da "AURORA" n° 26 (Maggio - Giugno 1995)

L'INTERVENTO

Chiarimenti...

Renato Pallavidini

Caro Luigi,
consentimi di intervenire nel dibattito critico che si è aperto con la Tua risposta all'amico Benvenuti, in modo da chiarire non solo le mie posizioni, ma i motivi che mi hanno spinto, nei mesi scorsi, a sospendere la mia attività militante e la collaborazione al giornale. Credo questo chiarimento opportuno e necessario per i tanti amici, collaboratori e lettori conosciuti in questi anni e abituati a vedere la mia firma su ogni numero di "Aurora".
Il problema centrale che mi sono posto, e che ho posto a tutta l'area, non era più la collocazione strategica a sinistra, né la rottura definitiva con l'ambiente missino, ex-missino o destrorso, ma era ed è il rapporto con il Fascismo. Non il Fascismo ideale, quello correttamente definito «impossibile» da Bucchignani nel suo ottimo saggio su Berto Ricci (di cui consiglio a tutti una lettura attenta, critica, a-ideologica e oggettiva). Non il Fascismo immaginato a tratti dallo stesso Mussolini, nei colloqui con De Begnac (altra lettura da farsi con l'occhio oggettivo del critico e dello storico).
Proprio i colloqui Mussolini-De Begnac saranno anche un «pozzo senza fondo» di idee socialmente avanzate, ma rivelano chiaramente come fosse Mussolini stesso ad essere cosciente che questo Fascismo rivoluzionario e social- mente avanzato fosse un progetto, la cui realizzazione era demandata ad un «domani» indefinito, forse dopo la conclusione vittoriosa di una guerra, che invece finì con l'esito che ben conosciamo. 
Dal testo di De Begnac, emerge nitidamente la lucida coscienza mussoliniana che il Fascismo reale, che si sviluppò fra il '21 ed il '22 e che prese il potere dando vita al Regime, fosse un fatto politico profondamente reazionario e antipopolare. Ci sono passi in cui si citano come espressione organica della reazione agraria tutti i più importanti «ras» squadristici, Farinacci e Balbo compresi. Fu Mussolini stesso a rendersi conto, già nella primavera del '21, che il Fascismo reale si stava sviluppando spontaneamente come movimento di estrema destra, al di là delle sue intenzioni, come risultato di un processo politico oggettivo che egli stesso non aveva previsto, voluto e che non poteva più controllare. Questo Fascismo reale, reazionario nella sua essenza, ormai incontrollabile da Mussolini stesso, sviluppatosi per moto di reazione spontaneo del ceto medio e medio basso eversivo, in alleanza organica con gli agrari, contro scioperi e movimento operaio e contadino, era destinato a produrre un Regime reazionario e ad ingabbiare al suo interno, senza possibilità di sviluppo (voglio schierarmi anche contro certe opinioni di De Felice!), ogni ideale socialista residuo di Mussolini ed ogni componente di sinistra e anticapitalista. Questo Fascismo reale nasce -ripeto per moto spontaneo e incontrollabile- in rapporto al fallimento dei progetti politici mussoliniani degli anni precedenti: l'interventismo socialista prima, il Fascismo sansepolcrista e produttivista poi (nel '19-'20). Mussolini cercò, anche nella primavera/estate del '21, di ribilanciare a sinistra il movimento (la proposta di collaborazione con socialisti e popolari e poi il patto di pacificazione), ma non gli riuscì, perché non glielo permise la base squadristica e reazionaria. Si trovò nella condizione di dover «cavalcare la tigre», credo soprattutto per motivi personali (aveva famiglia, o non poteva permettersi un ennesimo isolamento politico!).
