da "AURORA" n° 7 (Giugno 1993)

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Pubblica (d)istruzione

Francesco Moricca

Nel n° 2 di "Aurora" (anno V) due articoli di Ostidich e Benvenuti toccano l’argomento "Scuola" nella prospettiva politico-culturale dell’antagonismo. Un ulteriore passo in avanti per noi ai fini dell’approfondimento teorico della nostra strategia, vista l’importanza di questo settore, anzi la sua preminenza non solo per stabilire contatti coi giovani, ma per riparare nell’ambito scolastico i danni più gravi che il sistema vi ha deliberatamente provocato.
A quanti fra noi operano nella scuola, ci permettiamo di dare un suggerimento che valga da introduzione al discorso a cui ci accingiamo. Di stare, cioè, molto attenti a non cadere nella propaganda. Questo è un pericolo sempre in agguato, subdolo e, per esperienza personale, difficile a dominare. I giovani migliori sono giustamente diffidenti, la massa è o indifferente o portata a riflettere le posizioni correnti sulla politica, e in specie su un certo orientamento politico sia esso di destra che di sinistra. Soprattutto su di loro agisce con successo il clima da caccia all’untore diffuso intorno ai diversi, ai non integrati spiritualmente e materialmente.
In ogni caso e a prescindere da ogni altra considerazione, la migliore politica è quella dei princìpi. E il principio fondamentale è il rispetto della personalità dei giovani, che è stata fin troppo svilita e strumentalizzata che un ulteriore strumentalizzazione -sia pure animata dalle migliori intenzioni- è da escludersi categoricamente. Del resto, gli intenti missionari esulano dal vero orizzonte della destra, a maggior ragione quando il missionarismo può nascondere la fisima di voler conferire una uguaglianza di diritto a individui naturalmente e spiritualmente differenti, di voler elevare al medesimo livello di chi possiede qualità spirituali e non meramente intellettuali, chi non possiede le prime e a volte nemmeno le seconde. Occorre ricostruire, a cominciare dalla Scuola Elementare, il senso del Valore che è in pari tempo senso della Distanza e senso dell’Onore. Essi sono premessa ineludibile in ogni rapporto corretto fra gli uomini. Solo essi permettono una autentica immedesimazione nella condizione dell’altro individuo, una immedesimazione che non annulli la personalità nel collettivismo, ma del collettivo si serva per formarla e potenziarla, avendo come punto di riferimento non il collettivo stesso, ma una realtà ad esso esterna e trascendente, appunto un absolutum
Qui va ricercata la centralità della religione in qualsiasi campo dell’attività umana, e quindi a maggior ragione nell’attività educativa. Il cristianesimo medioevale e la sua pedagogia possono essere un modello per noi.
Evitare la propaganda, d’altra parte, significa proprio il contrario di mimetizzarsi. Significa essere se stessi fino in fondo e apertamente; non drammatizzare a fronte dell’ironia e della malvagità di cui siamo costantemente oggetto; dominare le nostre reazioni caratteriali affinché il pensiero debole non celebri nella nostra interiorità la sua vittoria come pensiero impazzito. E tutto ciò, senza nascondersi; senza nascondere nulla. Informare i giovani senza nulla tacere e rispondere con sincerità alle domande più imbarazzanti, non mascherando i propri punti deboli. Chi cerca di uniformarsi a questa linea di condotta, non può mancare di persuadere. 
E persuadere equivale a una forma superiore di propaganda: quella che batte in breccia il carattere mistificatorio occulto -alienante- della propaganda, di qualunque colore essa si tinga.

