da "AURORA" n° 47 (Marzo 1998)

LE IDEE

Gli «epigoni» di Marx e l'ecologia

Francesco Moricca


«Ma di cosa ho bisogno io? Mangiare non mangio più nulla.
Vestiti non me ne occorrono: cento lire al giorno mi bastano».
B. Mussolini (da S. Bertoldi, "Mussolini tale e quale")


 

Scrive Tiziano Galanti (lettera pubblicata sul n° 45 di "Aurora"): «Vi do atto di una vostra logica quando vi riconoscete come sinistra nazionale e che in fondo le vostre posizioni non sono così distanti, anzi mi sembrano obiettivamente convergenti con quelle della sinistra parlamentare» (cor. nostro).

L'Amico ci conosce poco, per sua stessa ammissione, oppure ha letto in maniera troppo personale i numeri del nostro giornale che gli sono pervenuti (il 42 e il 43), se può riscontrare una «obiettiva» cioè sostanziale «convergenza» delle nostre vedute con quelle della sinistra governativa: un equivoco, questo, in cui, in verità, diversi possono cadere e di fatto, a quel che mi risulta, sono caduti. Sono propenso a credere che la responsabilità ultima di un tale equivoco sia nostra. Nondimeno è altrettanto vero che il lettore medio, non solo del nostro giornale, è in genere poco attento e scarsamente obiettivo nelle sue critiche, per una serie di motivi che in buona misura non dipendono dalla sua volontà.

Poiché nella lettera di Galanti si fa preciso riferimento al contenuto di due miei scritti pubblicati nei numeri citati di "Aurora" (Marx contra Marx" e "Noi collusi col governo"), mi sento obbligato a qualche chiarimento sulla tesi centrale del primo scritto, da cui dipende l'esatta interpretazione del secondo, al di là, del tono provocatorio che è concentrato nel titolo.

In breve, il "Marx contra Marx" mirava ad evidenziare alcune «contraddizioni» non marginali del pensiero di Marx -che più precisamente e tecnicamente contraddizioni non sono ma antinomie- le quali sono suscettibili di sviluppi molto diversi da quelli dati sia da Marx che dai suoi continuatori: quegli sviluppi che furono operati in teoria e in pratica da Benito Mussolini, nel quale, aggiungiamo, confluisce una corrente di pensiero che va da Bakunin al socialismo utopistico, a Mazzini, a Gioberti, a Sorel. Se Mussolini fece proprio il metodo di Marx, il suo socialismo ha altre origini. Egli non fu mai marxista e pertanto non può ritenersi un «epigono di Marx». Il mio scritto non intendeva assolutamente sostenere una simile assurdità. Certo, vi sono dei luoghi in cui si mette in evidenza il «nazionalismo» di Marx ed Engels, ma secondo una intenzione di inquietante ironia che -lo riconosco- non sono riuscito ad esprimere come si doveva. Dico allora, per dissipare ogni equivoco, che io sono convinto che Marx e i suoi continuatori fino a Stalin sono stati nazionalisti per cinico pragmatismo, e che ho il sospetto forte che lo siano tuttora e a maggior ragione, sebbene questo sospetto non sia per me pregiudiziale. "Noi collusi col governo" era un invito in forma provocatoria alla sinistra governativa, soprattutto a Rifondazione comunista, affinché vanifichi de facto un sospetto che forse non è soltanto mio e di pochi altri «bastian contrari».

Passando agli altri articoli dei citati numeri di "Aurora", nonostante la accentuata attenzione per le problematiche proprie alla sinistra «istituzionale», la trattazione è ispirata da un tono inconfondibilmente «mussolinista», in qualche caso persino contrassegnato da una sincerità mistica che io personalmente apprezzo molto e non trovo affatto «poco conveniente», in quanto la verità di una convinzione profondamente sentita si impone senza bisogno di accorgimenti mediatici, si impone positivamente anche quando è «urtante» e proprio perché è un colpo sferrato contro l'ipocrisia politica, secondo lo spirito legionario. Gli articoli dei Collaboratori di "Aurora" che né per provenienza politica né per formazione culturale possono dirsi «fascisti» e che lo dichiarano apertamente, stanno a dimostrare che l'interesse per l'opera di Mussolini nasce da una delusione per quanto di fatto ha realizzato la sinistra marxista nella seconda metà del secolo giunto alla fine. Si sarebbe molto lontani dal vero se si ritenesse che questi validi Collaboratori considerino Mussolini marxista solo perché essi stessi continuano ad esserlo e nello squallido panorama contemporaneo non trovano altro valido modello di marxista da proporre che Benito Mussolini. Essi sanno bene -sono d'accordo con Galanti- che le sue scelte storiche pesano come pietre e rendono improponibile la tesi sul semplice piano storiografico. A meno che non si voglia rischiare di avallare l'idea vetero-comunista del Mussolini «traditore della causa del proletariato» -che io escludo- l'interesse per lui di questi Collaboratori presuppone una loro valutazione positiva del suo socialismo, che o non è marxista oppure lo è nel senso della socialdemocrazia «controrivoluzionaria».

