da "AURORA" n° 6 (Maggio 1993)

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Dopo referendum

Renato Pallavidini

Il voto referendario del 18 aprile ed il successivo incarico di governo a Ciampi fanno sorgere due immediate considerazioni, una sul grado di avanzata riuscita della manovra mondialista per controllare e chiudere la crisi politica italiana, l'altra sul livello di totalitarismo tecnologico a cui siamo giunti.

La massiccia valanga di "SI" ai quesiti referendari è stata voluta soprattutto dagli ambienti capitalistici e conservatori internazionali, come dimostrano gli entusiasmi che essa ha suscitato presso i mercati valutari nei vertici confindustriali sulla stampa moderata anglosassone.

È stata una vittoria voluta e cercata da tempo da personaggi, quali Mario Segni, che per ottenerla si sono defilati tempestivamente dai vecchi partiti di appartenenza, coagulando attorno a loro uno schieramento trasversale, a tratti eterogeneo se non contraddittorio, ma sempre orientato abilmente verso una falsa meta di rinnovamento, in sintonia con gli interessi finanziari nazionali ed internazionali.

Noi l'avevamo visto e previsto in tempo, denunciando il carattere artificiale di questa crisi politica che s'innestava sulla necessità oggettiva di superare il vecchio sistema politico-istituzionale consociativo che serviva unicamente a bloccare l'espansione del movimento operaio socialcomunista e ad invischiarne nella gestione clientelare del potere i vertici più moderati e liberaldemocratici.

Ora, con la legge elettorale uninominale, le forze capitalistiche hanno a disposizione un ottimo strumento per escludere dal quadro istituzionale sia le forze antagonistiche, sia le vecchie consorterie partitocratiche, legate a costose ed anacronistiche clientele elettorali.

L'uninominale, sul lungo periodo, potrà selezionare una classe di governo all'americana, priva di radicamento nella società civile, legata unicamente al potere economico internazionale e alla necessità di funzionamento dei meccanismo capitalistico.

Le avvisaglie ci sono tutte. Ormai è solo un gran parlare di mercati finanziari, di rispetto dei vincoli posti dal FMI, di lira e di intangibilità dei BOT. Ai problemi salariali, occupazionali e sociali non ci pensa più nessuno!

È chiaro che il futuro governo Ciampi si inscrive in questa manovra. Sarà quel momento di transizione fra vecchio e nuovo sistema politico-istituzionale, che non ha saputo essere pienamente Amato, troppo condizionato dalle vecchie consorterie di partito in disfacimento.

Per quanto riguarda la seconda considerazione, essa è implicita negli orientamenti assunti dalla stampa e dai mezzi radio-televisivi prima e dopo il referendum.

Obbedendo ai loro padroni, iscritti alla Confindustria, giornali e TV hanno plagiato le coscienze dandoci un ulteriore saggio di come oggi si possa irreggimentare l'opinione pubblica in una logica perfettamente totalitaria senza dirlo, senza ammetterlo, senza darlo a vedere, ma, anzi, illudendo lettore e telespettatore sulla sua libertà d'espressione.

L'abbiamo vista la trasmissione di Biagi di domenica 18 aprile, con Amato e Martinazzoli?

L'abbiamo letto bene il titolo di testa di "la Repubblica" di quel giorno: «Si vota per l'Italia nuova». Roba non solo da querelare Scalfari, ma da metterlo, e non solo metaforicamente, ai lavori forzati in Siberia per tutto il resto della sua vita!

In questo contesto chi, ancora una volta, ci fa la figura del cretino è Occhetto, vera sponsorizzazione dell'aborto! Si, perché uno che lo vede e lo sente, potrebbe esclamare: «Ma perché non si poteva abortire legalmente 50 anni orsono! Tua madre avrebbe potuto risparmiarci tutti questi lutti!».

Non mi si fraintenda! Non è mia intenzione sostenere l'aborto, ma solo esprimere i sentimenti più profondi che provo al solo pensare a questo figuro che è stato chiaramente utilizzato da Segni, per poi essere scaricato con il fallimento della candidatura Napolitano, salvo poi venire bene come ruota di scorta del governo Ciampi.

Insomma, Occhetto, reduce da 50 anni, di opposizione, ha contribuito a creare le premesse istituzionali per altri 50 anni di opposizione.

Perché è difficile che l'uninominale possa consentire al PDS di raggiungere la maggioranza parlamentare; è più verosimile che costituisca il polo radical-democratico di opposizione costruttiva ad un governo formato dai trasversali, dai resti riciclati della DC e dagli ambienti tecnocratici direttamente legati alla Confindustria.

Come per dire: «ognuno si sceglie le corde con cui impiccarsi!». 

 

Renato Pallavidini

 

 

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