da "AURORA" n° 24 (Marzo 1995)

SCENARI

Due passi nella crisi

Renato Pallavidini

Mai come in questi ultimi anni il cittadino medio si è interessato all'andamento dei Mercati finanziari e valutari. In fondo sino alla crisi valutaria dell'estate del '92, durante il governo Amato, le notizie su Borsa, Cambi, ecc. venivano considerate argomenti da specialisti. Per l'uomo medio erano fatti di second'ordine, anche al di là della loro oggettiva importanza sui flussi macro-economici.
Il vero nocciolo del problema sta nel fatto che i cambi hanno perso stabilità, o questa loro maggiore fluttuazione si è saldata con l'assoluta libertà di movimento dei capitali sul Mercato finanziario internazionale e con le questioni del debito pubblico, maturate negli anni Ottanta in tutta l'area dei paesi capitalistici, non solo in Italia.
Con questi sviluppi, che portano a gigantesche ondate speculative, regolarmente pagate dai contribuenti piccoli e medi, siamo giunti alle conseguenze estreme di due eventi congiunti, che affondano le loro radici nei decenni scorsi: da un lato la rottura del sistema monetario di Bretton Woods, dall'altro lato la finanziarizzazione dell'economia capitalistica verificatasi negli anni Ottanta.
Gli accordi di Bretton Woods stabilivano un sistema di cambi fissi fra le valute mondiali, ancorato al dollaro, a sua volta convertibile in oro per la cifra fissa di 35 dollari per oncia. Stipulati nel '44, ed entrati in vigore nel '45 in tutta l'area dei Paesi capitalistici o da essi dipendenti, ponevano fine ad una situazione di instabilità monetaria che era nata con la Prima Guerra mondiale, quando era saltata la convertibilità aurea di tutte le monete. Nell'agosto del '71, per fronteggiare una grave crisi finanziaria determinata dalle spese militari sostenute in Vietnam, Nixon sospese, unilateralmente, la convertibilità aurea del dollaro, facendolo fluttuare liberamente sui Mercati in modo che si svalutasse. Venivano così a mancare criteri fissi e oggettivi per determinare il valore delle principali valute nazionali; d'ora in avanti esso sarebbe stato definito dal volume degli scambi di mercato, in pratica dal meccanismo domanda-offerta. Gli accordi monetari europei, che diedero vita allo SME e all'Ecu nel '79, riuscirono a stabilizzare per più di un decennio la situazione dei cambi, ma ormai il tarlo dell'instabilità e della speculazione era stato introdotto e prima o poi era destino che completasse la sua opera sino a giungere all'attuale Babele che fa la felicità degli operatori borsistici e finanziari.
Se questo percorso si era innestato già agli inizi degli anni Settanta, perché al suo compimento, cioè alla totale liberalizzazione degli scambi valutari, si giunge solo negli anni Novanta, in pratica dopo gli accordi di Maastricht?
La risposta credo si debba trovarla nel processo di finanziarizzazione del meccanismo di riproduzione allargata del capitale che si era verificato negli anni '80, e che si sta proponendo come modello capitalistico completamente diverso rispetto a quello degli anni '50 e '60, basato sulla produzione industriale e sul taylorismo. Il centro di accumulazione capitalistica si è ormai spostato sull'alta finanza, esaltando, fino alle estreme conseguenze, un dato speculativo e parassitario che già il Lenin, ne "L'Imperialismo" del '16, vedeva centrale nell'intero sistema capitalistico nella sua fase imperialistica.
L'ultimo decennio ha portato alle sue estreme conseguenze queste caratteristiche: l'attività di investimento e di riproduzione allargata del capitale si svolge in modo sempre più netto sui mercati valutari, borsistici e finanziari, speculando sui Titoli di debito pubblico, su Azioni, Valute estere. Le tradizionali strutture produttive vengono a ricoprire un ruolo subalterno, e comunque strettamente condizionato dalla speculazione, visto che un suo andamento negativo, anche in congiunture espansive, può paralizzare industrie e aziende di tutto il mondo.
Di fronte a questa crescente finanziarizzazione del sistema era logico che i gruppi dirigenti occidentali si decidessero a trarre le conseguenze più estreme dall'avvenuto superamento degli accordi di Bretton Woods. Se speculazione e alta finanza diventano il vero terreno privilegiato della riproduzione allargata del capitale, perché non consentire una completa fluttuazione delle monete e una totale libertà nei movimenti di capitali?
Questa ondata ultra-liberista rischia però di aggravare tutti i problemi del debito pubblico e di rendere instabili i prezzi delle materie prime per paesi a valuta debole e privi di risorse minerarie come l'Italia. Ma il discorso non è certamente circoscritto alla sola Italia. Anzi su questo piano chi rischia di più sono i Paesi dipendenti, come il Messico e l'Argentina; sia perché indebitati quanto noi, sia perché il loro sistema economico è più debole del nostro e non potrebbe sopportare le «manovrine» di contenimento della spesa pubblica per interessi sul debito.
Tuttavia, ormai i rischi sono globali, come dimostra l'andamento della crisi finanziaria messicana. Non ci possono più essere crisi localizzate, in quanto il sistema finanziario internazionale è troppo interdipendente e si configura come un unico grande nodo: se lo tiri anche da una sola parte rischia di sciogliersi completamente.
Il Messico ne è nuovamente l'emblema. Le attuali turbolenze dei mercati sono causate principalmente da un indebolimento del dollaro conseguente alle enormi, difficoltà messicane e ai pericoli che queste si espandano a tutta l'America Latina.
La bufera sta però pesantemente investendo l'Italia e l'Europa; la stessa Germania non è certamente entusiasta di dover gestire un "Marco" talmente forte che rischia di paralizzare le sue esportazioni. 
E poi ci sono gli effetti sociali di queste crisi finanziarie ed economiche: gli "Zapatisti" dove li mettiamo? Ma quanti «fuochi» covano nuovamente sotto la cenere dell'intera area dei Paesi dipendenti? Ad esempio, è proprio vero che "Sendero Luminoso" è stato distrutto? I movimenti islamici potrebbero interagire con una nuova congiuntura rivoluzionaria mondiale? C'è ancora spazio per un'esplosione di lotte operaie e popolari nei Paesi avanzati, sul modello del movimento sindacale italiano dell'autunno scorso, che faccia da sponda alle crisi rivoluzionarie periferiche? E la Cina, dopo la morte del traditore Deng, ritroverà il suo orgoglio socialista e internazionalista?

Renato Pallavidini

 

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