Addentrarsi nelle problematiche relative alla seconda ipotesi è il grande problema non solo storiografico ma politico dell'oggi più immediato, che è oggetto non solo delle analisi dei nostri Collaboratori di scuola marxista. Credo tuttavia di poter affermare senza tema di smentita che costoro sono tutt'altro che dei «controrivoluzionari», e che pertanto non cercano nel modello Mussolini quello del «socialdemocratico controrivoluzionario», ma quello del rivoluzionario sempre coerente (cfr. "La città fiorita" di G. Manco) e di colui che «recupera» le primitive istanze, dopo i necessari compromessi del Ventennio, durante l'ultimo periodo della vita (cfr. "Ciao rossa Salò" di E. Landolfi). Landolfi, nella fattispecie, attraverso una molto documentata disamina, mostra che Mussolini teneva molto a che la sua «socializzazione» non fosse confusa con una bolscevizzazione del fascismo. Se il suo libro mi ha posto un problema, esso non riguarda tanto quale fosse lo spirito informativo della legge sulla socializzazione (che per me è sufficientemente chiaro secondo l'opinione positiva che me ne sono fatto), ma quello che in definitiva significhi il concepirla come espressione della «socialdemocrazia rivoluzionaria»: questa originale forma di socialdemocrazia intende rivoluzionare soltanto i rapporti economici? E se vuole rivoluzionare anche i valori, possono essere diversi da quelli del fascismo storico? Fino a che punto essi possono essere oggetto di «revisione», possono discostarsi da un atteggiamento dialettico verso la realtà che considera i «compromessi» sempre come provvisori, dettati da una «necessità» con cui mai ci si potrà «riconciliare» fin quando non sarà, totalmente soggiogata e annientata, che ben altra cosa che non la mera «libertà delle/dalle leggi economiche»?

Se nel nostro giornale vige la più grande apertura a un dialogo costruttivo con alcune forze della sinistra che non ignorano la logica (non soltanto la «nostra» logica), è altrettanto vero che continuiamo ad essere ignorati dalla sinistra governativa. Credo che ciò non accada se non perché essa vuole ignorarci. E sono molto generoso nell'esprimermi così. Poiché noi saremmo sostanzialmente «sulla stessa sua posizione», lo fa -chiedo- per fare un favore ad AN o a Rauti? O perché ci giudica «insignificanti»? Oppure perché ritiene che in realtà solo molto relativamente siamo «sulle sue stesse posizioni»?

Per quanto riguarda personalmente la mia posizione, io sono col governo perché desidero che l'Italia non venga esclusa dall'Unione europea, e perché credo che l'Italia abbia un ruolo politico insostituibile per impedire che essa perduri nella attuale condizione di mero strumento della strategia statunitense. Non sono col governo e comunque mordo il freno, quando il governo, invocando molte volte pretestuosamente lo «stato di emergenza», fa una politica interna che non avrebbe osato fare neanche la coppia Berlusconi-Fini. Quanto alla sua politica estera, ha tenuto nel corso della gravissima crisi irachena un atteggiamento di prudenza che deborda nella timidezza e nella acquiescenza più vergognosa verso gli USA, non sapendo offrire, al momento giusto, il dovuto sostegno alle iniziative di Francia e Russia, peraltro mostrando di non volere o di non sapere tutelare vitali interessi economici del Paese.

Circa il mio collocarmi a sinistra, me ne sento obbligato dalla mia concezione della giustizia, che io non identifico con la «giustizia sociale», ma non credo possa realizzarsi senza almeno che vi sia una reale «giustizia sociale» intesa come garanzia di lavoro per tutti e pari opportunità di accedervi, a tutti i livelli e secondo il reale merito personale. Non posso invece ritenermi di sinistra quando si verifica una sostanziale convergenza di essa con gli intenti del capitale e della «concezione del mondo» che gli è propria. In ciò consiste la ragione della mia militanza in Sinistra nazionale, e, per dirla con franchezza, il mio «essere fascista», senza «nostalgie» ma anche senza complessi di colpa e timori di «ghettizzazione» o di «auto-ghettizzazione». Condivido le analisi del marxismo-leninismo ma non il suo spirito informatore e le sue strategie, l'uno e le altre essendo per me una derivazione e uno sviluppo nella medesima direzione della medesima logica del capitalismo, per quanto in momenti determinati abbia effettivamente svolto e potrebbe ancora svolgere rispetto ad esso una funzione antagonistica. Proprio per questo reputo insostituibile il confronto e la collaborazione con quanti si richiamano variamente al marxismo, ma comunque cercando di evitare di esserne strumentalizzato conoscendone anche per esperienza diretta le tattiche. Rifiuto pregiudizialmente di ritorcere contro di esso queste tattiche, fino a quando non sono certo che esse siano messe in campo contro di me intenzionalmente. Sono convinto che Mussolini fosse assolutamente sincero quando presentava il suo fascismo come qualcosa di diverso sia dal socialismo più o meno «domenicale» che da quello bolscevico e dal «comunismo» marxianamente prefigurato come società tecnocratico-edonista, in cui vi sarebbe spazio per una concezione del mondo di tipo ecologista sia in funzione «anti-materialista» che in funzione regolatrice dello sviluppo tecnologico, di «saggia amministrazione» delle risorse e degli equilibri naturali.