Riprendendo l’immagine del pensiero impazzito, si può dire che evochi specularmente quella del pensiero distruttore. Questo ha prodotto la scuola della diseducazione; l’altro, lo sconcerto di chi prende atto di questa abnorme realtà e può reagirvi adeguandosi scaltramente (come presso la gran parte del personale docente e direttivo), o rinchiudendosi nella sua turris eburnea, respingendo qualsiasi rapporto con l’esterno e soprattutto con la ragazzaglia scellerata, oppure abbandonandosi in sterili tentativi di recupero che sfociano sempre in risibile predicozzo edificante.
La proposta di una pedagogia dell’antagonismo non può prescindere dalla riproposizione del fondamento etico, non filosofico e tanto meno scientifico della pedagogia stessa. Occorre, cioè, far prevalere nel rapporto con l’allievo il momento etico (come postulato normativo di riappropriazzione dell’unità spirituale col maestro da ricostituirsi ex-nihilo) sul momento logico-metodologico (come premessa pseudo-scientifica dei cosiddetti contenuti da comunicare e dei modi come comunicarli ). Questo secondo momento, che dovrebbe essere qualificante di qualsiasi seria pedagogia, in effetti è stato impiegato dal sistema e dalla sua pretesa scienza dell’educazione al fine di distruggerne ogni fondamento etico, che è a valle politico e a monte metafisico se non proprio religioso, e che era ancora preminente, a dispetto di tutti gli aggiustamenti storicistici, nella vecchia scuola di impianto idealistico quale era stata delineata da Croce ed edificata nella forma definitiva da Gentile. E giustamente osserva Benvenuti che i giovani degli anni ’60 usciti da quella Scuola potevano «affrontare autonomamente la realtà che li circondava», sottoponendo a critica e l’una e l’altra con argomenti non peregrini, ma soprattutto su basi etico-politiche. Che si siano commessi errori madornali e altresì imperdonabili, non esclude però che i punti di partenza fossero teoreticamente corretti, e non per caso o per uno speciale favore celeste.
La pedagogia del sistema, che verrà imponendosi dopo il ’68 anche grazie alla strumentalizzazione della Contestazione studentesca, fa piazza pulita d’ogni trascorso idealistico. Marxismo e pragmatismo accademico di ispirazione americana si alleano di fatto (connivente il cattolicesimo conciliare che ha in Misasi il suo braccio secolare) onde ridurre l’istruzione scolastica a mera funzione dell’economia. La tolleranza e persino l'incoraggiamento della libertà di pensiero e di critica, fuori e all’interno della scuola, vengono a configurarsi come una forma di repressione assai più efficace di quella praticata in passato, come assai presto ebbe ad accorgersi lo stesso Marcuse. Per un altro verso, la liberazione del principio del piacere o piuttosto il rilassamento della morale sessuale auspicati proprio da Marcuse (in polemica col puritano Freud) quali strumenti e fini ultimi di ciò che per lui sarebbero palingenesi e rivoluzione, preparano il trionfo dell’edonismo comunista dell’epoca successiva che giunge ai giorni nostri.
Più in dettaglio, la pedagogia del sistema, parodistica quanto raffinata riproposizione dell’idea roussoiana di «educazione naturale come educazione negativa», in un primo momento, nel corso degli anni ’60-’70, distrugge l’aspetto formativo (linguistico-matematico e cioè letterario-speculativo) dell’educazione tradizionale di tipo umanistico, a tutto vantaggio di una educazione moderna tutta incentrata sull’acquisizione di più o meno precisate abilità tecnico-operative. Sicché la matematica che viene insegnata nella scuola di ogni ordine e grado è sempre più di una disciplina applicata (nel senso della computeristica) che non una disciplina pura, la fisica tende a confondersi con la filosofia e quest’ultima con la politica e con la cosiddetta sociologia. Successivamente, e siamo negli anni ’80-’90, si passa alla seconda fase della distruzione: quella che ha come oggetto l’aspetto informativo dell’educazione, vale a dire il bagaglio di abilità tecnico-operative che prima si ritenevano indispensabili a collegare la scuola al mondo del lavoro, sia quello manuale che quello intellettuale. Siamo nell’epoca della informazione di massa e la Scuola deve essere letteralmente scuola di ignoranza, perché la macchina è programmata da pochi, anzi da pochissimi, essa pensa da sola ed è disturbata dalla presenza del cervello umano. Si vuole, in altri termini, imbestialire l’uomo per farne una semplice e disanimata appendice della macchina.
Quando nella scuola entra il computer -con un giro d’affari che per un certo periodo tangentizza gli organi di governo dell’istituzione-, tutte le altre attività vengono impercettibilmente ma costantemente sacrificate, e molto più di quanto non parrebbe considerando le ore dedicate allo studio della nuova materia e alle esercitazioni. 
Le discipline che non a caso vengono più penalizzate sono le materie umanistiche e la matematica. Lo studente italiano medio non solo è incapace leggere un’opera moderna (non parliamo dei classici) persino talvolta a livello lessicale, ma è altresì incapace di ragionare in termini matematici se non calcolare senza l’ausilio della macchina.
Che dunque gli studenti siano ignoranti, poco o per nulla partecipi, irraggiungibili come le stelle della più lontana galassia, assenteisti come gli adulti, non è da stupirsi. Li si vuole educare ad essere armento, e si continua a concepire la scuola come area di parcheggio.
