da "Tribune de Europa"
Parla Juan Domingo Peròn
Ermanno Massari (trad.)
"Aurora" ha il piacere di pubblicare
l'intervista concessa da Juan Domingo Peròn il 7 novembre 1968 a Jean Thiriart e che fu
pubblicata in francese per la rivista belga "La Nation Europeen" n° 30 nel
febbraio 1969.
Il presente testo è indubbiamente un importante documento che ci mostra il vero contenuto
rivoluzionario del Generale Peròn, conduttore indiscutibile di un movimento di
liberazione nazionale decisamente contrario agli imperialismi, principalmente a quello
yankee e che, come tale, propone l'unificazione continentale dell'America Latina, così
come la coordinazione militante con le forze rivoluzionarie del Terzo Mondo e con tutti
coloro che si confrontano con l'ingiusto ordine stabilito dalle grandi potenze.
Il peronismo si trova così, per non rinnegare i suoi postulati, ad adottare una terza
posizione: né capitalismo né comunismo, esplicitamente vicino a rivoluzionari come Fidel
Castro, Ernesto «Che» Guevara, Nasser e Mao Tse Tung, seguendo il principio «i nemici
del mio nemico, l'imperialismo, sono i miei nemici».
Un messaggio, in definitiva, che niente ha a che vedere con la tradizione liberale di
Menem, che è passato, armi e bagagli, a quel nemico oligarca e imperialista che il vero
peronismo ha sempre combattuto.
J. Thiriart: Juan Peròn, potrebbe parlarci brevemente dell'opera appena
pubblicata "L'ora dei popoli"?
J. D. Peròn: In quel libro ho voluto dare una visione congiunta
dell'impresa per la dominazione capitalista in America Latina. Io penso che i paesi
latino-americani si incamminino verso la loro liberazione. È chiaro, questa liberazione
sarà lunga e difficile giacché interessa la totalità dei paesi dell'America del Sud.
Non è pensabile affatto che ci sia un uomo libero in un paese schiavo, ne un paese libero
in un continente schiavo. Durante dieci anni in Argentina con il governo giustizialista
abbiamo vissuto in una nazione sovrana. Nessuna persona poteva intromettersi nei nostri
affari interni senza dover discutere con noi. Però durante questi dieci anni l'insieme
delle forze imperialiste, che dominano attualmente il mondo, ci ha presi in noia. Una
quinta colonna di «lacchè», come noi li chiamiamo, ha iniziato un efficace lavoro di
zappa e il governo da me presieduto fu abbattuto.
Ciò prova che se i popoli possono arrivare a liberarsi dalla schiavitù imperialista,
rimane molto più difficile per loro conservar l'indipendenza, poiché le forze
internazionali che io denuncio, prendono loro la mano. In tal senso la caduta del
giustizialismo deve essere una lezione e una esperienza per tutti i paesi che vogliono
liberarsi e tali rimanere.
Bisogna intraprendere la lotta di liberazione dei paesi dell'America del Sud come una
lotta globale o a livello di continente e in tale lotta ogni paese deve essere solidale
coi propri vicini e fra loro deve esserci pieno appoggio.
Il primo imperativo per questi paesi è perciò unirsi e integrarsi. Il secondo punto è
realizzare una alleanza effettiva con il Terzo Mondo. Così come noi, i miei collaboratori
e io, prevedemmo venticinque anni fa. Questa è la via che bisogna indicare ai popoli
sud-americani; non solo ai dirigenti, ma anche alle masse popolari che devono prendere
coscienza delle necessità della lotta contro l'imperialismo.
Unificare il continente, liberarlo dalle influenze estere e allearsi col Terzo Mondo per
partecipare nelle file mondiali alla lotta contro l'imperialismo sono, di conseguenza, i
primi obiettivi.
Dopo il processo di liberazione interna può avvenire che il popolo ottenga il governo che
reclama tutti i giorni e che gli è negato in continuazione, a causa della successione di
dittature effimere e di governi fantoccio collocati grazie a imposizioni, mai ad elezioni,
e che mantengono il popolo sotto diverse dominazioni. È questo il processo che il mio
libro vuol fare comprendere alle masse popolari.
Jean Thiriart: C'è in America del Sud una classe sociale, una borghesia,
che collabora sistematicamente con gli Stati Uniti?