Perché queste riflessioni storiografiche? Mi sono nate in testa improvvise? No! Era dall'estate '92 che me le portavo dentro, «rispecchiamento» mentale (per usare un termine lukaciano) dell'esperienza concreta che avevo maturato, e stavo continuando ad avere nell'ambiente variegato dei nazionalpopolari: confusione ideologica, divergenze ideali a volte inconciliabili (pagani, cattolici, socialisti, feudatari in pectore, aspiranti guerrieri, sindacalisti da "lotta continua", tutto e il contrario di tutto!), interpretazioni personalistiche e superficiali del Fascismo (ognuno se lo interpretava come cazzo gli pareva!), incapacità organizzativa (grave per uno che viene dalla militanza marxista-leninista! Ci tengo al trattino!). Infatti, il gruppo umano più valido e coerente, il nostro, quello di "Aurora", ha finito col raccogliere ben poco da questo ambiente (per fortuna!).
Questa questione dell'identità fascista l'ho posta esplicitamente nella primavera scorsa perché è esploso il fenomeno berlusconiano, che per l'ennesima volta nella storia umana vedeva un forte movimento fascista, o di origine fascista, assumere il ruolo politico di forza d'urto dell'ala più reazionaria del capitale finanziario (nel '22 gli agrari, oggi quello speculativo più legato ai rapporti politica-affari-mafia).
Noi non possiamo raccontarci la «balla» che Fini e soci sono berlusconiani perché hanno rotto con il Fascismo, perché non sono fascisti, o addirittura che l'intero Msi-Destra Nazionale nasca in rottura con il presunto Fascismo rivoluzionario di Salò. Come si fa a dire che uomini, come Servello, Tremaglia o Baghino non sono mai stati, né sono oggi fascisti? Né si può dire che rinneghino la RSI? Allora come è possibile che, sempre (con la sola, breve, e contraddittoria eccezione delle "Guardie di Ferro" in Romania nel '40), quando si sviluppa un fenomeno legato alla cultura, agli ambienti politici, agli uomini del Fascismo, questo fenomeno divenga la espressione politica più eversiva e pericolosa di un blocco sociale di ceto medio ribelle (antiparlamentarista, antipartitocratico, antisindacale, ecc.), del capitale finanziario più retrivo e di strati proletari e sottoproletari arretrati (cioè con un livello di coscienza politica nullo)? Ecco la domanda che ci si deve porre! Personalmente sono rimasto sconcertato dall'affinità fra il blocco sociale berlusconiano del '94, e quello mussoliniano, salandrino del '22: fatte le debite distanze storiche e sociologiche (di profili professionali), i ceti medi autoritari e protestatari, il capitalismo più reazionario, settori popolari non sindacalizzati.
Queste affinità, queste coincidenze non possono essere casuali! E pongono anche in questione il modo in cui il nostro ambiente ha interpretato la distinzione defeliciana fra Fascismo-regime e Fascismo-movimento. Troppo meccanica e troppo sbilanciata sul movimento, visto come un blocco coerente e compatto su posizioni socialmente avanzate e in grado di prendere il sopravvento sul Regime. In realtà, De Felice stesso, e Fisichella (in una recente intervista televisiva, quando era ancora ministro) lo ponevano diversamente. Fisichella ha posto in luce come il movimento stesso fosse una realtà composita, variegata, con più componenti e più posizioni che convivevano, avevano un comune sentimento ribellistico, ma per lo più erano idealmente e politicamente antitetiche (è il solito discorso degli aspiranti "guerrieri" e dei sindacalisti d'assalto, ecc.!).
