da "AURORA" n° 13 (Gennaio 1994)

*   *   *

Tagikistan: guerriglia islamica contro il mondialismo

Claudio Mutti

Pochi mesi fa, l'attacco di un gruppo di mugiahidin afghani e tagiki ad un posto di frontiera tra il Tagikistan e l'Afghanistan, conclusosi con un totale di centodieci morti, ha imposto all'attenzione mondiale una delle tante guerre dimenticate. E questo non per il centinaio di morti (una cifra trascurabile a paragone delle sessantamila vittime del genocidio tagiko), ma per la rabbiosa reazione di Eltsin, che ha ordinato al ministro della difesa di rispondere alle «azioni di banditismo» in Tagikistan e per lo spettro di un nuovo "Vietnam russo".
Con una popolazione che sfiora i sei milioni di abitanti e un tasso di incremento demografico che è il più alto di tutti i territori ex-sovietici, il Tagikistan occupa una posizione chiave nell'Asia centrale, incastrato com'è tra Uzbekistan, Kirghisia, Cina, Pakistan e Afghanistan, dove vivono altri quattro milioni di Tagiki. Dichiaratosi indipendente nell'agosto del 1990, il Tagikistan ha visto sorgere entro le proprie frontiere, un anno più tardi, la più numerosa tra le filiazioni regionali del partito della Rinascita Islamica, il movimento che nelle zone musulmane dell'ex-URSS si batte in nome dell'Islam contro il disegno di colonizzazione mondialista appoggiato dalle nomenclature locali.
In Tagikistan la burocrazia locale ha potuto godere di una vasta rete di solidarietà e di complicità internazionali: gli Stati Uniti, il governo di Mosca e alcuni circoli sionisti hanno individuato nell'integralismo islamico il nemico numero uno ed hanno sostenuto in vari modi il governo di Dushanbé e le bande mercenarie che esso ha inviato in tutto il paese a compiere massacri e a terrorizzare la popolazione.
L'ambasciatore statunitense a Dushanbé -secondo quanto ci ha riferito un comandante dei mugiahidin che abbiamo incontrato a Mosca, dove un migliaio di profughi tagiki vive in clandestinità- visitò più volte le basi delle bande armate antislamiche ed ebbe numerosi colloqui, segreti e palesi, con il loro capo Sangak Safarov. Costui, che su "Il Sabato" del 20 febbraio scorso veniva presentato come «l'eroe della nascente repubblica, l'uomo forte della nazione, autorità irrinunciabile», aveva trascorso 23 anni nelle carceri sovietiche per sequestro di persona a scopo di estorsione. I Tagiki di Mosca ci hanno detto che Safarov «aveva stretti e ramificati, rapporti con varie organizzazioni criminali, sicché potè invitare in Tagikistan i suoi ex-colleghi, che dalle miniere aurifere del Kuliab prelevarono oltre 350 chili d'oro per comprarsi armi, munizioni, droga, vettovaglie». Safarov è morto alla fine di marzo in uno scontro a fuoco con un altro capobanda; ma le bande criminali hanno proseguito la loro attività, in collaborazione coi mercenari uzbeki e baltici e, soprattutto, con la divisione 201 inviata da Eltsin in Tagikistan.
Tornando all'appoggio statunitense, va anche detto che il governo attuale si è potuto insediare grazie anche all'intervento di Baker, che ingiunse al capo del governo precedente (un governo di coalizione) di annullare un già programmato viaggio in Iran e di rifiutare gli aiuti che Teheran aveva mandati in Tagikistan. A ciò si aggiunse, da parte americana, una beffa odiosa: il Governo di Washington si dichiarò disposto a inviare 31 milioni di dollari alle vittime tagike della repressione, ma tale aiuto sarebbe stato amministrato ...dal governo uzbeko, che aiuta con proprie truppe l'azione genocida del governo di Dushanbé! D'altronde, la posizione imperialistica degli USA è stata sfacciatamente ribadita da un bollettino ufficiale della NATO (direttore responsabile Ruggero Orlando), che definisce «ripristino della pace» e «sviluppo democratico» una situazione traducibile nelle cifre di 60.000 morti e 1.000.000 di profughi. A "Notizie NATO" ha fatto eco il già citato numero de "Il Sabato", in questi termini: «il timore che la nazione possa definitivamente islamizzarsi e passare sotto la protezione del blocco afghano-iraniano per il momento è scongiurato».
Abbiamo parlato di interventi di circoli sionisti. Il dirigente moscovita del Partito della Rinascita Islamica, Gejdar Dzhemal, ci ha detto a questo proposito: «L'odierno primo ministro del Tagikistan ha rapporti stretti con Israele e con varie comunità ebraiche. Lo conobbi quando era ministro dell'industria del pane, che poi privatizzò per appropriarsene». Il mugiahid tagiko è ancora più preciso: «Esiste nel vicino Uzbekistan una comunità ebraica molto potente e politicamente attiva, che ha stretti legami con l'ebraismo internazionale. Molti di questi ebrei si erano trasferiti in Palestina e negli USA; adesso, con le privatizzazioni, utilizzano i loro capitali per comprare le ricchezze del Tagikistan». Un altro dirigente del Partito Islamico, Elshad, aggiunge: «Molti tra i capi neo-democratici appartengono a famiglie ebraiche che in passato simularono la conversione all'Islam».
Ma la partita è lungi dall'essere terminata. Per tutto l'inverno i mugiahidin tagiki si sono addestrati in Afghanistan, mentre altri gruppi di combattenti continuano a resistere nelle zone più impervie del Tagikistan.
Gli ultimi scontri alla frontiera potrebbero segnare l'inizio di un tentativo di rivincita dei mugiahidin, appoggiato in forze, stavolta, dagli Afghani.

Claudio Mutti

 

articolo precedente indice n° 13 articolo successivo