da "AURORA" n° 36 (Settembre 1996)

TEMI E PROBLEMI DELLA SINISTRA

Rileggendo Enrico Berlinguer

Enrico Landolfi

Enrico Berlinguer è una vecchia passione culturale di chi redige queste note, il quale non è mai stato e non è comunista né sotto il profilo dell'affiliazione di partito né in sede di pura opzione teoretica. Comprensibile, quindi, che di tanto in tanto, si lasci vincere dalla tentazione di soffermarsi su alcuni tratti, tra i più significativi dell'iter politico, ideologico e storico di «Re Enrico» -così lo appellavano i suoi compagni del PCI e i giornalisti amici, non meno che i suoi più dichiarati e acerrimi avversari- consegnati a futura memoria sulla carta stampata. E ciò non al solo fine di una sorta di vacanza intellettuale, o di una nostalgica fuga dal vivo dalle vicende e dalle lotte ideali che caratterizzarono gli Anni Ottanta, ma per renderci conto di ciò che è ancora attuale e di ciò che irrimediabilmente appartiene al passato della elaborazione, del messaggio, del pensiero berlingueriano. Di più, per appurare quanto dei contenuti del berlinguerismo e da riattivare, ed anche con urgenza al fine di infrenare una certa deriva moderatista che non da oggi sembra suggestionare una quota niente affatto irrilevante della Sinistra. Fra le lodevoli eccezioni da segnalare con soddisfazione quella di Rifondazione Comunista e dal relativo quotidiano "Liberazione", che però -sia detto senza offesa ed arroganza alcuna, ma, anzi, con costruttiva simpatia e adeguata speranza- hanno altri «peccati» di orgoglio luciferino e di settarismo «rosso antico» da cancellare al più presto.
Da un intervista rilasciata al quotidiano del suo partito "l'Unità", e personalmente a Ferdinando Adornato, il 18 dicembre 1983, estrapoliamo questo brano attinente alle vexata questio della consistenza, del peso, del ruolo della classe operaia. Dice il segretario del Partito Comunista Italiano: «Ora che dobbiamo ormai considerare come un dato ineluttabile la progressiva diminuzione del peso specifico della classe operaia tradizionale le congiunture economiche sono, di volta in volta, accelerare e decelerare queste tendenze. Con le lotte sindacali e politiche si deve poi intervenire in questi processi per evitare che essi assumano un carattere selvaggio e si risolvano in un danno per i lavoratori. Ma la tendenza è quella».
Dunque Berlinguer non è un demagogo in cerca di facile e gratuita popolarità mediante la negazione dei processi oggettivi che, a livello tecnologico, contraddistinguono irreversibilmente il sistema produttivo suscitando seri e, talvolta, drammatici problemi con forti ripercussioni sulla condizione proletaria. Né, di conseguenza, cerca di guadagnarsi il favore delle masse lusingandole in perfetta malafede con sparate avventuristiche contro innovazioni obiettivamente restrittive ormai iscritte irreversibilmente nella cosiddetta «civiltà delle macchine». Con i piedi ben piantati sulla terra e con la testa che rifiuta di staccarsi dal collo, avverte con grande onestà lavoratori e sindacalisti che l'unica cosa seria per, quanto meno, limitare i danni è agire sulle conseguenze: ossia evitare che l'elettronica assuma un «carattere selvaggio» e finisca col «risolversi in un danno per i lavoratori».
Ma questo realismo non si spinge fino al punto di sostituire la moderazione, la consapevole concretezza con la rinuncia sic et simpliciter, con il sotterfugio trasformistico, con lo scetticismo dissolvitore, con la fuga dai princìpi e dagli impegni ideali. Magari truccando la diserzione con un funerale di prima classe... alla classe. Quella operaia, si intende.
In rapporto a quanto testè affermato, così si esprimeva l'ormai mitico leader di Botteghe Oscure: «Alcuni traggono da ciò la conclusione che le classe operaia è morta e che con essa muore anche la spinta principale alla trasformazione. Secondo me non è così. A condizione che si sappia individuare e conquistare per la trasformazione socialista altri strati della popolazione che assumono, anch'essi, in forma nuova, la figura di lavoratori sfruttati come i lavoratori intellettuali, i tecnici, i ricercatori. Sono anch'essi, come la classe operaia, una forza di trasformazione. E poi ci sono le donne, i giovani».
Insomma: lo storico capo del comunismo nostrano non poteva non «considerare come un dato ineluttabile la progressiva diminuzione della classe operaia», ma ben si guardava dall'errore di arguire da ciò la scomparsa di detta classe e, con essa, della possibilità stessa di battersi per l'instaurazione della società socialista. Tutt'altro! Berlinguer, infatti, traeva dalle nuove connotazioni assunte dal mondo produttivo ben altre conseguenze che una presunta «necessità» della capitolazione ideologica, dell'appiattimento sui valori borghesi, della omologazione al sistema capitalistico o persino della sua esaltazione, come oggi usa più di un settore della Sinistra. Anzi, segnalava l'esigenza di allargare le alleanze sociali, politiche e culturali agli altri strati popolari, alle altre «figure» di lavoratori sfruttati quali gli intellettuali, i tecnici, i ricercatori, al fine di coinvolgerli nella lotta per la costruzione del socialismo. C'è una bella differenza, quindi, da quel che vanno predicando e praticando i fautori del «partito all'americana», dell'«Ulivo che si fa partito», del «partito clintoniano e bobkennedyano», quasi fosse valsa la pena di liberare il massimo partito della Sinistra dall'ossequio alla guida dottrinaria, politica e diplomatica del Cremlino per poi consegnarlo al pilotaggio della Casa Bianca.
