da "AURORA" n° 9 (Settembre 1993)

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Della serie: il nuovo che avanza

Sebastiano Messina & Alberto Ostidich


Eppure il fatto era accaduto in pieno giorno, e in pieno centro a Roma. E di mezzo ci stavano non pochi beniamini del pubblico elettorato, con tanto di vedettes della ribalta politica là allineati nel proscenio del Grand Hotel Excelsior.
La faccenda sembrava insomma meritare un certo interesse, per l'italica gente. Ed invece, il "Corsera" ne aveva dato un resoconto breve ed asciutto, in stile inglese. E se "Repubblica", mossa da maggiore generosità, aveva dedicato alla cosa un servizio nelle pagine interne, "La Stampa" dell'Avvocato s'era affidata ad un anonimo trafiletto, mentre "l'Indipendente" del fiero Feltri il contesto della notizia l'aveva del tutto ignorato. Vorremmo sbagliarci, ma l'eccesso di discrezione mass mediale non era dovuta a scarsa professionalità. Pensiamo piuttosto che i membri del Quarto Potere non abbiano le idee abbastanza chiare (viviamo o no, tutti, in una fase di transizione?) sulle notizie notiziabili e quelle che non lo sono. Sarebbe dunque ingiusto attribuire colpe ed omissioni ai soli giornalisti. Che tengono anch'essi famiglia, come tutti, o quasi.
Quali che siano le cause delle sobrietà divulgative intorno all'elegante briefing, svoltosi nell'albergo della Capitale mercoledì 14 luglio, tra managers delle multinazionali e politici emergenti di casa nostra -che di questo stiamo parlando!- ci pare però che i paladini dell'opinione avrebbero comunque dovuto essere un po' meno zelanti e più intraprendenti...
Nel piatto deserto informativo, spicca dunque quel Sebastiano Messina che il 15.7.93, su "Repubblica", è il solo -o quasi- ad accompagnare noi lettori lungo i saloni di quel celebre e prestigioso Grand Hotel romano dove si trovavano, invitati e convocati alcuni tra i più bei nomi del nuovo modo di far politica.
L'escursione guidata, è quanto mai interessante. Al punto che "Aurora" apre le proprie pagine a questo straordinario collaboratore, riportando quasi integralmente il di lui articolo apparso a pag. l3 del quotidiano scalfariano. 
Tale apertura non è -per la verità- priva di tornaconto: in quella pagina 13 troviamo molte significative conferme a tesi da noi avanzate, qui su queste stesse pagine. Tesi che non di rado -e lo ricordiamo, una tantum con un briciolo di autocompiacimento!- hanno preceduto paludate analisi altrui, frutto di ben più qualificati (ed autorizzati) commentari politologici.
Ma, onde non indulgere in narcisistiche celebrazioni, diamo subito spazio all'inconsapevole Sebastiano Messina. 
Per i nostri lettori -ne siamo certi- tale spazio non risulterà sprecato
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«Ascoltando i politici che teorizzano del nuovo e del futuro, della destra e della sinistra, di quel che c'era e di quel che non ci sarà. Ma sottovoce, davanti al caffè, rivelano che sotto le loro grisaglie, sotto i loro tasmanian blu, batte il cuore dell'uomo d'affari. E i loro sguardi si accendono alle parole-chiave: "marco", "utile netto", "svalutazione", "attivo circolante"...
Sono gli amministratori delegati delle multinazionali, gli analisti delle banche svizzere e americane, i maghi dei bilanci consolidati, arrivati nella hall dell'hotel Excelsior per la tavola rotonda organizzata da "Business International" con il governo italiano. L'albergo (...) pullula di managers da tre milioni al giorno, tutti serissimi, tutti impeccabili, tutti con l'agenda in testa. Sui loro biglietti da visita ci sono i nomi della Nestlè e della Colgate, dell'Arthur Andersen e della Lehman Brothers, della Procter & Gamble e della Star, cioè gli uomini per i quali noi non siamo né elettori né cittadini: siamo solo numeri e consumatori. 
Gente concreta, che non ama i fronzoli, che nella sua maggioranza non ritiene il nostro paese credibile e ne dà la colpa proprio ai politici, accusandoli innanzi tutto -lo dice un sondaggio- più che della corruzione, dell'inaffidabilità, «della mancata realizzazione dei programmi dichiarati». Sono qui per ascoltare informazioni di prima mano dai ministri in carica, ma anche dai possibili leaders di domani. 
Che vinca Segni o Bossi, Occhetto o Orlando, loro vogliono sentire cosa dicono e come lo dicono (...).
Il primo politico della giornata è il Ministro dei lavori pubblici, Francesco Merloni. Parte in quarta annunciando un taglio di mille miliardi al bilancio (...) ma si incaglia sulla domanda di un amministratore delegato che vuole sapere perché non ha ancora firmato il decreto sull'isolamento termico nonostante la legge lo obbligasse da tempo ad emanare quel regolamento. E senza inventarsi una scusa, dice la verità: «Mi sono accorto, ed è stata una cosa sconcertante, che in Italia i termini perentori sono validi per il cittadino e non per lo Stato. Cercherò di riparare...».
Arriva un altro ministro: è Giovanni Conso, il Guardasigilli. Dal fondo della sala fanno segno al moderatore che il tempo di Merloni è finito. 
Conso, educatamente, aspetta fuori dalla porta. «Non disturbo?» «La prego, ministro, ci mancherebbe». Dal titolare della Giustizia i managers vorrebbero sapere quando si calmeranno le acque di Tangentopoli, ma non possono chiederglielo così e quindi gli hanno indicato un tema più generale: «La giustizia e i suoi riflessi sull'economia». 
Invece di parlare del dopo-Di Pietro, però, Conso rovescia sulla platea una accurata analisi dell'economia giudiziaria. Parla delle centomila famiglie degli operatori della giustizia che «danno vitalità all'economia», racconta di preture e tribunali soppressi. 
Sulle facce deluse di chi si aspettava ben altro, si accende un sorriso solo quando il ministro promette di applicare il sistema scolastico anche alle aule giudiziarie (...).
All'ora di pranzo, silenziosi i capitani di industria si trasferiscono al ristorante. Il menù promette prosciutto di cinghiale e filetto di manzo alla senape, ma il piatto forte viene dalla Sardegna e si chiama Mario Segni. 
Accolto come l'ospite d'onore, il leader di Alleanza Democratica pranza con un manager dell'Economist, il presidente della Texas Instruments Europe, l'amministratore delegato della Bayer, il finanziere Mario D'Urso, il Chairman di Business International e un banchiere del Credit Suisse.
All'uomo del referendum fanno tutti la stessa domanda: «Quanto tempo passerà prima che l'Italia esca dalla crisi, prima che finisca la tempesta?» Segni dapprima prova ad allargare le braccia e a cavarsela con la battuta della torre di Pisa che non cade mai, ma poi si rende conto che loro si aspettano una risposta, una qualsiasi risposta, e gliela dà: «Sono un convinto ottimista. L'Italia ha tutte le possibilità di farcela (...) ma certo non si risolveranno tutti i problemi dell'Italia se lo Stato non riacquista il diritto di licenziare i fannulloni!» 
La sala, fino a quel momento dominata dal silenzio rotto solo dal tintinnio dei cucchiaini alle prese col sorbetto, esplode in un applauso dal significato inequivocabile.
Col caffè appare anche Leoluca Orlando, in anticipo sul programma (...) E dopo di lui, ecco il ministro Spaventa che i giornalisti hanno ribattezzato il dobermann
L'uditorio non si perderà una sola parola e lo saluterà calorosamente (ecc...).
Segue il resoconto di altri interventi: dell'ex-ministro Marino, del leghista Staglieno, colà precettato al posto di Bossi, di Petruccioli in rappresentanza di Occhetto. 
A chiusura, le dichiarazioni di un paio di esponenti della finanza internazionale, fra ammonimenti e incitamenti a proseguire sulla strada maestra delle riforme.