J. D. Peròn: Disgraziatamente sì! Nel nostro paese, la divisione tra il
popolo e l'oligarchia capitalista è molto netta. Lo stesso è tra il popolo e la nuova
borghesia di mercanti che si sviluppa rapidamente. In ogni industriale che si fa ricco
dorme un oligarca in potenza. L'oligarchia che domina il paese non può sottostimare le
forze di lotta delle immense masse popolari che esigono la loro libertà.
Questo è il movimento che noi abbiamo messo in marcia, in certa misura, durante i dieci
anni di governo giustizialista. Il giustizialismo è una forma di socialismo, un
socialismo nazionale, che risponde alle necessità e alle condizioni di vita
dell'Argentina. È naturale che questo socialismo abbia entusiasmato le masse popolari e
che in conseguenza di ciò si manifestino le rivendicazioni sociali. Esso ha creato un
sistema sociale di fatto totalmente nuovo e totalmente differente dall'antico liberalismo
«democratico» che ha dominato il paese e che si era posto, senza alcuna vergogna, al
servizio dell'imperialismo yankee.
Jean Thiriart: In Europa gli americani hanno corrotto tutte le tendenze
politiche, dall'estrema destra all'estrema sinistra. Ci sono collaboratori venduti agli
Stati Uniti, in identica maniera, tra socialisti, cattolici e liberali. Gli americani
arrivano a comprare tutti i partiti. Vede Lei lo stesso fenomeno in America Latina?
J. D. Peròn: Esattamente. Gli americani utilizzano la stessa tecnica in
tutto il mondo. In seguito procedono alla penetrazione economica, per mezzo di
quell'oligarchia di cui ho parlato prima e che ha incontrato un sostanziale interesse...
Subito tutti i settori politici vengono posti sotto pressione, così se non possono
comprarli, controllarli, condizionarli, gli americani tentano di farli cadere e così
dividere le forze politiche nazionali. La CIA è maestra nell'arte di organizzare
provocazioni. Ottenuti questi obiettivi, attaccano gli ambienti militari, ove penetrano
con diversi mezzi, il più efficace dei quali è certamente l'utilizzazione liberale della
corruzione. È così, come hanno operato nel Sud-Vietnam, con qualche «consigliere
militare» la cui attività principale è stata quella di corrompere generali la cui
integrità morale è lontana dall'essere a tutta prova, e che non si sono negati a
concessioni e vantaggi finanziari considerevoli (donazioni di azioni in società straniere
o nomine in posti di direzione generali di società). Con questi uomini comprati
dall'imperialismo americano, resta solo di organizzare il colpo di stato militare che
imporrà la dittatura, come nel caso dell'Argentina, del Brasile, dell'Ecuador e, in
seguito, del Perù e di Panama. Il metodo è sempre lo stesso. In ultima fase, una volta
presa la situazione nelle loro mani, gli americani cominciano ad accaparrare tutte le
ricchezze economiche del paese, mettendo sistematicamente il bavaglio a tutte le forze
politiche e sociali di opposizione. Questo è il meccanismo in America del Sud, in Asia,
in Europa e in qualsiasi parte.
Jean Thiriart: In Europa gli americani hanno potuto controllare i
movimenti il cui obiettivo ufficiale è l'Unione Europea. Così a Bruxelles i movimenti
pro-europei paralleli al Mercato Comune, sono stati oggetto di tale infiltrazione a tal
punto da proclamare che «occorre fare l'Europa con gli americani». Ciò è evidentemente
stupido perché l'unificazione europea, come abbiamo esposto molte volte in "La
Nation Europeen", implica l'uscita degli americani. Inoltre questi ultimi sono in tal
maniera abili che sono arrivati a prendere nelle loro mani la tendenza Europea per meglio
soffocarla e per meglio farla fallire. Torniamo, però, in America Latina. Alcuni governi
tentano di resistere alla penetrazione americana?
J. D. Peròn: Praticamente no, perché noi stiamo in una fase di dominio
quasi assoluta. Ci sono, sicuramente, alcuni governi non ancora incancreniti
dall'imperialismo americano, pur nel contesto di generale sottomissione che impone loro il
carattere di alleanze irrisorie e, poiché isolati, adottano per affrontare
quell'imperialismo, misure che non arrivano a raggruppare una vera opposizione. D'altra
parte, tutti i movimenti rivoluzionari di opposizione all'imperialismo in America del Sud
sono perseguiti, particolarmente in Argentina. Ciò è ugualmente vero per tutto il mondo,
perché tutti i paesi, in generale, sono più o meno dominati, direttamente o
indirettamente, dall'influenza imperialista, che è strumentalizzata dall'imperialismo
americano o da quello sovietico. I due in fondo, sono d'accordo per una «amichevole»
spartizione del mondo.