Incalzato dalle domande di un intervistatore niente affatto di comodo pur se comunista e in forza alla redazione de "l'Unità" il più illustre dei Berlinguer rifiuta anche di «mettere Marx in soffitta», come diceva nei bei tempi andati Filippo Turati, riformista vero, ossia con le riforme e non con le privatizzazioni e l'opzione liberal-democratica come i suoi tardi e ben poco degni epigoni di oggi. Asserisce infatti: «Mi pare però che sia ugualmente da respingere l'idea che questi nuovi processi costituiscano una confutazione del marxismo e di Marx in particolare. Il carattere sociale della produzione e anche dell'informazione come fattori di predominio è sempre ancora in contrasto con il carattere ristretto della conduzione economica. Questo assunto di Marx non è smentito neanche dalla rivoluzione elettronica».
Secondo noi, non è affatto necessario essere seguaci del pensiero di Marx per accettare l'analisi rapida ma tutta svolta in chiave marxista da Enrico Berlinguer. L'avrebbe accolta perfino Josè Antonio Primo De Rivera, abituato correttamente a distinguere (ci mette al corrente di ciò Maurice Bardéche, saggista francese dichiaratamente fascista, cognato di Robert Brasillach, in un suo volume di molti anni fa uscito col titolo "Cosa è il fascismo") tra materialismo storico e materialismo dialettico, il primo individuabile come strumento di analisi delle contraddizioni della società capitalista, il secondo configurabile come elaboratore di una concezione del mondo, dell'uomo, della vita assolutamente disomogenee rispetto ad una visione spiritualistica e metafisica.
Ferdinando Adornato, forse presago di ciò che avverrà una manciata di lustri dopo la sua conversazione con «Re Enrico», sposta ora il discorso sul tema del «partito di massa». E anche il lider maximo di allora del PCI non lascia spazio alle ipotesi di «partito all'americana», oggi curiosamente coltivato anche da vecchi (non di età, anzi) ed autorevoli berlingueriani. Ma prima di riprodurre l'esternazione del segretario comunista sembra a noi congruo sottoporre al lettore la domanda di Adornato: «Ma in un mondo nel quale le informazioni, anche le più sofisticate, possono arrivare direttamente nelle case della gente, resisterà il partito di massa? Avrà ancora spazio un partito che costruisce un proprio sistema autonomo di informazione con gli iscritti o l'informazione elettronica non spezzerà il circuito della partecipazione?»
Ed ecco l'integrale risposta dell'autorevolissimo interpellato: «La questione esiste ed è anche più seria di quella che poni. Non riguarda solo il PCI e i partiti di massa, ma riguarda il destino e la possibilità stessa dell'associazione collettiva. Io francamente credo che questa esigenza sia un'esigenza irrinunciabile dell'uomo e continuerà a permanere anche se in forme diverse dal passato. La lotta, la pressione di massa è ancora sempre necessaria. Certo si può immaginare un mondo nel quale la politica si riduce solo al voto e ai sondaggi, ma questo sarebbe inaccettabile perché significherebbe stravolgere l'essenza della vita democratica ...».
Più chiaro di così... È però stupefacente l'antiveggenza di Enrico Berlinguer. Siamo nel 1983 e leggendo queste poche parole si è pienamente pervasi dalla sensazione che il capo del più grande partito comunista dell'occidente già vedesse profilarsi su di un orizzonte non tanto lontano le sagome abbastanza inquietanti di Silvio Berlusconi con i suoi televideo, del Gianfranco Fini con i suoi ridicoli giuramenti «antifascisti» e, perché non dirlo?, dei suoi comunisti pseudo-modernizzanti con i loro «partiti all'americana», con il loro «clintonismo», con le loro privatizzazioni, con le loro soggezioni agli imperativi dei «mercati finanziari», con la loro sovranità del consumo, con la loro invalicabili regole liberiste del «mercato», con le loro ubbie di superamento dello «Stato sociale», con la loro incipiente insofferenza verso lo «Statuto dei lavoratori». Un Berlinguer, insomma, presago dell'apparizione sulla scena oscurobotteghista di qualche Cristoforo Colombo di troppo, in versione rossa, voglioso di «scoprire l'America» e, soprattutto, di farsene scoprire. Un Berlinguer, inoltre, preoccupato della potenziale propensione di certi suoi compagni e pupilli di rassomigliare molto, tanto, troppo all'avversario -l'avversario di classe, come si diceva nei bei tempi andati- fino a non potersi sufficientemente distinguere, nella illusione di carpirgli i consensi moderati.
Questa rivisitazione di Enrico Berlinguer e di aspetti di particolare interesse del suo pensiero, pare a noi interessante, soprattutto a livello di confronto con quanto avviene oggi in alcune zone di quello che con ogni probabilità sarebbe ancora il suo partito, pertanto non mancheremo di presto occuparci ancora delle sue idee che, all'epoca, tanto cambiarono il PCI.

Enrico Landolfi

 

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