da "AURORA" n° 38 (Gennaio 1997)

OLTRECONFINE

da "Tribune de Europa"

Parla Juan Domingo Peròn

Ermanno Massari (trad.)

"Aurora" ha il piacere di pubblicare l'intervista concessa da Juan Domingo Peròn il 7 novembre 1968 a Jean Thiriart e che fu pubblicata in francese per la rivista belga "La Nation Europeen" n° 30 nel febbraio 1969.
Il presente testo è indubbiamente un importante documento che ci mostra il vero contenuto rivoluzionario del Generale Peròn, conduttore indiscutibile di un movimento di liberazione nazionale decisamente contrario agli imperialismi, principalmente a quello yankee e che, come tale, propone l'unificazione continentale dell'America Latina, così come la coordinazione militante con le forze rivoluzionarie del Terzo Mondo e con tutti coloro che si confrontano con l'ingiusto ordine stabilito dalle grandi potenze.
Il peronismo si trova così, per non rinnegare i suoi postulati, ad adottare una terza posizione: né capitalismo né comunismo, esplicitamente vicino a rivoluzionari come Fidel Castro, Ernesto «Che» Guevara, Nasser e Mao Tse Tung, seguendo il principio «i nemici del mio nemico, l'imperialismo, sono i miei nemici».
Un messaggio, in definitiva, che niente ha a che vedere con la tradizione liberale di Menem, che è passato, armi e bagagli, a quel nemico oligarca e imperialista che il vero peronismo ha sempre combattuto.

J. Thiriart: Juan Peròn, potrebbe parlarci brevemente dell'opera appena pubblicata "L'ora dei popoli"?
J. D. Peròn: In quel libro ho voluto dare una visione congiunta dell'impresa per la dominazione capitalista in America Latina. Io penso che i paesi latino-americani si incamminino verso la loro liberazione. È chiaro, questa liberazione sarà lunga e difficile giacché interessa la totalità dei paesi dell'America del Sud. Non è pensabile affatto che ci sia un uomo libero in un paese schiavo, ne un paese libero in un continente schiavo. Durante dieci anni in Argentina con il governo giustizialista abbiamo vissuto in una nazione sovrana. Nessuna persona poteva intromettersi nei nostri affari interni senza dover discutere con noi. Però durante questi dieci anni l'insieme delle forze imperialiste, che dominano attualmente il mondo, ci ha presi in noia. Una quinta colonna di «lacchè», come noi li chiamiamo, ha iniziato un efficace lavoro di zappa e il governo da me presieduto fu abbattuto.
Ciò prova che se i popoli possono arrivare a liberarsi dalla schiavitù imperialista, rimane molto più difficile per loro conservar l'indipendenza, poiché le forze internazionali che io denuncio, prendono loro la mano. In tal senso la caduta del giustizialismo deve essere una lezione e una esperienza per tutti i paesi che vogliono liberarsi e tali rimanere.
Bisogna intraprendere la lotta di liberazione dei paesi dell'America del Sud come una lotta globale o a livello di continente e in tale lotta ogni paese deve essere solidale coi propri vicini e fra loro deve esserci pieno appoggio.
Il primo imperativo per questi paesi è perciò unirsi e integrarsi. Il secondo punto è realizzare una alleanza effettiva con il Terzo Mondo. Così come noi, i miei collaboratori e io, prevedemmo venticinque anni fa. Questa è la via che bisogna indicare ai popoli sud-americani; non solo ai dirigenti, ma anche alle masse popolari che devono prendere coscienza delle necessità della lotta contro l'imperialismo.
Unificare il continente, liberarlo dalle influenze estere e allearsi col Terzo Mondo per partecipare nelle file mondiali alla lotta contro l'imperialismo sono, di conseguenza, i primi obiettivi.
Dopo il processo di liberazione interna può avvenire che il popolo ottenga il governo che reclama tutti i giorni e che gli è negato in continuazione, a causa della successione di dittature effimere e di governi fantoccio collocati grazie a imposizioni, mai ad elezioni, e che mantengono il popolo sotto diverse dominazioni. È questo il processo che il mio libro vuol fare comprendere alle masse popolari.

