da "AURORA" n° 15 (Marzo 1994)

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Il fallimento del liberalismo economico

Max Gaozza

In meno di dieci anni di navigazione, la barca liberalista dei Bush, dei Major e compagnia, è affondata con tutto il suo squallido equipaggio. 
La perdita di elezioni da parte di Bush, le difficoltà di Major, ex-delfino (?) della Tatcher, lo hanno messo in evidenza.
L'economia capitalista mondiale è entrata in pieno in una nuova fase di recessione, che si potrebbe anche definire «vera depressione». 
Questa, infatti, non è più una crisi più o meno normale o regolare. È, semplicemente, una catastrofe. La questione tuttavia, consiste nel sapere se ora esistono le possibilità per iniziare un nuovo ciclo. Naturalmente i loschi figuri delle Multinazionali non mancano di ribadire la fiducia in una ripresa dell'espansione capitalistica.
Cosa sta avvenendo realmente?
Alcuni economisti cercano di trovare una risposta a questa domanda tirando in ballo i rilevanti deficit, la speculazione finanziaria, il disordine nel sistema monetario. Ossia, mettono l'accento sugli effetti della crisi, non sulle cause.
Per capire il fenomeno, bisogna risalire al periodo in cui le Multinazionali usurocratiche, sollecitate dalla crisi del Sistema, furono costrette a ricorrere allo Stato per trasformarlo in uno strumento della loro politica economica.
Oggi ci troviamo nell'epoca del monopolismo oligarchico e il rapporto di questo con lo Stato costituisce la base essenziale dell'esistenza dello stesso sistema mondialista. La formazione del capitalismo, apolide e multinazionale, dopo la IIª Guerra Civile Europea, ha ricevuto un forte impulso ed ha accelerato la fusione tra le banche, l'industria e lo Stato capitalista. Grazie a questa fusione si potè portare a termine la nazionalizzazione di una parte dell'economia. L'industria pesante, le ferrovie ecc., passarono nelle mani dello Stato, allo scopo di fornire ai capitalisti materie prime a basso costo, mezzi tecnologici ecc., mentre contemporaneamente lo Stato procurava loro contratti miliardari a condizioni molto favorevoli. Quindi, furono nazionalizzate anche tutte quelle imprese che si trovavano in difficoltà, allo scopo di risanarle.
Ma una volta finito il periodo di ricostruzione, che aveva favorito il boom economico del dopoguerra e iniziata l'epoca delle vacche magre, la borghesia cominciò ad attribuire la causa della crisi nell'esistenza del settore pubblico nell'economia, sostenendo che questo non era competitivo e comportava un pesante carico per l'industria privata che era costretta a pagare il suo mantenimento. Per cui, cominciò l'epoca delle privatizzazioni (si parla qui in un contesto Mondiale) delle imprese pubbliche e la ri-privatizzazione di tutte quelle industrie che precedentemente erano state nazionalizzate con il denaro dello Stato.
L'arrivo dei vari Major, Bush, Kohl al potere significò l'inizio di quella politica ultra-liberalista che, negli aspetti economici, si è basata su due pilastri: la privatizzazione e il risanamento.
L'applicazione della politica liberalista non è stata frutto del capriccio di alcuni governanti e nemmeno la scelta di determinati gruppi politici, ma l'ultimo tentativo delle oligarchie mondialiste per cercare di superare la crisi economica di cui soffre il Sistema Capitalista.
Non credo possano esserci più dubbi riguardo al fattore che sta spingendo avanti la crisi.
Questo fattore è la sovraproduzione.
Questa è la causa della sconfitta storica del liberalismo. Per questo motivo le nuove forze cosiddette liberaldemocratiche stanno cercando di frenare un processo che gli sfugge dalle mani.
Logicamente, la politica liberalista doveva non solo privatizzare il settore pubblico, ma limitare anche l'intervento dello Stato. Infatti le privatizzazioni non sarebbero state una boccata d'ossigeno per i capitalisti usurocratici, se queste misure non fossero state accompagnate da differenti piani di risanamento nella politica economica. Per cui si ridussero i carichi fiscali delle imprese, dei miliardari ecc., mentre si aumentavano le imposte per la maggioranza della popolazione; si è riconvertita la quasi totalità dei settori produttivi, licenziando milioni di operai e, soprattutto, si è aggiustata la politica del lavoro in modo drastico: è stato legalizzato il licenziamento libero, sono stati introdotti i contratti a termine, sono stati congelati i salari, è stato annullato lo "Statuto dei lavoratori".
Questo insieme di misure ha significato il più feroce attacco contro i diritti e le conquiste che i lavoratori avevano strappato in decenni di lotte. 
I liberalisti continuano ad assicurare che l'eliminazione di tutte queste conquiste sociali ed economiche (il cosiddetto "Stato Sociale") era necessaria, visto che secondo loro frenava la crescita economica. 
Gli aiuti e le sovvenzioni statali dovevano essere incanalati verso l'iniziativa privata, allo scopo di stimolare gli investimenti; questo avrebbe permesso, sempre secondo i liberal-usurocratici, di «creare occupazione». Grazie all'applicazione di questa politica, il capitalismo mondialista è riuscito a superare temporaneamente la crisi.
Agli oligarchi del Nuovo Ordine Mondiale sfuggivano (e sfuggono tuttora) non pochi dettagli, alcuni di non poco conto, tra i quali la speculazione, l'impalcatura sulla quale è basata buona parte della loro idilliaca società, si è rivelata molto fragile, tanto che nel 1987, un "crack di borsa" provocò, solo negli USA, un milione di disoccupati fra i colletti bianchi, oltre al fallimento di banche, di compagnie immobiliari e di assicurazione, ecc.; lo Stato Imperialista yankee per evitare il fallimento delle Casse di Risparmio, dovette rimpinguarle con 800 milioni di dollari. La sfera delle speculazioni esplose e il debito, quello dello Stato, delle imprese e dei privati si ingrossò fino ad arrivare alle cifre astronomiche attuali; in conseguenza di ciò, uno dei principali capitoli di bilancio dello Stato di quasi tutti i paesi dell'Impero Amerikano d'Occidente, deve essere dedicato al pagamento degli interessi del debito.
Da ciò si ricava che gli unici beneficiari della politica liberalista sono le grandi multinazionali industriali-finanziarie.

 

Max Gaozza

Fonti:

* Ragni: "Il mondialismo capitalista".
* Lenin: "L'imperialismo, fase superiore del Capitalismo".
* Pagine Libere.
* Antibancor.

 

 

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