da "AURORA" n° 24 (Marzo 1995)

L'INTERVENTO

Strategie e scelte strategiche

Luigi Costa

Non è mia intenzione polemizzare con Gianni Benvenuti, per due buone ragioni. La prima: non ho alcun motivo di dubitare della sua buonafede, la seconda: la diatriba Rauti-si Rauti-no è oziosa e priva di senso se risponde (questa è la mia impressione) all'esigenza personale di riempire un vuoto psicologico e politico che non si può in altro modo colmare.
Quindi occorre soppesare le parole con la lucidità necessaria, evitando di attribuire a tutto e tutti le proprie personalissime «castrazioni». Per meglio precisare: ci rendiamo conto di quanto siano esigue le risorse finanziarie, logistiche, in parte anche umane nelle quali possiamo contare rispetto agli ambiziosi traguardi che ci siamo posti. Ma questo non autorizza chi sostiene di «aver in questi quattro anni dato un contributo di spunti e idee» ad affermare «che il circolo, il centro culturale, la rivista» sono fini a sé stessi, in quanto «occorre uno strumento politico», ci pare di capire, «di altro tipo». Noi siamo convinti di aver svolto un ruolo politico non fine a sé stesso (certo in qualche città così non è stato, ma le responsabilità sono di ordine e limite personale, non collettivo) e neppure tanto secondario; non solo sul piano culturale, come qualche decina di convegni -alcuni pienamente riusciti altri meno- stanno a dimostrare, ma anche in ambito attivistico. Abbiamo mantenuto viva e vitale questa «rivista» con grandi sacrifici personali e -consentitemi una «caduta» di stile- se si considera che questo non riuscì nemmeno a Pino Rauti nei tempi d'oro, con "Linea", che dopo soli sei mesi sospese le pubblicazioni senza peraltro degnarsi di informare gli abbonati, sia ordinari che sostenitori.
Per quanto concerne la mia iniziale disponibilità (debbo precisare che non era condivisa dalla quasi totalità dei militanti della Sinistra Nazionale), essa era condizionata dai contenuti e dalla linea politica che la «Cosa» rautiana avrebbe fatto propri. E per quanto, personalmente, non sia insensibile al fascino «intellettuale» di Pino Rauti ( tanto da scandalizzare, fino a qualche mese addietro, i neo-convertiti), ho posto un problema politico: non cambiali in bianco ma solo adesione sulla base di ben precise garanzie; ovvero, può la «Cosa» neo-missina essere il nocciolo attorno al quale costruire lo strumento che consenta «al discorso che ci è rimasto strozzato in gola» di risuonare ed espandersi nell'aria? Poteva la Sinistra Nazionale soprassedere a quattro anni di elaborazione politica e sciogliere la sua struttura organizzativa, anche se minima, costruita con l'impegno e il sacrificio personale di qualche decina di militanti, per salire su un treno che scorre veloce sui binari e del quale non si conosce la destinazione, legando il proprio destino a quello di una «locomotiva» che sappiamo inaffidabile? È realistico considerare -essendo ben noto il tipo di «vagoni» che alla «locomotiva» si sono accodati- questo «treno» un mezzo idoneo per dare maggiore visibilità ai nostri progetti politici. Quando lo stesso «treno» di visibilità ne ha poca, e quella poca tutt'altro che positiva?
Una valutazione serena consiglierebbe maggior cautela nelle conclusioni: quelle avanzate da Gianni Benvenuti hanno più attinenza con la fede religiosa che con la razionalità politica. Per carità nulla di male, la libertà di opinione va rispettata, ma altrettanto rispetto merita il realismo di Vito Errico resosi immediatamente conto -grazie alla sua specifica esperienza di dirigente delle FF.SS.- che quel «treno» che passava «veloce» aveva imboccato un «binario morto» che portava diritto al «deposito rottami», nel quale «vagoni» e «locomotiva» sono destinati ad arrugginire in tutta tranquillità.