Da quanto riportato nel brillante articolo di Sebastiano Messina non sarà difficile, noi crediamo, trovarvi motivi di rafforzamento della nostra opposizione: opposizione a quello che si sta muovendo dietro le quinte del cosiddetto rinnovamento; e trovarvi anche -già lo si diceva- una, seppur involontaria, testimonianza di quanto noi antagonisti andiamo da tempo dicendo e scrivendo sui dintorni di Tangentopoli, sui lati oscuri delle privatizzazioni, sulle malfamate periferie delle nuove alleanze trasversali.

Al "filetto doc" di Sebastiano Messina potrebbero fare da contorno altre due notizie.
La prima, a firma di Lucia Annunziata ("Corsera" del 18.7.93), ha per titolo «Dagli USA il nuovo ambasciatore. Viva l'Italia che cambia: vanno bene anche Lega e PDS». Da questo pezzo ricaviamo che durante il party più esclusivo di Washington in onore di Reginald Bartholomew -uno del settimo piano dove sono, nel Dipartimento di Stato Americano, gli uffici di chi conta davvero- è stato detto a noi italiani: «dovete essere molto contenti che venga lui in Italia; vuol dire che il vostro Paese è ritornato ad essere importante». Nel senso che, per gli Americani, il crollo del Muro non ha sminuito l'interesse per la nostra (?) Penisola, vista dalla nuova Amministrazione statunitense, come Terra di Frontiera in rapporto al triangolo Balcani - Nord Africa - Medio Oriente. 
Annunziata aggiunge che Bartholomew è consapevole di venire a gestire un'epoca nuova delle relazioni internazionali, tant'è che -bontà sua- si è sentito in diritto-dovere di dichiarare: «Io andrò a dire agli italiani che qualunque governo ci presenteranno, per noi è OK».
L'altra notizia di contorno è rappresentata dalla spropositata reazione di giornali e TV al suicidio di Gabriele Cagliari: tutte reazioni improntate a denunciare il «dramma della detenzione» di 4 mesi dell'ex-presidente dell'ENI, ad invocare garantismi e contromisure ai metodi di "mani pulite". 
Quella morte violenta merita, certo, rispetto. 
Non si può invece essere indulgenti verso l'ipocrisia ufficiale, verso le subdole manovre di chi, mascherato di pietà e di pubblico sdegno, si cela in difesa di un sistema corrotto e corruttore, di cui G. Cagliari era uno degli esponenti più rappresentativi. 
Alle strumentali reazioni del mondo politico-giornalistico-affaristico che ha gridato allo scandalo degli arresti facili, fanno eco le preoccupazioni espresse dal governatore della Banca d'Italia, Fazio, nonché quelle dei più alti papaveri del mondo economico-imprenditoriale sugli effetti distorsivi dell'inchiesta sui tangentocrati, la quale -secondo costoro- avrebbe già bloccato lavori ed investimenti per migliaia di miliardi e causato la perdita di migliaia di posti di lavoro...
Tre notizie, tre pezzi. 
Tre tessere in un mosaico il cui disegno egemonico appare sempre più evidente. 

Sebastiano Messina & Alberto Ostidich

 

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