Non vi nascondo che il riemergere, attorno a Fini e a Berlusconi, di un blocco sociale e politico analogo a quello che permise a Mussolini (alleato con Salandra!) di conquistare il potere, mi ha riportato alla memoria l'interpretazione e la definizione che del fenomeno fascista diede J. V. G. Stalin nella "Storia del P.C. (L.) dell'URSS": «il fascismo come espressione dell'ala più reazionaria e aggressiva del capitale finanziario, orientato a reprimere autoritariamente le lotte operaie, dandosi una base di massa piccolo borghese». Dato che la mia stima per il pensiero e l'opera del Maresciallo Stalin sono rimasti inalterati nel tempo, e saranno la costante della mia vita di militante rivoluzionario, devo ammettere che, pur con tutta la sua schematicità, questa definizione l'ho rivalutata, e credo che abbia quanto meno un nucleo di validità.
Nessuno naturalmente (non vi spaventate!) vuole riproporre lo stalinismo (anche se, sul piano storico, fu un grande, nobile e forte fenomeno socialista! Un po' di Siberia a Gasparri schiarirebbe le idee!), ma in sintesi il problema politico dell'identità fascista esiste, e soprattutto non lo si può più nascondere alla sinistra comunista; visto che l'ambiente fascista non ha prodotto il MSI nazionalpopolare di Rauti, ma Fini e Alleanza Nazionale! Non è cosa da poco! Questo non significa fare dell'«antifascismo militante», ma fare i conti con la propria storia ed affermare chiaramente che non si è «fascisti», né integrali, né di «sinistra», né «repubblichini». Non lo si è perché la realtà concreta del Fascismo è quella riconosciuta da Mussolini stesso; anche perché la RSI non viene vissuta e ricordata dalla gente, dall'opinione pubblica per la socializzazione (mio padre e mio zio, classi '30 e '22, non sapevano neppure cosa fosse!), ma per la collaborazione con i tedeschi, le rappresaglie, la guerra, ecc., ecc.
Questa è la dura realtà! Certo è facile riconoscerlo per me, meno per te -Luigi- che sei cresciuto culturalmente nell'ambiente, quasi impossibile per l'ex-combattente che a certi ideali credeva e che ha subito le ritorsioni dei partigiani. Ma se volete, se vogliamo che gli altri vadano «oltre» gli steccati e le identità rigide (come ho fatto e sto facendo io), dovete e dobbiamo cominciare da voi e da noi stessi, anche a costo di sviluppare una lacerazione interiore, quasi da psicanalisi!
Sul piano più strettamente politico va fatta l'operazione compiuta dagli "Arditi del Popolo" nel '21: fascisti nel '19, non più fascisti, anzi in lotta aperta, di piazza, contro i fascisti del '22. Infatti furono decisivi nella difesa di Parma dagli squadristi di Balbo, proprio nell'agosto del '22.
Certo, oggi l'antifascismo militante, vecchia maniera, compreso quello degli "Arditi del Popolo", non ha più molto senso. Ma se il pericolo, attorno a Berlusconi e Fini, è una forma storicamente nuova di regime fascista, va detto «pane al pane» e «vino al vino». Il pericolo è il fascismo! E voi, noi tutti non siamo i «fascisti di sinistra» (visto anche che il modello della Socializzazione, già negli anni '20, penetrò in vasti settori antifascisti -esempio ne sono certe componenti di Giustizia e Libertà- e socialisti europei). Siamo militanti antagonisti, socialisti rivoluzionari che, lottando contro il capitalismo, se è il caso, lottano anche contro il fascismo! Quello reale, non quello immaginario, «impossibile», che si compendia in frasi del tipo: «se Mussolini avesse potuto, avrebbe fatto! Se avesse vinto la guerra, ecc.!». La guerra è stata persa, forse è stato meglio così, e il Fascismo reale è la forma politica più reazionaria espressa dal capitalismo.

