da "AURORA" n° 30 (Novembre - Dicembre 1995)

L'INTERVENTO

Intellettuali e civiltà

Domenico Naso

Leggo nelle pagine culturali de "la Repubblica" del 2/11/95 un articolo firmato da Franco Marcoaldi titolato "Istruzioni contro l'egoismo", che tratta un argomento oggi scottante che coinvolge molti pensatori sia di «destra» che di «sinistra»; la figura dell'intellettuale viene assunta come fulcro morale e spirituale di una società super-tecnologizzata, disanimata, nella quale gli uomini sono sempre più spesso spinti verso l'auto-affermazione di sé, avvinti in una spirale «egoistica», che rende frazionati ed incomprensibili i rapporti tra uomini.

Una società impazzita, eccitata, secondo l'articolista, tra «culti idolatrici e successivi, lunghissimi, torpori» (sic!). Un problema, oggi, non più dilazionabile, viste le prime avvisaglie deflagratrici sul piano economico e sociale, con tutte le conseguenti violenze e sopraffazioni che interessano gli uomini, i popoli, gli Stati.

Dicevo, argomento affrontato da più parti e più pensatori! Quest'articolo su "la Repubblica" ne è un esempio, un piccolo mattone, collocato arditamente in un compiuto sistema ideologico-culturale che sta maturando in risposta alla mostruosa creazione che è la società post-industriale e post-cristiana.

Ed ecco, a sorpresa, riesumato dal Marcoaldi, un intellettuale del nostro secolo, attraverso la recensione di un suo saggio "La filosofia perenne" edito da Adelphi: Aldous Huxlej. Questo intellettuale, sostiene il giornalista scalfariano, cerca di ricongiungere corpo e spirito, razionalità e fantasia. È con tacita soddisfazione che lo si afferma, tralasciando il fatto, ritenuto di poco conto che, Aldous Huxlej, non solo ha un nonno tra i fondatori della "Round Table" britannica, noto circolo mondialista, ma è lui stesso membro dell'ambigua "Fabian Society" e, tramite il fratello Julian, scienziato e premio Nobel, simpatizzante della "Golden Dawn" e della casa francese dell'Ordine Marxista, a cui Julian era vicino, per via dell'appartenenza al Club "Jean Moulin" di Jean Controt, noto per le sue ramificazioni nelle varie massonerie internazionali.

Questa è solo una brevissima sintesi delle frequentazioni dell'Huxlej, certo più importanti della sua formazione intellettuale, la quale può essere definita come una forma confusa di neo-spiritualismo misticheggiante di stampo marxista. La base della sua speculazione filosofica è, infatti, marxista, altro non essendo che una rielaborazione di messaggi cristiani, estrapolati dal loro contesto scritturistico, rivisitati alla luce di un dubbio emanazionismo guenonista con infiltrazioni darwiniste, che non distingue natura da sovra-natura, ma ne fa indebita confusione. Ciò è il prodotto culturale che viene presentato come la panacea spirituale del XXI secolo!

Purtroppo di questi «guru» (così lo definiva il bello e dannato Jim Morrison, di Huxlej figlio spirituale e testimone oculare in quel mondo di allucinogeni, di cui il Nostro di tanto in tanto faceva uso per le sue mistiche ricerche «interiori») ne abbiamo a sufficienza in questa società falsificata e falsificatrice.

Da qui l'esigenza di ridefinire una figura, per certi aspetti carismatica, dell'intellettuale, capace di operare una precisa scelta di campo, più che di cultura, di civiltà.

Nell'ottica di una scelta di civiltà, nella quale appresso ci dilungheremo, acquista senso e tono una frase dell'articolista Marcoaldi: «l'uomo contemporaneo si trova, secondo l'Huxlej, in una guerra civile cronica, stretto tra la bramosia scomposta dell'auto-affermazione e i timidi boccioli di una spiritualità nascente. Dovere dell'intellettuale è che la seconda prevalga ...». In questo dovere si ritrova il sapore di un riaggancio dell'intellettuale stesso, con l'unico vero spirito tradizionale.

Con le parole di Pietro De Francisci, noto studioso della Civiltà romana, i cui libri sono a tutt'oggi studiati nelle università italiane per la loro acutezza nella Storia del diritto romano, si può sostenere che concettualmente cultura e civiltà si differenziano. Il termine «cultura» ha un duplice significato: uno soggettivo, individuale, ossia l'insieme di cognizioni e di attitudini che distinguono l'uomo colto, erudito, teso nello sforzo di conoscenza, l'altro collettivo, cioè caratterizzante le correnti di pensiero prevalenti in un popolo o in una nazione. Secondo il Nostro questo è l'aspetto intellettuale, o meglio, razionale. Più vasto e complesso, che assorbe il primo, è il contenuto del termine «civiltà». Il De Francisci sostiene che «Civiltà non è soltanto manifestazione di attività prevalentemente in-tellettuali, ma espressione complessa e concreta di tutte le energie dello spirito; non è soltanto dominio dell'uomo sulla natura esteriore domata e trasformata ai fini della vita materiale, ma è al tempo stesso signoria dell'uomo sulla propria natura umana, coscienza di coordinazione ad altri uomini, di dipendenza dal Divino e dal trascendente, costruzione unitaria e continua sorretta da uno sforzo omogeneo».