Jean Thiriart: Cosa pensa del perché i russi hanno apparentemente
abbandonato tutta l'azione rivoluzionaria in America Latina? Per un tacito accordo e con
la promessa di un non-intervento americano in altre parti del mondo, i russi avrebbero
promesso agli americani di non fare niente in America Latina?
J. D. Peròn: Certamente sì! È lo stesso fenomeno che accade in Europa.
A Yalta il mondo è stato diviso in due zone di influenza per due «superpotenze»: una
ad Est, oltre la «cortina di ferro», e l'altra ad Ovest. E così che l'occupazione della
Cecoslovacchia e dell'Ungheria nel '56 si fecero con il tacito consenso degli americani.
Reciprocamente lo sfruttamento economico e politico dell'Europa dell'Ovest per gli
americani non è possibile che con l'accordo dei russi. Yalta ha diviso il mondo in due
«riserve di caccia» a vantaggio delle due potenze imperialiste. È a Potsdam che furono
firmati i trattati per i quali i russi e gli americani sono legati. A Yalta e a Potsdam,
Stalin ha imposto la sua volontà a due uomini di Stato già quasi moribondi, Roosevelt e
Churchill. Dopo la conferenza di Yalta, i trattati di Potsdam hanno forza di legge
permanente e sono inseriti nel Diritto Pubblico Internazionale. L'occupazione della
Cecoslovacchia è la conseguenza diretta di Yalta e Potsdam. Nessuno può, in buona fede,
negarlo. Chi può opporsi a questa situazione di fatto? Il Terzo Mondo? Ma il Terzo Mondo
si trova diviso e non a causa di tutti coloro che desiderano la propria libertà. Il
problema della liberazione dei nostri paesi troverà la sua soluzione solamente a lungo
termine. È il problema non di una generazione ma di varie generazioni che dovranno
lottare con tutte le loro forze per la liberazione ventura.
In Argentina, il movimento Giustizialista, il movimento peronista, comprende il novanta
per cento della gioventù. Questo è essenziale, perché la gioventù rappresenta
l'avvenire e la nostra azione è orientata verso il futuro. Noi, i vecchi, abbiamo
compiuto il nostro dovere, lasceremo adesso la bandiera ai giovani.
Jean Thiriart: La liberazione della sola Argentina o del solo Cile, vi
sembra destinata al fallimento? Secondo lei, i differenti movimenti di liberazione
dovrebbero essere simultanei e esercitarsi in scala continentale? Lei è allora un
sostenitore risoluto dell'integrazione?
J. D. Peròn: Sì. Perché io credo in un certo determinismo storico. Il
mondo è sempre stato sotto la dominazione di un imperialismo. Adesso noi abbiamo la
sfortuna di dover lottare contro due imperialismi complici. Però la spinta degli
imperialismi segue una curva parabolica e una volta raggiunto il punto più alto della
cima della curva comincia la decadenza. Noi abbiamo visto che questi imperialismi possono
essere rovesciati o tagliati fuori solo dall'integrazione di tutti i movimenti di lotta e
di tutte le forze interessate. Ma tale «sacra unione» è lunga e difficile da
realizzare; ciò permette agli imperialismi di godere di giorni felici. Solamente un
pericolo li minaccia: la corruzione è ben sviluppata in America del Nord e così come in
Russia e loro internamente stanno marcendo. Bisogna servirsi di ciò per partecipare al
processo di degradazione. Per il futuro una lotta isolata, per quanto eroica che sia,
risulterà vana.
Credo che siamo giunti a una fase della storia umana che sarà ricordata per la decadenza
delle grandi potenze dominanti.
Siamo arrivati al termine di una evoluzione della umanità che dall'uomo delle caverne
fino ai nostri giorni arriva all'integrazione. Dall'individuo alla famiglia, alla tribù,
alla città, allo stato feudale, alle nazioni attuali, siamo arrivati all'integrazione
continentale. Attualmente in confronto ad alcuni colossi,
USA, Russia, Cina, un solo paese
non rappresenta una grande forza e in futuro, in un mondo dove l'Europa si va ad integrare
come l'America e l'Asia, le nazioni isolate di piccole dimensioni non potranno
sopravvivere più. Oggi per vivere come potenza occorre unirsi in un blocco, come quelli
già esistenti, o come quelli che sono sul punto di formarsi. L'Europa si unirà o
soccomberà. Per l'anno 2000 ci sarà un Europa unita o dominata. Ciò è uguale per
l'America Latina.