Renato Pallavidini


Caro Renato,
se vogliamo veramente crescere, andare oltre gli steccati, privilegiare le ragioni che uniscono rispetto a quelle che dividono, dobbiamo innanzitutto superare la tendenza, sempre persistente, dell'approccio manicheo alle vicende storiche. Smetterla una buona volta di usare l'accetta nel dividere il presunto bene dal presunto male.
Il Fascismo, come tu stesso evidenzi, è stato un fenomeno complesso dove si agitava tutto e il contrario di tutto. Ma del quale non si possono contestare due cose: l'origine di sinistra e la divaricazione tra Regime e Movimento. «Divaricazione» che proprio dalla lettura dei "Taccuini mussoliniani" di De Begnac emerge nitida. Queste certezze sono da te avallate allorché rimarchi il tragitto compiuto dagli «Arditi del Popolo»: militanti fascisti nel 1920 (così come centinaia di anarchici, sindacalisti rivoluzionari e socialisti di sinistra) antifascisti nel 1921, dopo la virata reazionaria e liberticida di Mussolini.
Io non mi sento antifascista, non potrò mai esserlo, non tanto perché cresciuto culturalmente nell'«ambiente» o perché non abbia fatto i conti (e che conti!) con me stesso -alla pari di molti altri- ma proprio in virtù della serenità di giudizio che si conquista aprendosi alle altrui verità, confrontandosi sul piano sociale, culturale e politico senza pregiudiziali, senza verità in tasca.
Operazione dolorosa mettere in discussione se stessi; la propria storia personale, le vicissitudini giovanili che lentamente, col passare degli anni, assumono contorni «mitici» perché legati all'età più bella e pagante della vita di ognuno; quella dell'incoscienza, dell'adesione umorale, della scelta istintiva, della dedizione totale.
In questo senso credo che il tuo ragionamento, seppur condivisibile per alcuni aspetti, sia specioso; ossia, non prendendo in considerazione tutta la vicenda mussoliniana, tende a valorizzarne, in negativo, alcuni aspetti e attorno a questi sviluppare un ragionamento che non può non concludersi con un'inappellabile condanna. Con la stessa tecnica mi sarebbe facile (ma credo che non sia il caso!) emettere sentenze senza appello rispetto a qualsiasi esperienza storica, compresa quella marxista; non mi pare, infatti, che questa manchi di pagine tragiche ed oscure. Tanto per esemplificare: Giuseppe Stalin è incontestabilmente qualcosa di molto diverso da quel fulgido rivoluzionario al quale va la tua incondizionata stima. La Siberia, come i Lager, non possono essere in alcun modo giustificati. Gli assassini rimangono assassini, non esiste possibilità di assoluzione per chi ha pianificato l'annientamento dei propri avversari, veri o presunti. Sterminio e genocidio non rientrano nella categoria del politico, ma in quella del crimine.
È vero vi è stato e vi è un «fascismo impossibile» (al quale mi iscrivo d'ufficio) contrapposto al «fascismo reale», ma è altrettanto vero che vi è stato e vi è un «comunismo impossibile» contrapposto ad un «socialismo reale». Il Novecento è stato un secolo di passioni, ma anche di crudeltà, errori ed orrori immani. È tempo di prenderne atto tutti senza reciproche scomuniche, sforzandoci di recuperare quanto di valido vi è nelle reciproche esperienze e ripudiando gli errori che certo non furono e non sono da una sola parte. In questo senso poco conta che la "Legge sulla Socializzazione delle Imprese" nella RSI sia praticamente sconosciuta a chi quella temperie l'ha vissuta, dall'una o dall'altra parte della barricata: la socializzazione è un fatto. Esiste. L'importante è portarla avanti, farla conoscere. Serve a poco discettare a chi attribuirne il merito. Ma non possiamo disconoscere che essa trovò, seppure limitata, applicazione legislativa nella Repubblica fascista di Mussolini.
La Sinistra Nazionale ha dimostrato nei fatti la sua rottura sia col fascismo di Fini sia col fascismo di Rauti. «Rottura» ben più netta e chiara di quella operata da quanti provenienti dalla esperienza marxista-leninista continuano (per certi versi giustamente!) a rimarcare alcuni aspetti positivi del «socialismo reale».
Su una questione hai assolutamente ragione: Alleanza Nazionale è senza ombra di dubbio un soggetto politico neofascista. E non solo perché al suo interno sono rimasti fascisti dichiarati come Tremaglia, Buontempo, Baghino, Franchi ecc., ma in quanto la sua proposta politica e palesemente legata alla cultura predominante nel Ventennio e che, seppure in forma annacquata, fu ereditata dalla Democrazia Cristiana. La pericolosità di Berlusconi e Fini quali battistrada di una deriva autoritaria che coinvolge ceti medi produttivi, capitalismo ultra-liberista e sottoproletariato (specie nel Sud Italia) «arretrato» è una realtà della quale siamo coscienti da tempo e che su "Aurora" abbiamo più volte sottolineato.
Epperò il «fascismo» di Forza Italia e Alleanza Nazionale è ben più pericoloso di quello del Ventennio; al suo vertice non vi è infatti un Rivoluzionario socialista (che mai cessò di essere tale!) che, pur tra tanti errori, evitò al «Regime» la totale deriva reazionaria inventando quello Stato Sociale (imitato dieci anni dopo da Roosevelt col tanto celebrato "New deal") che ancora oggi Romano Prodi celebra come «la più grande conquista umana del XX secolo». Nel giudizio e nell'analisi storica non mi pare un dato tanto marginale e trascurabile, da non tenere in alcun conto.

Luigi Costa

 

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