Quanto basta! Qui viene scardinato non solo ciò che oggi viene usualmente definito «cultura» o «uomo intellettuale», il quale ha un senso solo e semplicemente razionalistico ed erudizionistico, oppure un atteggiamento spiritualistico soggettivo ed arbitrario, ma si viene a sotto- porre il generico «valore» culturale a quello di «civiltà» che lo assorbe.

Scelta di civiltà, essa stessa frutto di valori trascendenti, oggettivi, non transeunti; intellettuale, colui che sa intus-legere, guardarsi dentro, nel fondo della propria anima (anima intellettuale, secondo la definizione dei pensatori classici, diversa da quella sensibile e vegetativa), deposito della forza spirituale e della cosiddetta «scintilla divina».

Questa attività interiore, viene poi tradotta in valori positivi, razionali (cioè secondo princìpi di ragione) attraverso la coordinazione e la collaborazione con gli altri uomini. Ed è questo secondo passaggio che crea le istituzioni e le strutture socio-economiche atte a far partecipare la Nazione, sia attraverso l'attività politica, sia con l'adesione di tutti alla vita dello Stato, al mondo spirituale.

Questo perché, visto che l'Huxlej ama citare il vangelo e i Padri della Chiesa, le istituzioni, o meglio, lo Stato nel suo complesso, sono sì esse una necessitas naturale, ma anche e soprattutto una grazia sovra-naturale, preservante gli uomini dall'infinitas come rimedium peccati. Sant'Agostino sosteneva, a tal proposito, che «Dio ha posto i Re (lo Stato) per permettere agli uomini di possedere», possesso inteso in duplice senso, sia spirituale, sia materiale. Pertanto è errato e deviante parlare in nome di un presunto spiritualismo che, come è scritto nell'articolo in questione, «preserva gli uomini dalle tentazioni idolatriche delle cose nel tempo: dal Culto della Chiesa, dello Stato, di un futuro rivoluzionario»; perché il mondo naturale, con le sue strutture necessitate e necessitanti è riflesso, immagine di Dio, quindi è voluto da Dio stesso.

Se nelle intenzioni dell'Huxlej, da quanto si desume, vi è la riproposta di un organicismo, vista la sua speculazione «sull'armonia col Tao, con la divina natura delle cose», esso non deve esserlo in senso panteista, ma al limite panenteista. All'«auto-adorazione umanistica», che il Marcoaldi definisce secondo e successivo passaggio al «morire a sé stessi» per potersi accostare alla philosophia perenis dell'Huxlej, noi opponiamo il ben più chiaro e sano messaggio cristiano della «visione beatifica», frutto del «morire a sé stessi», ed è sempre, questo, un atto di «libera decisione», non di «libera necessità», caro Marcoaldi.

Ecco l'intellettuale, così definito, è figura connotata plasticamente quasi asceticamente inteso, come colui il quale fa da mediatore, o più semplicemente da controcanto all'attività politica in uno Stato, per cementare ed incentivare i politici e i cittadini al bene comune, alla civiltà, nella sua massima espressione.

In fondo era l'aspirazione del, a noi caro, Berto Ricci che, prima sul "Rosai", poi su "l'Universale", si batteva con questa convinzione radicata, da intellettuale impegnato, culturalmente incisivo sul piano socio-politico. Scelta di valori precisa, ben individuata, linea di pensiero coerente che forgia una tradizione nazionale e sociale, non un gioco di mischiamenti da prestigiatori, anzi da Theologhes philosofantes, che prendono un po' a prestito dal cristianesimo, un po' dal tantrismo, un po' dal criticismo kantiano, un po' da Spinoza, un po' da pensatori tardo-medioevali, facendone un minestrone buono per le menti, ormai costipate, di uomini e donne costretti a vivere in una società che fa buono tutto, purché renda commercialmente. Società, purtroppo che non lascia tempo di meditare, di riflettere, schiarire lo spirito, non per renderlo un «sofà», come è nell'intenzione di Huxlej ma per incitarlo alla lotta per la civiltà e la giustizia.

Caro Marcoaldi, ti chiedo venia, ma non credo, al contrario di te che sembri affascinato dall'Huxlej, alla «intelligenza fisiologica» che preserva dalle malattie cancerogene, perché mi sa, più di macrobiotica che di spirito; l'intelligenza serve a rendere la vita degna di essere vissuta, per una causa che la trascende e ne giustifica il sacrificio; solo così, esemplarmente, l'egoismo dell'uomo può essere superato.

Domenico Naso

 

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