da "AURORA" n° 9 (Settembre 1993)

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«Arrestate» il sen. Miglio!

Renato Pallavidini

Leggiamo su "Repubblica" del 24 agosto che il senatore prof. Miglio ha definito i meridionali «europei di periferia». Sulla "Stampa" del giorno prima si riportano affermazioni ancora più precise, che lasciano trasparire la reale collocazione ideologica di questo presuntuoso intellettuale di periferia, spacciato da alcuni per un rivoluzionario. Miglio sosterebbe che i meridionali all'idea del negotium, che a suo giudizio contradistinguerebbe il settentrionale preferiscono l'idea dell'otium
Quest'ultima dichiarazione non può dare adito a dubbi su quali siano i modelli di società, gli schemi economici e i valori di vita cari al pelatone. Il negotium indica lo spirito imprenditoriale, economicistico, affaristico delle borghesie, di cui Miglio si fa assertore con una coerenza lineare che nella storia italiana non avevamo mai più visto dai tempi della Destra storica e di Quintino Sella. Su questa linea il nuovo pelatone della politica italiana (il vecchio era tutt'altra cosa! veniva dal mondo popolare e socialista di cui fu in gioventù uno dei più amati e capaci dirigenti!), s'inserisce armoniosamente nella tradizione nordica, svizzera e inglese, del calvinismo e del liberalismo sei-settecentesco di Voltaire. Una tradizione che ci fa ribrezzo, e con la quale non abbiamo nulla a che spartire; così come non molti rapporti intrattiene col mondo comunista più autentico e più fedele alla tradizione cominternista e leninista.
Se fossimo costretti a scegliere fra il negotium nordico e calvinista, e l'otium meridionale, sceglieremmo quest'ultimo. L'otium nel pensiero di Rosseau e di Schiller, conformemente ad una tradizione aristocratica che affonda le sue radici nel paganesimo più antico, non è, come nella sua ignoranza crede il nuovo pelatone, inerzia e apatia, ma impegno conforme ai propri interessi; attività libera, disinteressata, estranea ai vincoli sociali del lavoro produttivo e dell'economia. L'otium è lo studio botanico dell'ultimo Rosseau; il gioco di Schiller; è l'attività contemplativa di Platone; ma anche esercizio agonistico degli eroi omerici in occasione dei funerali di Patroclo; è l'impegno spirituale e comunitario del sacerdote cattolico o pagano; è l'arte di Leonardo. L'otium è dunque un'attività vera, in cui si esprime il meglio della propria personalità, e che si apre altruisticamente al di fuori di sé, in una dinamica che può portare al servizio sociale gratuito in nome del superiore interesse della comunità nazionale. 
Questo otium, così definito, prescinde completamente dal binomio lavoro-consumo, impegno produttivo interessato-ricerca del piacere personale che impregna la cultura del liberalismo borghese, per cui, come non lo potevano capire Voltaire e Diderot nei confronti di Rosseau, non lo può capire il senatore Miglio e gli industriali evasori fiscali che lo votano.
Al di là di queste considerazioni di carattere filosofico, sulle gravi dichiarazioni di questo vero e proprio provocatore e servo del padronato liberista, noi vogliamo avanzare tre riflessioni di carattere più squisitamente politico.
In primo luogo Miglio ci rivela quale è il pericolo più grave che attraversa la scena politica, e direi l'intera storia italiana in questa fase. Questo pericolo è la creazione in tempi brevi, in tutto il Nord Italia, di un regime autoritario e liberista che, concorrendo con altri fattori di carattere internazionale, denunciati da M. Del Monte sul numero di luglio di "Orion", conduca alla dissoluzione federalista dello Stato Nazionale. Che cosa possa succedere in città come Torino e Milano, piene di ex-immigrati meridionali è meglio non immaginarlo, visti poi i dirigenti che le governerebbero (Miglio, Farassino, Formentini, etc.). 
Di fronte ad una simile tragedia non è sufficiente analizzare, prevedere, stare a guardare, magari con un po' di compiacimento etnocentrico, occorre fare una scelta di campo fornendo a tutto il nostro ambiente le necessarie indicazioni politiche ed anche elettorali. 
Su questo piano noi non abbiamo dubbi. Al di là di tutte le ristrutturazione del Sistema tutt'ora in corso, c'è un problema più radicale che ci vede impegnati sentimentalmente e politicamente; la difesa dell'unità nazionale, il rifiuto del federalismo, e la denuncia della Lega Nord in ogni sua espressione. 
Noi difendiamo l'unità nazionale non per un vecchio e logoro sentimento di patriottismo; la difendiamo nel senso in cui l'ha valorizzata l'ancora socialista Benito Mussolini nel 1914/1915, e in cui -paradosso forse non molto strano- l'ha difesa Palmiro Togliatti nel 1944. 
L'unità nazionale è l'occasione di incontro e di mobilitazione unitaria fra le masse lavoratrici e popolari del paese; Napoli con Torino, disoccupati del Sud con occupati e cassintegrati del Nord, impiegati pubblici e privati con gli operai, tutti potenzialmente uniti per la trasformazione socialista della società e dello Stato. 
Per difendere questo sfondo siamo disposti a tutto, anche a votare al Nord candidati pidiessini o pattisti, turandoci il naso, pur di contribuire a spazzare via gentaglia come Miglio e Formentini. 
Va detto chiaramente che, al di sopra di ogni giudizio politico, tutto è meglio rispetto a questa melma leghista che vuole consegnare l' intera economia pubblica del Nord ai gruppi privati. 
Il peggio della storia italiana è la Lega.
In secondo luogo, per bloccare Miglio, la Lega e tutti gli intrighi imperialistici, denunciati da Del Monte, contro l'unità nazionale, ma anche per impedire che essa venga salvata da un blocco sociale e politico moderato, capeggiato da Segni o dai successori di La Malfa, è necessario che riprendano in tutte le città italiane le lotte sociali ed operaie. Devono svilupparsi ampie, per dimensione territoriale, unitarie, per estensione sociale, aggressive e potenti, al fine di difendere l'esistente; dal posto di lavoro, ai servizi pubblici, all'unità dello Stato nazionale, e di porre le basi per una reale svolta sociale e politica che travolga la falsa protesta borghese e liberista della Lega Nord.
I lavoratori sono stati sempre lo zoccolo duro della resistenza della società italiana alle più oscure trame reazionarie. Lo sono stati negli anni delle bombe e dei tentati golpe; lo devono essere anche oggi che si sta giocando una partita ancora più pericolosa e gravida di tragiche conseguenze.
In terzo luogo, di fronte al razzismo manifesto di Miglio verso genti e regioni dello stesso suo popolo, non si vede per quale motivo non si possano applicare contro di lui le recenti leggi antirazziste (alle quali noi, in linea di principio, siamo contrari, perché pretestuose e spesso lesive della libertà di pensiero) ma nel caso di Miglio, il reato esiste, ed è gravissimo, perché qui non si offendono popoli stranieri, ma parte del nostro stesso popolo, la parte; più debole e offesa dallo sviluppo capitalistico italiano. 
Allora perché arrestare platealmente Freda, per puri reati d'opinione, quali l'aver partecipato in suolo privato ad un rito religioso pagano, e non chiedere l'autorizzazione a procedere per il senatore Miglio? Insomma dopo tante triviali provocazioni, crediamo sia giunto il momento di "arrestare" Miglio in ogni senso.

Renato Pallavidini

 

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