da "AURORA" n° 49 (Giugno 1998)

LETTERE

 

Torino 7 giugno 1998

 

Caro Luigi,

scusa per l'arco di tempo in cui, per vicende personali e familiari, quanto meno complesse, unitamente ad uno stato di salute psicofisico precario, ho disertato l'attività giornalistica e militante, in un momento nel quale credo la Sinistra di ogni tendenza abbia necessità di mobilitare -con comandi e direttive perentorie!- ogni propria risorsa, individuale e collettiva, per ripensare le forme del processo rivoluzionario anti-imperialistico, socialista e nazionale -in prospettiva strategico- e per arginare, nel breve e medio periodo, che ci vede ancora disarticolati, «imbambolati», dal crollo delle certezze -che ci conferiva (o meglio conferiva alla gran parte del «popolo di sinistra») la presenza del Movimento operaio anti-imperialista internazionale con perno inevitabile sull'URSS e sul sistema degli stati socialisti- la straripante ondata liberal-liberista, che non risparmia nessuno e su cui, per ora non si può far altro che giocare di rimessa, come fa la Gauche in Francia, per evitare il peggio.

L'occasione, tuttavia, che mi muove a riscrivere ad "Aurora", è leggermente polemica e prende spunto dalla recensione del mio libro su Mussolini e Lenin, apparsa sul n° 44 della rivista. Nonostante io creda di essere stato chiarissimo, nel testo come nella presentazione, la recensione io la devo respingere quasi in blocco, in quanto sfigura completamente lo scopo e il quadro di riferimento, che mi ero voluto dare nel riproporre, per altro, analisi e questioni già note.

Soprattutto nella sua seconda parte, la recensione, tratta il mio saggio come se io, ricostruendo la fermezza socialista (e marxista dialettica! Sulle orme di Nolte!!) del giovane Mussolini, avessi inteso affermare la continuità quasi «segreta», «occulta» -come dire: in fondo lo è sempre stato, anche quando ha consentito a Grandi e Caradonna di far strage di braccianti socialisti, comunisti o semplicemente cattolici), che poi si sarebbe «rivelata» -finalmente- nella esperienza socialista della RSI.

Sul piano di questa analisi -che se sviluppata in modo ben più articolato e fondato, potrebbe essere veramente; una chiave aggiuntiva, a quella defeliciana, per comprendere il ruolo politico di Mussolini stesso, fra il 1921 e gli anni della guerra, nonché caratteri, contraddizioni, del e dentro il Regime- non voglio addentrarmi.

Mia intenzione è puntualizzare che, se c'è una originalità nel testo, da me dato alle stampe, sta soprattutto in un'organizzazione di analisi, di studi -già fatti quasi «in toto» da De Felice e soprattutto da Nolte- per vedere Mussolini solo e unicamente nel contesto della crisi della stessa Sinistra internazionalista, nei mesi convulsi dell'estate del 1914. Io ho voluto solo porre in luce -come già fatto da Nolte!- che Mussolini, prima di questi fatidici mesi, e nell'articolo stesso sulla «neutralità attiva», ha pensato, agito, proposto da marxista dialettico, con notizie, documenti, valutazioni che aveva all'epoca a disposizione e che noi, a ottanta anni e oltre dall'evento, potremmo anche smentire (ad esempio; la sicurezza da lui sostenuta che il blocco monarchico italiano volesse portarci in guerra solo a fianco degli Imperi centrali!). Ma ha cercato nella dinamica oggettiva della storia l'opportunità per portare il Socialismo organizzato ad agire, anche se entro confini nazionali angusti, proprio nel caso in cui il blocco conservatore italiano avesse tentato di spingere verso la guerra contro la Francia. Dirò di più: sino ai primi mesi del 1915 -sui cui interventi non mi sono dilungato, perché il problema era vedere proprio la diaspora della Sinistra internazionalista dopo il 1914 e non la transizione dal socialismo marxistico di Mussolini fino ad un «presunto» socialismo fascista, quasi «occulto». Non ho visto traccia, in Mussolini, di un'organica fusione tra discorso socialista e discorso nazionale (questo avverrà soprattutto nel 1918-19, ma siamo già lontani dal Socialismo, come Mussolini stesso affermerà chiaramente cambiando il sottotitolo del "Popolo d'Italia", proprio con il passaggio al «trincerismo» e al «produttivismo»).

Piuttosto faccio notare, al recensore, che l'ansia, forse anche non priva di fondamenti storici ed emotivi, di proiettare il socialismo mussoliniano (che, ripercorrendo le tesi di Nolte ed accentuandone l'aspetto teorico, io propongo come materialismo dialettico proto-leninista ante litteram) sul futuro «fascismo movimento» gli ha impedito di individuare forse l'aspetto più innovativo di questa mia breve disamina a 360° del socialismo rivoluzionario sortito dal crollo della IIª Internazionale e, dunque, della sua sinistra interna: la valorizzazione di Antonio Gramsci come esempio organico di equilibrato materialismo dialettico, interno al movimento comunista internazionale sino agli anni di Mao Tse Tung, senza sbandamenti deterministi e/o volontaristici.

Questa centralità gramsciana è stata da me motivata anche sulla base di documenti raccolti da uno studioso di origine bordighiana -S. Bergomi, "Il giovane Gramsci e il marxismo"- e fondata su due fattori ben precisi (che dovrebbero inorgoglire giustamente i fautori del sinistrismo fascista o fascismo sociale!):

1) l'influenza di Giovanni Gentile, della sua filosofia fortemente incentrata sull'atto produttivo del soggetto pensante e creatore;

2) l'adesione di Gramsci alle posizioni di Mussolini sino al limite dell'interventismo -e fu proprio Mussolini ad introdurre nel Marxismo un volontarismo, aspetto essenziale del materialismo dialettico- facendo riferimento alla «lebensphilosophie» dell'epoca, da Bergson a Nietzsche ai «vociani», senza passare per lo studio puro, faticoso dell'epistemologia del primo Novecento e della logica hegeliana, come fatto da Lenin, con conclusioni teoriche forse più solide -per altro assorbite pienamente da Gramsci stesso-, ma anche con appesantimenti teorici oggettivi tali da rendere possibili sbandamenti verso il determinismo economico, che fu il vero motore della crisi della IIª Internazionale.

Fraterni saluti

 

Renato Pallavidini

 

 

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