La quale ultima affermazione riguarda la conclusione della lettera di Galanti a la sua proposta di analisi della valenza rivoluzionaria di Marx in termini ecologisti, con riferimento alla «comunità globale» del bordighista Jacques Camatte, che Galanti appunto presenta come «il più lungimirante approdo del pensiero marxiano».

Si potrebbe anche accettare che Bordiga e Camatte si definiscano «marxisti», nel senso che hanno offerto una loro interpretazione del pensiero marxiano. Resta però da vedere quanto questa interpretazione sia aderente al testo del filosofo di Treviri. Basti intanto ricordare che Bordiga fu aspramente criticato da Gramsci per il suo «settarismo» (cioè incapacità di collegamento con le masse) e «nullismo», per cui verrà espulso dal PCI al Congresso di Lione del '29, anche o forse soprattutto perché il suo «marxismo» lo aveva indotto a dare del fascismo un giudizio non del tutto negativo, contro la tesi maggioritaria di Gramsci e Togliatti. Altra osservazione da farsi è che i Paesi del «socialismo reale» hanno mostrato un «rispetto per la natura» pari se non inferiore a quello dimostrato dall'Occidente capitalista. Ne è sostenibile, venendo ad osservazioni meno empiriche, che le cose cambierebbero col passaggio, non ancora storicamente verificatosi, dal «socialismo» al «comunismo», per quanto si cerchi di focalizzare il significato della mitologia liberatrice del giovane Marx cui fa esplicito riferimento Galanti, ma che il Marx maturo ridimensionò per non dire che mise prudentemente da parte.

È noto infatti che Marx riduce a due tutte le «contraddizioni» prese in esame dal suo materialismo storico: la contraddizione fra uomo e uomo («lotta di classe») e la contraddizione fra l'uomo «in quanto genere» e la natura. Mentre la prima contraddizione può essere eliminata con l'approdo al «comunismo», la seconda non può esserlo mai. È per questo che, secondo Marx, lo sviluppo della tecno-scienza deve essere illimitato: essa dovrebbe poter dominare ciò in cui la natura rivela la sua essenza meno idilliaca e più sinistra, la scarsità delle risorse naturali che la tecno-scienza trasforma in beni di consumo in quantità tale da inverare il principio del comunismo «da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni». Il «comunismo» implica l'estensione del «consumismo» su scala planetaria, ma le risorse naturali, nonostante i prodigi della tecnica, non si possono pensare inesauribili come i «bisogni umani»; se questi non possono essere integralmente soddisfatti, quanto meno si innesca la possibilità di una regressione all'ineguaglianza propria alla fase del «socialismo» in cui è il «merito» che stabilisce la differenza della quota di ricchezza sociale spettante a un individuo o gruppo di individui. Ove si rileggano le pagine del "Capitale" dedicate a Malthus, il padre dell'ecologia, non è difficile rendersi conto del fatto che Marx era ben consapevole di questa difficoltà, e che non la si può risolvere se non alla maniera di Malthus, regolando le nascite e selezionando la «popolazione» con qualcosa che sostituisca i meccanismi regolativi naturali, che per Malthus erano le carestie, le malattie, la guerra. Se consideriamo le potenzialità attuali della tecno-scienza, dobbiamo dire che regolare le nascite equivale essenzialmente ad applicare anche all'uomo l'ingegneria genetica e quanto ne deriva. Il che equivale alla massima delle violenze che l'umanità «evoluta» deve necessariamente esercitare sulla natura se vuole conservare gli standards di «progresso» conseguiti, la distruzione delle risorse naturali, pur nella sua inevitabile enormità, consistendo in definitiva in una violenza minore.

Se le cose stanno in questi termini -e lo si può verificare sui testi- si deve escludere categoricamente la possibilità di una lettura ecologista di Marx. Questa non è altro che una falsificazione, come lo è la fisima ecologista del capitalismo. L'origine è comune e le «due» correnti dell'ecologismo si supportano reciprocamente a danno, soprattutto, dell'umanità.

La vera ecologia dovrebbe al contrario bloccare l'illimitato sviluppo della tecno-scienza, ovvero subordinarla strettamente ad una nuova cultura anti-consumistica fondata su una rigida gerarchia di valori, una cultura della frugalità anti-edonistica, che non è precisamente la cultura della povertà francescana.

Infine, favoleggiare di una «comunità globale» bordighista alla Camatte, equivale a fornire al mondialismo dilagante la giustificazione teologica di un nuovo «francescanesimo della ricchezza», aiutare il peggiore fascismo odierno come di fatto Bordiga aiutò il peggiore fascismo di ieri, secondo le tesi di Gramsci e Togliatti.

Francesco Moricca

 

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