Jean Thiriart: C'è in America del Sud una classe sociale, una borghesia, che collabora sistematicamente con gli Stati Uniti?
J. D. Peròn: Disgraziatamente sì! Nel nostro paese, la divisione tra il popolo e l'oligarchia capitalista è molto netta. Lo stesso è tra il popolo e la nuova borghesia di mercanti che si sviluppa rapidamente. In ogni industriale che si fa ricco dorme un oligarca in potenza. L'oligarchia che domina il paese non può sottostimare le forze di lotta delle immense masse popolari che esigono la loro libertà.
Questo è il movimento che noi abbiamo messo in marcia, in certa misura, durante i dieci anni di governo giustizialista. Il giustizialismo è una forma di socialismo, un socialismo nazionale, che risponde alle necessità e alle condizioni di vita dell'Argentina. È naturale che questo socialismo abbia entusiasmato le masse popolari e che in conseguenza di ciò si manifestino le rivendicazioni sociali. Esso ha creato un sistema sociale di fatto totalmente nuovo e totalmente differente dall'antico liberalismo «democratico» che ha dominato il paese e che si era posto, senza alcuna vergogna, al servizio dell'imperialismo yankee.

Jean Thiriart: In Europa gli americani hanno corrotto tutte le tendenze politiche, dall'estrema destra all'estrema sinistra. Ci sono collaboratori venduti agli Stati Uniti, in identica maniera, tra socialisti, cattolici e liberali. Gli americani arrivano a comprare tutti i partiti. Vede Lei lo stesso fenomeno in America Latina?
J. D. Peròn: Esattamente. Gli americani utilizzano la stessa tecnica in tutto il mondo. In seguito procedono alla penetrazione economica, per mezzo di quell'oligarchia di cui ho parlato prima e che ha incontrato un sostanziale interesse... Subito tutti i settori politici vengono posti sotto pressione, così se non possono comprarli, controllarli, condizionarli, gli americani tentano di farli cadere e così dividere le forze politiche nazionali. La CIA è maestra nell'arte di organizzare provocazioni. Ottenuti questi obiettivi, attaccano gli ambienti militari, ove penetrano con diversi mezzi, il più efficace dei quali è certamente l'utilizzazione liberale della corruzione. È così, come hanno operato nel Sud-Vietnam, con qualche «consigliere militare» la cui attività principale è stata quella di corrompere generali la cui integrità morale è lontana dall'essere a tutta prova, e che non si sono negati a concessioni e vantaggi finanziari considerevoli (donazioni di azioni in società straniere o nomine in posti di direzione generali di società). Con questi uomini comprati dall'imperialismo americano, resta solo di organizzare il colpo di stato militare che imporrà la dittatura, come nel caso dell'Argentina, del Brasile, dell'Ecuador e, in seguito, del Perù e di Panama. Il metodo è sempre lo stesso. In ultima fase, una volta presa la situazione nelle loro mani, gli americani cominciano ad accaparrare tutte le ricchezze economiche del paese, mettendo sistematicamente il bavaglio a tutte le forze politiche e sociali di opposizione. Questo è il meccanismo in America del Sud, in Asia, in Europa e in qualsiasi parte.

