Paesi europei, ma da noi i comunisti sono scesi a patti per rispettare i kriteri del «koncordato di Maastrikht» e non so quanto degnamente rappresentino quel 9% dei votanti antagonisti. Svanisce, forse per sempre, la possibilità d'avere in Parlamento un partito antagonista all’odierno sistema.

Ma vediamo cosa ha fatto il Parlamento europeo riguardo al miglioramento delle proprie istituzioni. Poco o nulla pure qui. Nel ’79 su argomenti quali Bilancio, emendamenti al Trattato e imposte, un solo Stato poteva bloccare le decisioni comuni. Proprio come oggi. Nel ’79, Mitterand e Smith ricercavano un patto d'alleanza franco-tedesco; oggi Chirac e Khol hanno proposto di consentire agli Stati più meritevoli (Francia e Germania) rapporti più stretti fra loro all’interno dell’Unione.

Come nel ’79, anche oggi i compiti del Parlamento di Strasburgo, eletto a suffragio universale, sono limitati ed inadeguati in confronto a ben altri poteri forti. Infatti si pensa di escludere, almeno temporaneamente, Italia e Belgio dal sistema Euro. Con buona pace di Calabresi e Valloni. Segno chiaro del prevalere dei potentati economici sui movimenti politici. Nulla di nuovo.

Per entrare a far parte di una Commissione nel Parlamento italiano basta avere uno scranno limitrofo. Nel Parlamento europeo, invece, i candidati vengono aiutati a comprendere la materia e scelti fra i tanti. Questa è una nota positiva perché in questi anni molti hanno potuto usufruire dell’apparato economico-informativo comunitario e, tra costoro, anche persone senza interessi materiali, ma tenaci nell’affrontare i vari problemi.

Agricoltura, ambiente e salute sono i temi che più hanno portato novità e dove più si è sentito il peso della nuova istituzione. Oggi la fettina di bovino che abbiamo in frigo è sicura. Oggi le medicine che usiamo sono testate e riportano nella confezione tutto il male che fanno. Oggi un allevatore italiano sa, un anno prima, quanto latte deve produrre e quanto gli verrà pagato.

A parte gli scherzi, cosa possiamo fare di questo Parlamento europeo? Secondo il mio pensiero Portogallo, Spagna, Regno Unito, Francia, Germania, Italia, Belgio e Olanda hanno il dovere di accollarsi l'onere di rendere capace il Terzo Mondo a progredire.

Oggi, se voglio fabbricare un paio di scarpe, mi guardo un po’ attorno. Per le tomaie ci sarebbero gli Albanesi, costano poco. Le suole le farei fare in Bulgaria, sono esperti. I laccetti vengono già dalla Malesia, fatti da bimbi. I soldi vengono un po’ dappertutto. Qualsiasi allargamento del Mercato dovrebbe essere ben accetto agli imprenditori soprattutto se di dimensioni continentali. Perché allora non la si smette di creare occupazione dove c’è più lavoro, e aumentare le astinenze dove c’è più miseria. Lo sviluppo per l’Europa è fuori dai propri confini e ciò potrebbe aiutare, e molto, a costruire strade là dove non ce n’è, scuole dove mancano e centrali elettriche dove non ce ne sono mai state.

Senza voler trasformare Buyumbura in Milano, possiamo fare molto per il Terzo Mondo e il Parlamento europeo è l’istituzione giusta per farlo. Noi dobbiamo attenuare il nostro egoismo, loro la loro ignoranza.

Ci sono città europee che già hanno ospitato le Olimpiadi sempre in prima fila nel richiederle nuovamente. Nel ’60 Roma ha ricevuto una potente spinta nella costruzione dell’arredo urbano. Allora non è meglio farle a Dhaka quelle infrastrutture? Da quelle parti non c'è nulla da abbattere per far posto al nuovo da costruire. L’azienda che appalterà i lavori non sarà certamente senegalese o indiana, ma tedesca o italiana. Sentite, invece, cosa dice il sindaco Rutelli: «Perché non facciamo qua a Roma le prossime Olimpiadi?» Meno egoismo tra noi dunque, ma occorre anche una più precisa dedizione al progresso da parte dei Paesi sottosviluppati che non potranno subire ancora per molto le angherie imposte loro, senza condividerne a pieno i redditi prodotti.

Nel Terzo Mondo, conflitti simili a quelli europei nel medioevo, ma combattuti con armi moderne. Guelfi e Ghibellini che non si squartano con asce, spade e olio bollente, ma con kalasnikov, mine anti-uomo e micidiali armi leggere capaci, in mano a Tutzi di sterminare milioni di Hutu e viceversa. Tanto la mano che fornisce le armi è la stessa per tutti. Guelfi e Ghibellini, almeno, usavano armi proprie.

I Paesi del Terzo Mondo -io conosco quelli africani- devono, soprattutto, avere il coraggio di chiedere al Parlamento europeo quello di cui necessitano per spezzare al più presto la solida catena della Banca Mondiale e quando loro busseranno alla nostra porta non facciamoci trovare in pigiama. Gli europei ci sono già stati in Africa, ricordate? A Pretoria c’è chi ancora indossa le mutande di 200 anni fa, e non sono certo stati gli Zulù a chiamarlo. Gli Africani abbisognavano di crescere nel gestire l’ambiente e gli Europei portarono il peggio di una società corrotta e violenta. Allora gli Inglesi non furono chiamati; spero che ora gli Zulù lo facciano.

Mi sono accorto che ci vorrebbe un tomo per esaurire le tematiche europee di questi ultimi venti anni: la risaputa riluttanza britannica; la novità di soldati comuni in zona di guerra; la mai sopita voglia di egemonia del popolo tedesco; le inquietudini provocate dalle titubanze della Russia; la vocazione laica imboccata dai popoli europei -e «Dio solo sa» quanto bisogno al mondo ci sia di laicismo-, ma di ciò vorrei parlare un’altra volta (ho già pronto il titolo: «Fuori i credenti dalla cosa pubblica».

Per non parlare dei «problemi» ambientali, succhia succhia la caramella si esaurisce, riempi riempi la buca si colma. Insomma il Parlamento Europeo anche se è il meglio che abbiamo da usare non è gran cosa.

Ernesto Ivano Boselli

 

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