Mutatis mutandis, il discorso è più o meno lo stesso per il corpo docente, che si è voluto femminilizzare non solo nel senso letterale del termine. Esso è demotivato, fra l’altro, perché con ogni artifizio gli si impedisce di fare il suo lavoro attraverso una sempre più snervante burocratizzazione.
Questa scuola è così ridotta a mero centro di addestramento. Come centro di indottrinamento, ci regala iniziative culturali del tipo di quelle segnalate da Ostidich. Quando non siano così smaccatamente strumentali e tese a fomentare nei giovani un razzismo alla rovescia nei confronti dei nazifascisti, esse sono comunque di intralcio al normale svolgimento dei Programmi ministeriali, il quale è essenziale per acquisire gli strumenti concettuali necessari a rendere costruttiva non solo l’attività extracurriculare, ma anche ogni altra attività culturale che si svolge fuori dalle mura scolastiche, e sempre ammesso che ve ne siano che meritino tal nome. Ma che si svolgano i programmi non interessa più a nessuno, né ai dirigenti dell’istituzione né ai genitori. Non si saprebbe dire quale dei due comportamenti sia più condannabile.
Essenziale è invece, per la pedagogia del sistema e per i suoi esecutori ministeriali, che i giovani non si affatichino. Rousseau era però di opinione contraria sebbene su posizioni naturalistiche ed eudemonistiche; come, sul fronte opposto, lo era il Vico, secondo il quale bisognava forzare lo spirito e, come raccontava Platone, la memoria. Ora invece la scuola deve fornire, prima di tutto, ogni genere di conforto, persino il profilattico come fondamentale ausilio didattico dell’educazione sessuale e sanitaria. Lo sforzo in funzione della crescita non è bandito solo dall’orizzonte spirituale, ma anche da quello fisico della gioventù; a meno che non si pretenda di vedere una pedagogia dello sforzo nell’attuale elefantiaco sviluppo delle attività motorie e cosiddette sportive. Le quali hanno senso altamente educativo se servono a potenziare il corpo in armonia con la mente. Ma sono assolutamente deleterie in assenza di un sano sviluppo mentale e quando vengano praticate -secondo il modello dell’homo americanus statunitensis- allo scopo di impedirlo.
Venendo alle attività extracurriculari che interessano Ostidich, è il caso di ricordare (oltre al famigerato Messaggio di cui nel Suo articolo e che, fino al 18 marzo ’93, non è ancora pervenuto presso l’ITG di Lamezia Terme) la Circolare con cui, agli inizi dell’anno scolastico, la signora Jervolino raccomandava di tenere nelle scuole italiane un’assemblea il 16 ottobre, per ricordare l’anniversario della deportazione degli ebrei dal ghetto di Roma. Vale la pena riportare la seguente dichiarazione rilasciata dalla signora Jervolino alla signora Tullia Zevi, Presidente delle Comunità israelitiche italiane, dichiarazione che traggo dalla "Repubblica" dell’11 novembre 1992.
«Mi chiedo che ne è stato della Circolare in cui chiedevo a tutte le scuole italiane di tenere un’assemblea il 16 ottobre nell’anniversario della deportazione degli ebrei dal ghetto di Roma. Sa cosa mi ha rimproverato ieri, a Monza, un ragazzo? Che a scuola non si parla di cultura ebraica. Probabilmente la stessa cosa è successa il 4 novembre, quando ho chiesto di far vedere a tutti gli studenti italiani una videocassetta realizzata dal Ministero della Difesa sulle Fosse Ardeatine. Mi chiedo in quanti l’hanno vista».
A parte il fatto che la signora Jervolino si chiede troppe cose, come la signora Zevi non avrà mancato di notare, viene da domandarsi quale sarebbe stato il suo imbarazzo con l’allievo di Monza se, poniamo, fosse a suo tempo passata in parlamento la proposta di abolire lo studio della Storia antica perché inattuale, proposta che fu avanzata da un Ministro della Pubblica Istruzione democristiano e di sesso femminile. Comunque, alla signora farebbe certo piacere che la sua Circolare non sia stata disattesa dall’ITG di Lamezia Terme, dove agli inizi del corrente anno scolastico si è tenuta un’assemblea sul tema razzismo e antisemitismo. Meno piacere farebbe a Lei e alla signora Zevi l’esito di detta assemblea, che si è svolta nel più totale disinteresse della maggior parte del corpo docente e dei giovani. Per la verità, il collega Francesco Mastroianni rinunciò al suo giorno libero per parteciparvi, ma fu costretto ad interrompere il suo documentato e sereno intervento per non tediare l’uditorio 
Sappiano ad ogni modo le signore Jervolino e Zevi che presso l’ITG di Lamezia Terme vi sono alcuni insegnanti che non tralasciano di informare (senza alcun intento bassamente propagandistico) i propri alunni non solo sulla cultura ebraica, di cui non minimizzano né enfatizzano la portata storica, ma altresì sulla questione ebraica in tutti suoi aspetti, anche su quelli su cui abitualmente si sorvola per ignoranza non meno che per prudenza.
Sulla base della citata dichiarazione della sig.ra Jervolino e delle nostre personali opinioni, siamo indotti a credere che certi grossolani tentativi di strumentalizzazione della scuola, da parte dei Ministri della Pubblica Istruzione nonché di Capi di Governo, siano da non prendersi in molta considerazione.
Ma ciò non può rallegrarci. La sua battaglia, il sionismo e i suoi accoliti la hanno già vinta avendo trasformato la Scuola italiana in scuola di ignoranza e di disumanizzazione.
E però non canti vittoria. Perché i vinti sono vinti veramente solo quando si dichiarano tali. I muri del pianto non sono ancora di casa nel nostro Paese. E ci auguriamo che non lo siano mai.

Francesco Moricca

 

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