Jean Thiriart: In Europa gli americani hanno potuto controllare i movimenti il cui obiettivo ufficiale è l'Unione Europea. Così a Bruxelles i movimenti pro-europei paralleli al Mercato Comune, sono stati oggetto di tale infiltrazione a tal punto da proclamare che «occorre fare l'Europa con gli americani». Ciò è evidentemente stupido perché l'unificazione europea, come abbiamo esposto molte volte in "La Nation Europeen", implica l'uscita degli americani. Inoltre questi ultimi sono in tal maniera abili che sono arrivati a prendere nelle loro mani la tendenza Europea per meglio soffocarla e per meglio farla fallire. Torniamo, però, in America Latina. Alcuni governi tentano di resistere alla penetrazione americana?
J. D. Peròn: Praticamente no, perché noi stiamo in una fase di dominio quasi assoluta. Ci sono, sicuramente, alcuni governi non ancora incancreniti dall'imperialismo americano, pur nel contesto di generale sottomissione che impone loro il carattere di alleanze irrisorie e, poiché isolati, adottano per affrontare quell'imperialismo, misure che non arrivano a raggruppare una vera opposizione. D'altra parte, tutti i movimenti rivoluzionari di opposizione all'imperialismo in America del Sud sono perseguiti, particolarmente in Argentina. Ciò è ugualmente vero per tutto il mondo, perché tutti i paesi, in generale, sono più o meno dominati, direttamente o indirettamente, dall'influenza imperialista, che è strumentalizzata dall'imperialismo americano o da quello sovietico. I due in fondo, sono d'accordo per una «amichevole» spartizione del mondo.

Jean Thiriart: Cosa pensa del perché i russi hanno apparentemente abbandonato tutta l'azione rivoluzionaria in America Latina? Per un tacito accordo e con la promessa di un non-intervento americano in altre parti del mondo, i russi avrebbero promesso agli americani di non fare niente in America Latina?
J. D. Peròn: Certamente sì! È lo stesso fenomeno che accade in Europa. A Yalta il mondo è stato diviso in due zone di influenza per due «superpotenze»: una ad Est, oltre la «cortina di ferro», e l'altra ad Ovest. E così che l'occupazione della Cecoslovacchia e dell'Ungheria nel '56 si fecero con il tacito consenso degli americani.
Reciprocamente lo sfruttamento economico e politico dell'Europa dell'Ovest per gli americani non è possibile che con l'accordo dei russi. Yalta ha diviso il mondo in due «riserve di caccia» a vantaggio delle due potenze imperialiste. È a Potsdam che furono firmati i trattati per i quali i russi e gli americani sono legati. A Yalta e a Potsdam, Stalin ha imposto la sua volontà a due uomini di Stato già quasi moribondi, Roosevelt e Churchill. Dopo la conferenza di Yalta, i trattati di Potsdam hanno forza di legge permanente e sono inseriti nel Diritto Pubblico Internazionale. L'occupazione della Cecoslovacchia è la conseguenza diretta di Yalta e Potsdam. Nessuno può, in buona fede, negarlo. Chi può opporsi a questa situazione di fatto? Il Terzo Mondo? Ma il Terzo Mondo si trova diviso e non a causa di tutti coloro che desiderano la propria libertà. Il problema della liberazione dei nostri paesi troverà la sua soluzione solamente a lungo termine. È il problema non di una generazione ma di varie generazioni che dovranno lottare con tutte le loro forze per la liberazione ventura.
In Argentina, il movimento Giustizialista, il movimento peronista, comprende il novanta per cento della gioventù. Questo è essenziale, perché la gioventù rappresenta l'avvenire e la nostra azione è orientata verso il futuro. Noi, i vecchi, abbiamo compiuto il nostro dovere, lasceremo adesso la bandiera ai giovani.