Fuor di metafora, non si può sempre giocare sulle parole, equivocandone il senso, in specie quando Vito Errico sostiene: «cercare agganci con la sinistra nel mondo omogeneo della sinistra e lasciar perdere le vecchie cariatidi», la «sinistra» non sono Prodi, D'Alema e Rosy Bindi (anche se qualche non marginale differenza tra questi e Berlusconi c'è, ed è necessario rilevarla se non si vuole cadere nel più inconcludente degli estremismi parolai) e aggiungendo subito dopo: «noi siamo portatori di progetti strategici che la sinistra non possiede. Il suo riformismo è enfisematoso. Il capitalismo crollerà per collasso strutturale (...). La Sinistra diventerà partecipazionista e noi dovremmo essere lì, noi, a prendere la medaglia che ci spetta». Non ci pare proprio un ragionamento da liberaldemocratico, e va ben oltre gli attuali limiti di una sinistra che ha perso la Trebisonda, non si appiattisce su chicchessia, e coerentemente indica nel popolo di sinistra il referente naturale di un progetto partecipazionista e socializzatore che la destra ha solo utilizzato, per mezzo secolo, strumentalmente, per incantare i gonzi. E prende giustamente le distanze dalle «carabattole» di un corporativismo anticapitalista, oltretutto, mal masticato e digerito.
Le anime del fascismo non si sono separate. L'equivoco continua e il buio della notte viene spacciato per luce del giorno da quanti hanno bisogno di un alibi per tornare a richiudersi all'interno dei «vecchi» recinti.
Lo spazio politico, poi, non è qualcosa che teoricamente si possa estrapolare e desumere da libri e articoli per quanto questi siano utili per una più precisa e coerente definizione degli stessi. Non si manca di rispetto a un grande giornalista come Massimo Fini o ad Ortega Y Gasset, se si ha la consapevolezza che esiste una geografia degli schieramenti e che essa ha un'insostituibile funzione dialettica e che non basta il mero esercizio saggistico di scritturali, anche prestigiosi (ma che debbono mettere insieme pane e companatico) per definire gli spazi e i tempi dell'azione politica. «I libri -argomentava l'Uomo di Predappio- sono come le ostriche, bisogna prima leggerli e poi digerirli». In questo senso l'esigenza espressa da Vito Errico di «ridefinire le differenze tra la destra e la sinistra alla luce della storia, della cultura e della politica» è fondamentale, eviterebbe i «polveroni», le dispute «teologiche» oltre che una lettura banale della quotidianità politica.
La realtà è quella che è, non quella che ci piacerebbe fosse. Un soggetto politico deve vivere la realtà e le sue contraddizioni. E la realtà non è popolata da formule astratte ma da uomini in carne ed ossa, con i loro bisogni, le loro passioni, le loro debolezze e ai quali poco importa se noi siamo oltre la destra e la sinistra e pretende idee, progetti, soluzioni e valori comprensibili e definiti.
La «Cosa» di Rauti non mi pare abbia simili, ambiziose caratteristiche; sarà, come tu sostieni, oltre la destra e la sinistra epperò, in quanto a contenuti è il nulla, è muta, respira a fatica, arranca per inerzia sui binari. Una prospettiva politica non può essere costruita sui tradimenti, la voglia di rivalsa e i rancori, rivendicando la coerenza dei simboli e non quella delle idee. Noi, mi addolora che vi sia ancora chi non lo ha capito, andiamo in altra direzione. Può essere che la nostra coerenza sia solo cocciutaggine fine a sé stessa, ne siamo consapevoli. Abbiamo imparato a nostre spese che è importante saper distinguere il vero dal falso, il reale dal sogno, l'effettivo dal teorico e con umiltà andiamo avanti, evitando di piangerci addosso o, peggio, coltivando vane e pericolose illusioni.

Luigi Costa

 

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