da "AURORA" n° 13 (Gennaio 1994)

*   *   *

Tratto da "Masas" n° 55 - Guillermo Lora

La conquista:

saccheggio, schiavitù, oppressione e morte

Ermanno Massari (trad.)

 

L’America doveva essere scoperta prima o poi, per favorire un maggior sviluppo dell’Europa a costo della schiavitù dei nativi, della violenza e del saccheggio esercitati su loro. Se pensiamo che rispose ad una necessità storica dobbiamo concludere che è inutile domandarsi se ciò rispondesse ad una benedizione o a una maledizione.
M. Bustamante Morales, commenta il libro "Dio e l’oro delle Indie" del sacerdote Gustavo Gutiérrez, sulla vita e "difesa" di Fra Bartolomè de las Casas, che contiene importanti documenti che provano come la croce servì da impunità alla spada, alla brutalità e alla cupidigia dei conquistatori.
Nessuno può negare che continuiamo a sopportare le conseguenze del lavoro distruttore degli Spagnoli, del disprezzo con cui trattarono la popolazione nativa per sfruttarla senza misericordia partendo dalla tesi che essa non era composta da esseri umani, bensì da bestie. Già Cristoforo Colombo in una lettera diretta ai re di Spagna, parlando degli indigeni, diceva: «Non hanno armi, sono nudi, molto vigliacchi e così buoni per comandarli, farli lavorare, seminare e tutto ciò che sia necessario».
Il viceré Toledo, fedele espressione di cupidigia e crudeltà dei conquistatori, scrisse in una lettera diretta a Filippo II: «Presupposto il reale dominio che Vostra Maestà ha su queste terre, converrebbe al buon governo, che Vostra Maestà le desse o le ripartisse temporalmente o perpetuamente agli Spagnoli, senza gli scrupoli che finora si stanno pian piano affermando che questi Incas sono legittimi Re e Signori naturali. Essendo tutto ciò falso come è dimostrato». Bartolomè de las Casas e altri, invece, sostenevano che gli Incas erano sovrani delle terre e delle ricchezze di Tahiantinsuyo.
Si è preteso giustificare il saccheggio della terra e delle sue ricchezze con l’argomento della inferiorità degli indigeni come è dimostrato nella menzionata lettera del viceré Toledo: «E perciò che ho detto a Vostra Maestà che per diventare cristiani (gli indigeni) hanno prima bisogno di essere uomini e che si imponga loro il governo e un modo di vivere politico e ragionevole».
Gli Spagnoli riuscirono a coinvolgere Dio nella loro vorace rapina. Nel giudizio di Yucay si legge: «Buone son le miniere fra quei barbari. Quindi Dio le ha date loro per portar loro la fede, la cristianità e la conservazione in essa per la loro salvezza».
Sulla testardaggine degli indigeni, che si lasciavano ammazzare piuttosto che rivelare l’ubicazione delle miniere: «E così fanno gli indigeni che preferiscono la morte piuttosto che rivelarne l'ubicazione. Il demonio, tramite quest'uomo (Las Casas), disse agli indigeni che nascondessero le miniere e i tesori perché sarebbero andati all'inferno se le lavoravano. (...) Sa bene il demonio che questo è un mezzo efficace di salvarsi». La sintesi del parere di Yucay: «Senza oro non c’è Dio e dove ci sono le miniere c’è il vangelo».
Nel commento di padre Gutiérrez: «Quello che Gesù chiamava "sterco del diavolo" si è trasformato per mano degli Spagnoli in qualcosa di santo, e già non è pericolo adorare Dio e le ricchezze».
Durante la repubblica il primo a smascherare senza pietà gli Spagnoli, fu il peruviano Juan Espinosa, a cui piaceva farsi chiamare "un soldato" o "antico soldato dell'esercito delle Ande". Nel "Vocabolario Repubblicano" o "Vocabolario del Popolo Peruviano", pubblicato a Lima nel 1855 ha scritto: 
«L’indigeno peruviano, conquistato dagli Spagnoli, era più civile, più morale, meno fanatico e meglio governato dei suoi conquistatori; professava il culto più puro che abbia conosciuto alcun popolo prima del cristianesimo, compresi quelli che arrivarono alla più alta civilizzazione».
«Era più civilizzato: se civiltà consiste in buone abitudini, nel vivere ordinato da leggi e precetti imposti per il bene di tutti, nel rispettare giurisdizioni e nel non essere violenti, sotto un regime tanto regolare, come fosse una religione, al rispetto dei diritti altrui; il Peruviano era più civilizzato dei suoi conquistatori, che tutto calpestavano in america-latina, mentre erano soggetti, in Spagna, al dominio di monarchie assolute, di ministri arbitrari, di insolenti favoritismi e dove si dimenticavano gli eminenti servizi di uomini così grandi come Colombo e Cortes, fino a farli sbarcare con ceppi o lasciarli nella miseria: loro che avevano donato un continente ai Re di Castiglia e Aragona, scoperto per il loro sublime ingegno, conquistato per il loro eroico sforzo».
«Il Peruviano era più morale; e non siamo noi a dirlo, lo dice uno Spagnolo che è stato uno dei conquistatori e ha conosciuto gli indigeni in tutta la loro purezza prima che essi fossero corrotti in nome dell’immacolato agnello». 
(E qui Espinosa cita la testimonianza del conquistatore Spagnolo Sierra Lejana, consegnata a Cuzco il 15 settembre del 1589 a Padre Antonio Calancha dell'ordine degli eremiti di San Agostino, che a sua volta l'ha riprodotta in una cronaca d'epoca). È una testimonianza da non scartare:
«Prima di cominciare il mio testamento dichiaro: che molto io ho sempre rispettato la Cattolica Maestà del Re Don Filippo, nostro Signore, vedendo quanto fosse Cattolico Cristiano, e devoto servo di Dio Nostro Signore, per ciò che tocca alla liberazione della mia anima a causa di essere stato parte della scoperta, conquista e civilizzazione di quei regni, quando li prendemmo ai Signori Incas che li possedevano e governavano come fossero propri, e li mettemmo sotto controllo reale. Capisca sua Maestà che questi Incas governavano in maniera tale che fra tutti loro non c'era un solo ladro, né un solo vizioso, né uomo fannullone, né una donna adultera, né cattiva, né c'era tra di loro gente immorale; gli uomini avevano le loro occupazioni oneste e benefiche e che i monti, le miniere, i prati, le case, il legno e tutte le ricchezze erano governate e spartite in maniera che ognuno conosceva e teneva la sua azienda senza che alcun altro la occupasse o la prendesse, se sorgeva qualche disputa; le guerre, benché fossero molte, non impedivano il commercio, né il lavoro, né la coltivazione delle terre e nessun altra cosa; e che lo stesso erano i governatori e i capitani: e che come in questi incontrammo la forza, il comando e la resistenza. Per poterli fermare e opprimere al servizio di Nostro Signore, togliergli le loro terre e metterli sotto la Reale Corona, fu necessario togliergli comando e beni come effettivamente li togliemmo con la forza delle armi, e che grazie a Dio Nostro Signore ci è stato possibile sottomettere quel regno di tanta gente, ricchezze e di signori, trasformandoli in servi, tanto schiavi come si vede ...».

 

Ermanno Massari (trad.)

 

 

articolo precedente indice n° 13 articolo successivo