Jean Thiriart: La liberazione della sola Argentina o del solo Cile, vi sembra destinata al fallimento? Secondo lei, i differenti movimenti di liberazione dovrebbero essere simultanei e esercitarsi in scala continentale? Lei è allora un sostenitore risoluto dell'integrazione?
J. D. Peròn: Sì. Perché io credo in un certo determinismo storico. Il mondo è sempre stato sotto la dominazione di un imperialismo. Adesso noi abbiamo la sfortuna di dover lottare contro due imperialismi complici. Però la spinta degli imperialismi segue una curva parabolica e una volta raggiunto il punto più alto della cima della curva comincia la decadenza. Noi abbiamo visto che questi imperialismi possono essere rovesciati o tagliati fuori solo dall'integrazione di tutti i movimenti di lotta e di tutte le forze interessate. Ma tale «sacra unione» è lunga e difficile da realizzare; ciò permette agli imperialismi di godere di giorni felici. Solamente un pericolo li minaccia: la corruzione è ben sviluppata in America del Nord e così come in Russia e loro internamente stanno marcendo. Bisogna servirsi di ciò per partecipare al processo di degradazione. Per il futuro una lotta isolata, per quanto eroica che sia, risulterà vana.
Credo che siamo giunti a una fase della storia umana che sarà ricordata per la decadenza delle grandi potenze dominanti.
Siamo arrivati al termine di una evoluzione della umanità che dall'uomo delle caverne fino ai nostri giorni arriva all'integrazione. Dall'individuo alla famiglia, alla tribù, alla città, allo stato feudale, alle nazioni attuali, siamo arrivati all'integrazione continentale. Attualmente in confronto ad alcuni colossi, USA, Russia, Cina, un solo paese non rappresenta una grande forza e in futuro, in un mondo dove l'Europa si va ad integrare come l'America e l'Asia, le nazioni isolate di piccole dimensioni non potranno sopravvivere più. Oggi per vivere come potenza occorre unirsi in un blocco, come quelli già esistenti, o come quelli che sono sul punto di formarsi. L'Europa si unirà o soccomberà. Per l'anno 2000 ci sarà un Europa unita o dominata. Ciò è uguale per l'America Latina.
Un Europa unita conterà una popolazione di 500 milioni di abitanti. Il continente sud-americano ne conta, ora, 250 milioni. Tali blocchi saranno rispettati e si opporranno efficacemente alla dominazione degli imperialismi.

Jean Thiriart: Ritiene che il lavoro di agitazione intrapreso da Fidel Castro sia utile alla causa latino-americana?
J. D. Peròn: Assolutamente, Castro è un promotore della liberazione. Lui ha dovuto appoggiarsi ad un imperialismo perché la vicinanza dell'altro minacciava di schiacciarlo. Però l'obiettivo dei cubani è la liberazione dei popoli dell'America Latina. Essi non hanno altra intenzione che quella di costruire un avamposto per la liberazione dei paesi continentali. «Che» Guevara è un simbolo di quella liberazione. Lui è stato grande perché ha servito una grande causa, fino a finire per incarnarla. Lui è l'uomo di un ideale. Molti grandi uomini sono passati inosservati perché non avevano una causa nobile da servire. Viceversa, uomini semplici, normali, lontani dall'essere predestinati a tale immagine, che non sono super-uomini ma semplicemente uomini, sono diventati grandi eroi perché hanno potuto servire una nobile causa.

Jean Thiriart: Lei ha l'impressione che i sovietici impediscano a Castro di esercitare un'azione importante in America Latina? In che maniera loro impedirebbero a Castro di andare oltre un certo livello di agitazione?
J. D. Peròn: Perfettamente. Quel ruolo i russi non lo giocano, d'altra parte, solamente a Cuba. Così Guevara, dopo aver compiuto la sua missione a Cuba, partì per l'Africa per entrar in contatto con il movimento comunista africano. Però i responsabili di quel movimento avevano ricevuto l'ordine di non aiutare Guevara. Guevara dovette lasciare l'Africa perché i russi agivano lì. Un conflitto opponeva, nel Congo, i due imperialismi concorrenti. Le due tendenze che loro rappresentano, in certi momenti, devono unire le loro forze per difendere la stessa causa: quella dell'ordine stabilito. È logico, loro difendono l'imperialismo e non la libertà dei popoli.

Jean Thiriart: Che penserebbe lei della messa in funzione di un sistema mondiale di informazione e di collegamento fra tutte le forze che lottano contro gli imperialismi russo e americano e dell'unione di un certo numero di sforzi politici?
J. D. Peròn: Bisogna considerare che l'unificazione deve essere il principale obiettivo di tutti coloro che lottano per la stessa causa. Dico unificazione e non «unione» o «associazione». Occorre integrarsi. Perché, dopo, noi avremo l'occasione di fare e, per un'azione efficace, bisogna essere integrati e non solamente associati.

