da "AURORA" n° 24 (Marzo 1995)

MALI D'ITALIA

A chi la Sanità pubblica?
Ai managers !

Antonella Bellucci

La riforma sanitaria, o per meglio dire la gestione della sanità, sancita con la legge 504/94 e «perfezionata» con la successiva 517/94, avrà sicuramente degli effetti positivi per quanto concerne il risanamento dei bilanci delle USL, dal momento che ogni singolo direttore sanitario di questi organismi dovrà presentare annualmente il bilancio in pareggio, e questo per tutto il quinquennio che resterà in carica. Se così non sarà, ne risponderà personalmente con tagli significativi del proprio principesco stipendio.
Dopo decenni in cui la sanità -in sintonia con la gestione degli altri scomparti pubblici- è stata dominata dalla più spudorata corruzione e dal più insensato spreco, la nuova impostazione non poteva che essere accolta in modo favorevole da quanti si auguravano che la svolta efficientista fosse in grado di sanare, almeno in parte, le endemiche carenze presenti in questo importantissimo settore.
Il costo per l'assistenza essenziale che in teoria, e ribadiamo in teoria, dovrebbe essere garantita ad ogni cittadino, comporta per ognuno di noi costi spropositatamente alti se confrontati alla qualità dei servizi effettivamente erogati. E se, per il recente passato, la responsabilità per gli alti costi e le inefficienze poteva essere ascritta ai vari De Lorenzo e Poggiolini -che usava imbottire i divani della propria dimora con banconote e biglietti da visita in platino- che hanno rappresentato l'apoteosi della più cinica speculazione che gli uomini di potere possono esercitare a danno della collettività, il riordino della sanità pubblica rischia di penalizzare ulteriormente quanti non hanno armi per difendersi e voce per protestare.
Cercheremo di spiegarci meglio. Innanzitutto una valutazione preliminare sui nuovi assetti sanitari; i vari direttori generali sono stati nominati dalle giunte regionali e non ci sentiamo quindi di escludere che, oltre alla valutazione professionale delle capacità dirigenziali ed amministrative dei singoli candidati, ci si sia anche ispirati ai vecchi criteri spartitori -la nota vicenda delle nomine in Lombardia non è un fatto isolato-. Il curioso, sarà più evidente fra qualche settimana, dopo le prossime elezioni regionali, quando i neo-assessori alla sanità, che potrebbero avere una visione diametralmente opposta ai direttori sanitari saranno con questi costretti a collaborare per un periodo di cinque anni.
Questi sono affari loro. Ciò che invece preoccupa, e che ci preme qui denunciare, è che le due leggi sopraccitate delegano ai direttori generali delle USL tutto il potere decisionale: nessuno può sindacare sul loro operato, non è previsto nessun organo di controllo, non esistono revisori dei conti, non vi è nessuna possibilità di incidere sugli indirizzi e sulle scelte amministrative e sanitarie che solo i direttori generali possono, a loro totale discrezione, adottare.

Insomma, una monarchia assoluta. Per poter ridurre i bilanci, ogni direttore -almeno per quanto abbiamo potuto personalmente constatare- ha tagliato del 20% i bilanci dei singoli reparti nelle strutture ospedaliere e di un altro 20% i servizi sociali. Negli anni scorsi erano le amministrazioni comunali a gestire i servizi sociali e li delegavano alle USL di competenza mantenendone sempre lo stretto controllo attraverso il proprio personale impiegatizio e le assistenti sociali.
Ora, con le nuove leggi regionali, le amministrazioni comunali tornano ad essere a pieno titolo investite della gestione dei servizi sociali, soprattutto per quanto concerne l'assistenza ai minori e quella domiciliare per situazioni di particolare disagio (reperendo all'interno dei propri bilanci i fondi necessari per assumere il personale idoneo). Confermare la delega alle USL, per la gestione di questi servizi è un errore enorme e temiamo non emendabile.
Infatti, i tagli drastici delle direzioni sanitarie, colpiscono le categorie più deboli; gli anziani, che finora potevano contare su un supporto, pur minimo, dell'assistenza sociale si vedono ora decurtare del 20% le risorse disponibili per questo servizio. In pratica se in passato potevano contare sulla disponibilità di un'assistente sociale e sanitario per sei ore settimanali da oggi in poi, se saranno fortunati, potranno usufruirne per sole quattro ore. Gli handicappati assistiti a domicilio subiscono la stessa sorte con grave disagio delle famiglie che già combattono una dura battaglia quotidiana; i celebrolesi, ad esempio, sono costretti ad appoggiarsi alle strutture pubbliche (decurtate del 20% delle risorse, è bene ricordarlo) non avendo più diritto all'assistenza domiciliare, basilare soprattutto per i giovanissimi per tentarne il recupero della efficienza fisica e psichica.
Ma non basta. La visione economicistico-manageriale della sanità non vuole e non deve sopportare zavorre; in alcune USL è stato cancellato il servizio di dietologia per i malati terminali di tumore, ritenuto troppo oneroso dato lo scontato risultato finale dei ricoveri e delle assistenze. Per meglio capire questa mostruosità dobbiamo tenere presente che l'organismo di un malato di tumore brucia molte più energie di una persona sana, ci scuseranno i medici nostri lettori per i termini impropri che usiamo, ma ci preme rilevare come questi malati consumino le vitamine, poi i grassi, quindi le proteine in modo velocissimo, e se non sono supportati da un adeguato programma dietetico li si condanna ad una morte metabolica, anticipando quindi quella patologica. In parole povere restringendo o peggio eliminando questo servizio ci si rende colpevoli di omicidio colposo!
Ma non basta, per ammissione degli stessi medici, all'interno delle strutture ospedaliere, sono insufficienti i farmaci essenziali, le provette per le analisi, i reagenti chimici, le attrezzature per misurare la pressione sanguigna, ecc.
Le interrogazioni che i consiglieri comunali pongono ai loro sindaci, perché siano portavoce, almeno nei capoluoghi di provincia (in quanto la legge prevede che il sindaco del capoluogo presieda la "Conferenza dei sindaci" dei comuni appartenenti alle USL di competenza, l'unico organismo che in qualche misura può almeno chiedere spiegazioni al direttore generale) o non ottengono risposta, oppure gli interpellati rispondono con la stessa arroganza con la quale gestiscono il potere assoluto loro conferito e approfittano di queste occasioni per smentire le «cosiddette» voci allarmistiche, senza peraltro supportare con nessun dato queste affermazioni, e ribadendo l'assoluta «illegittimità» di ogni tentativo di «ingerenza» nel loro operato. 
A questo punto, noi che da sempre crediamo nello stato di diritto (e quindi anche al diritto di ogni cittadino di salvaguardare la propria salute), rifiutando le visioni assistenzialistiche che per troppo tempo hanno ispirato le scelte demagogiche e dissipatorie di governi centrali e locali a tutti note, dobbiamo alzare la voce in ogni sede ed occasione, per denunciare la penalizzazione dei più deboli: malati, anziani, bambini, handicappati, indigenti e emarginati, ossia tutti coloro, che non hanno voce.
Una denuncia continua, incessante, martellante. Poco ci interessa se gli emoluenti annuali dei direttori generali -che vanno da 250 a 300 milioni- vengano decurtati in qualche misura; ci importa che, per salvaguardare i loro guadagni, questi managers senza titoli insisteranno nel ridimensionare i servizi essenziali a favore, magari, di interventi di grande risonanza pubblica, ma di nessuna o scarsa utilità sociale.

Antonella Bellucci

 

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