da "AURORA" n° 3 (Febbraio 1993)

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In difesa di Craxi

Vito Errico


Lenin lasciò scritto che il modo migliore per uccidere un politico consiste nel farne un’icona. Oggetto di devozione, venerazione e adorazione. Idolatria politica. E le icone innalzate agli onori degli altari finiscono lordate e rotolanti nel fango. A torto o a ragione. Secondo la mutevolezza delle folle che Gustavo Le Bon, fin dal 1895, descrisse scientificamente irrazionali.


Craxi kaputt

Il Novecento è costellato di icone, comete che hanno attraversato l’interplanetario politico della storia. Fulgenti e opacizzate. Ognuna di esse ha segnato il cammino di un’era. Ognuna di esse di dimensioni sempre minori, ciascuna figlia di sua madre. Fino al pulviscolo dei giorni nostri. È il completamento di un processo del Caos che originò dal big bang della società industrializzata. Cento anni che si compiono e sanciscono la fine delle ideologie. Il centenario della nascita del Partito Socialista, padre e madre dei grandi movimenti politici che hanno sconvolto la società moderna: il comunismo e il fascismo; dopo il post-fascismo e il post-comunismo.
A volte si ha la sensazione di essere tutti degli «ex», anche se ci si sente soli, ma fu detto: «All’improvviso, ci si accorge che gli uomini del pianeta nel quale vivi non sono tutti simili. Tenti di far loro comprendere l’impossibilità di essere loro prossimo. E, allora, te ne vai, e scopri che, di là d’immensi canali di spazio, altre rive possono accogliere la tua solitudine. Pianti le tende sulle rive di quella terra di cui non conoscevi il nome. Rimani solo. Ma, almeno, continui a vivere». È quel vivere su un atollo deserto che ti permette un giudizio sereno sui fatti, scevro da passioni deludenti e da acrimonie viscerali il cui frastuono fracassa i timpani e l’afrore brucia le nari. Rumori di una folla prima acclamante e poi mordace. Clemenceau ammoniva: «Lo scalpiccio dei piedi che fuggono non è altro che l’eco delle mani che applaudivano il giorno prima».
Craxi è caduto. Il diavolo è all’inferno. Tenterà di risalire al purgatorio. Ma in politica chi cade difficilmente si risolleva. Se capita, dura lo spazio di un momento, che precede l’annientamento totale. Così è stato sempre. Destino del cesarismo. E in ogni storia c’è un Bruto che vibra la sua pugnalata. Le strade della politica sono lastricate di tradimenti. «Il tradito è pur sempre un ingenuo, ma il traditore è sempre un infame». Così lasciò scritto un Uomo, costretto in un ambulanza da un omuncolo.
Il dramma di Craxi ha avuto il canovaccio solito. Chi non vede in Claudio Martelli il Bruto della situazione? Come si fa a non notare meschine figure di pretoriani? Chi era Giulio Di Donato se Craxi non l’avesse tratto dal buio delle contrade campane? Sono satelliti che, di punto in bianco, credono di rifulgere di luce diretta. Sofismi da astrofisica. Ma ributtante è l’arengo dal quale urla Giacomo Mancini che, agli inizi degli Anni Settanta fu l’eroe dello scandalo ANAS.
Chi ha più di vent’anni non può aver dimenticato il ladro nazionale. Pisanò tappezzava i muri d’Italia: "Si scrive leader, si legge lader". Il meneghino diventava così comprensibile, dalle Alpi alle Madonie. Quando Craxi fu designato alla segreteria del PSI, Mancini ne perorò con forza la candidatura. Lo riteneva una nullità e per far fuori De Martino, volle servirsi d’un presunto uomo di paglia. Ma lo spaventapasseri s’animò, tracciò la sua parabola. Oggi Mancini si vendica. Nihil sub sole novum.

Chiamata di correità

Non dirò, come stanno facendo gli ultimi cretini ubbidienti alla Intini (ogni regime ha i suoi Starace), che Craxi non è colpevole. È impelagato fino al collo. Non poteva non sapere. Sapeva, eccome. E per questo dovrebbe pagare, non soltanto in termini politici. Ma non da solo.
Se s’inquisisce Balzamo, tesoriere del PSI e si chiama in correità Craxi, si dovrebbe fare lo stesso per Forlani, il cui amministratore Citaristi non è estraneo a Tangentopoli. Se il PCI s’è sporcato le mani, Occhetto dovrebbe risponderne.
Con l’aggravante dell’intelligenza col nemico. In termini di traduzione davanti alla magistratura dello Stato. La Malfa, dall’imene ricostruito a dimostrare una posticcia verginità, è responsabile né più né meno degli altri: Gunnella, patron di mafiosi morti ammazzati, gli ha appartenuto. E a questi singoli casi si potrebbe affiancare una pletora di scandali che hanno qualificato la storia di questo regime di malfattori. C’è da processare il sistema, tutto il sistema: maggioranza e opposizione, perché più o meno tutti hanno sguazzato in questa cloaca di escrementi.
Non è giusto, come sempre succede in questa nazione in cui i Ferrucci scarseggiano e i Maramaldo abbondano, infierire su un uomo in ginocchio e non si afferma ciò per ripetere il verso di un Formica, che, dimentico delle sue grane con la giustizia, va in televisione a fare il Catone. Gli è perché sappiamo cosa succede ad un uomo quando perde. Gli è perché tutta la nostra vita abbiamo dovuto difendere dei perdenti. Certamente, c’è modo e modo di perdere. E quello di Craxi e combriccola è ignobile. Ma si deve rammentare, è giusto farlo, che quest’uomo, sia pure per un attimo, ci ha ridato un guizzo d’orgoglio nazionale.
L’episodio di Sigonella, i carabinieri che accerchiano i marines mitra in pugno, resta un fatto qualificante nelle cronache squalificanti di quest’Italia sempre più provincia americana. Queste colpe si pagano, quando lo schiavo cerca di recidere le catene. Né si può obliare Craxi consulente per il Terzo Mondo di Perez de Cuellar, Segretario Generale dell’ONU. Gli consegnò una relazione che resterà memorabile a documentare gli squilibri fra il Nord e il Sud del mondo. E certi missini rabbiosi e ringhianti, abituati a pensare con i borborigmi delle budella, avvezzi a cercar la pagliuzza dimenticando le travi di casa propria, non devono scordare che Craxi fu l’artefice dell’abbattimento degli stazzi e paraninfo della intesa fra Cossiga e Fini.
A questo punto ci sarà il solito imbecille che penserà all’autore di queste povere note come ad un socialistoide. Io rispondo con Longanesi: «La mamma degli scemi è sempre incinta». Il fatto è che io sto scivolando sempre più verso l’indifferenza. Indifferenza intesa alla maniera di Giampiero Mughini ("A Via della Mercede c’era un razzista" - Rizzoli Editori, p. 18). Indifferenza come imparzialità, liberazione dai ceppi delle ideologie. Giudico per i fatti. E i fatti dicono che Craxi resterà nella storia di questa repubblica. Nel bene e nel male. A meno che non si voglia passare un colpo di spugna su sedici anni di vita italiana. Ma allora avremo un altro buco nella storia. Come quello che hanno tentato di praticare gli antifascisti di questa repubblica tangentocratica allorché vollero cessare il ventennio fascista. Se ciò avverrà, dovremo dare ragione a Vitaliano Brancati, che soleva ricordare con la sua sferzante causticità: «Ci sono due tipi di fascisti: i fascisti e gli antifascisti».

Vito Errico

 

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