Jean Thiriart: Lei stima, di conseguenza, che occorra andare più lontano, molto più lontano che non la semplice unione nell'alleanza tattica con i nemici dell'imperialismo americano. Anche con Castro, anche con gli arabi, anche con Mao Tse Tung se ciò fosse necessario? Lei pensa che il nemico sia talmente vigoroso e forte per cui occorrerà mettersi tutti assieme per combatterlo, facendo attenzione a lasciare da parte le differenze ideologiche?
J. D. Peròn: Io non sono comunista. Io sono giustizialista. Però io non ho diritto di volere che la Cina sia pure giustizialista. Se i cinesi vogliono essere comunisti perché vorremmo noi a tutti i costi «renderli felici» contro la loro volontà? Loro sono liberi di scegliere il regime che desiderano anche se differente dal nostro. Però se i cinesi lottano contro la stessa dominazione imperialista come noi, allora sono nostri compagni di lotta. Lo stesso Mao ha detto: «La prima cosa da distinguere è la vera identità degli amici e dei nemici. Subito si può agire». Io sono dell'idea di alleanze tattiche, secondo la formula: «I nemici dei nostri nemici sono nostri amici».

Jean Thiriart: Secondo lei il Mediterraneo Orientale potrà essere nei prossimi mesi il fuoco di un conflitto più importante?
J. D. Peròn: Considero che la situazione in Europa non è mai stata tanto pericolosa come attualmente. Tutto ciò che l'Europa ha fatto per evitare di essere di nuovo un campo di battaglia in una prossima guerra può essere ridotto a niente. Con le basi sovietiche in Africa, la flotta russa nel Mediterraneo, le 125 divisioni del Patto di Varsavia, di fronte a una NATO in declino che in tutti i modi non sa rimpiazzare un esercito europeo moderno, l'Europa potrebbe essere invasa in poche settimane, se i russi lo decidessero. È certo che la miccia del Medio Oriente può essere l'origine di un conflitto che sarà quasi impossibile da limitare, e in cui l'Europa potrebbe essere una delle prime vittime, nel suo attuale stato di divisione.

Jean Thiriart: In tale visione, la Palestina Le sembra destinata a trasformarsi in un secondo Viet-Nam e sottoposta a una guerra localizzata?
J. D. Peròn: Si perché il Medio Oriente ha una importanza strategica molto grande. È il ponte fra due continenti che si svegliano: Asia e Africa. Ciò è la causa della conseguente lotta fra Israele e i paesi arabi; gli americani e i russi si affrontano in una accanita lotta di influenze il cui fine è la possessione di un punto strategico.

Jean Thiriart: La ringrazio molto. Io ora ho finito con le mie domande. Vuol fare una dichiarazione su temi particolari?
J. D. Peròn: Leggo abitualmente «La Nation Europeen» e condivido interamente le sue idee. Non solamente per quanto riguarda l'Europa, ma il mondo. Un solo rimprovero, io avrei preferito al titolo «La Nation Europeen» quello di «Mondo Nuovo». Perché l'Europa sola, nel futuro, non avrà tutte le risorse sufficienti per la difesa dei propri interessi. Oggi gli interessi particolari si difendono in posti lontani. L'Europa deve pensarlo. Deve integrarsi, certo, ma nella sua integrazione deve stringere contatti con gli altri paesi in via di integrazione.
In particolare, l'America Latina, che è un elemento essenziale, deve allearsi all'Europa. Noi latino-americani siamo europei e non di tendenza americana. Io personalmente mi sento più francese, più spagnolo, più tedesco che americano. Il vecchio ebreo Disraeli aveva ragione quando diceva: «I popoli non hanno amici né nemici permanenti, hanno interessi permanenti». Si devono associare questi interessi, anche se sono geograficamente lontani, perché l'Europa continui ad essere la prima potenza civilizzatrice del mondo.

Ermanno Massari (trad.)

 

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