Un Europa unita conterà una popolazione di 500 milioni di abitanti. Il continente
sud-americano ne conta, ora, 250 milioni. Tali blocchi saranno rispettati e si opporranno
efficacemente alla dominazione degli imperialismi.
Jean Thiriart: Ritiene che il lavoro di agitazione intrapreso da Fidel
Castro sia utile alla causa latino-americana?
J. D. Peròn: Assolutamente, Castro è un promotore della liberazione.
Lui ha dovuto appoggiarsi ad un imperialismo perché la vicinanza dell'altro minacciava di
schiacciarlo. Però l'obiettivo dei cubani è la liberazione dei popoli dell'America
Latina. Essi non hanno altra intenzione che quella di costruire un avamposto per la
liberazione dei paesi continentali. «Che» Guevara è un simbolo di quella liberazione.
Lui è stato grande perché ha servito una grande causa, fino a finire per incarnarla. Lui
è l'uomo di un ideale. Molti grandi uomini sono passati inosservati perché non avevano
una causa nobile da servire. Viceversa, uomini semplici, normali, lontani dall'essere
predestinati a tale immagine, che non sono super-uomini ma semplicemente uomini, sono
diventati grandi eroi perché hanno potuto servire una nobile causa.
Jean Thiriart: Lei ha l'impressione che i sovietici impediscano a Castro
di esercitare un'azione importante in America Latina? In che maniera loro impedirebbero a
Castro di andare oltre un certo livello di agitazione?
J. D. Peròn: Perfettamente. Quel ruolo i russi non lo giocano, d'altra
parte, solamente a Cuba. Così Guevara, dopo aver compiuto la sua missione a Cuba, partì
per l'Africa per entrar in contatto con il movimento comunista africano. Però i
responsabili di quel movimento avevano ricevuto l'ordine di non aiutare Guevara. Guevara
dovette lasciare l'Africa perché i russi agivano lì. Un conflitto opponeva, nel Congo, i
due imperialismi concorrenti. Le due tendenze che loro rappresentano, in certi momenti,
devono unire le loro forze per difendere la stessa causa: quella dell'ordine stabilito. È
logico, loro difendono l'imperialismo e non la libertà dei popoli.
Jean Thiriart: Che penserebbe lei della messa in funzione di un sistema
mondiale di informazione e di collegamento fra tutte le forze che lottano contro gli
imperialismi russo e americano e dell'unione di un certo numero di sforzi politici?
J. D. Peròn: Bisogna considerare che l'unificazione deve essere il
principale obiettivo di tutti coloro che lottano per la stessa causa. Dico unificazione e
non «unione» o «associazione». Occorre integrarsi. Perché, dopo, noi avremo
l'occasione di fare e, per un'azione efficace, bisogna essere integrati e non solamente
associati.
Jean Thiriart: Lei stima, di conseguenza, che occorra andare più
lontano, molto più lontano che non la semplice unione nell'alleanza tattica con i nemici
dell'imperialismo americano. Anche con Castro, anche con gli arabi, anche con Mao Tse Tung
se ciò fosse necessario? Lei pensa che il nemico sia talmente vigoroso e forte per cui
occorrerà mettersi tutti assieme per combatterlo, facendo attenzione a lasciare da parte
le differenze ideologiche?
J. D. Peròn: Io non sono comunista. Io sono giustizialista. Però io non
ho diritto di volere che la Cina sia pure giustizialista. Se i cinesi vogliono essere
comunisti perché vorremmo noi a tutti i costi «renderli felici» contro la loro
volontà? Loro sono liberi di scegliere il regime che desiderano anche se differente dal
nostro. Però se i cinesi lottano contro la stessa dominazione imperialista come noi,
allora sono nostri compagni di lotta. Lo stesso Mao ha detto: «La prima cosa da
distinguere è la vera identità degli amici e dei nemici. Subito si può agire». Io sono
dell'idea di alleanze tattiche, secondo la formula: «I nemici dei nostri nemici sono
nostri amici».
Jean Thiriart: Secondo lei il Mediterraneo Orientale potrà essere nei
prossimi mesi il fuoco di un conflitto più importante?
J. D. Peròn: Considero che la situazione in Europa non è mai stata
tanto pericolosa come attualmente. Tutto ciò che l'Europa ha fatto per evitare di essere
di nuovo un campo di battaglia in una prossima guerra può essere ridotto a niente. Con le
basi sovietiche in Africa, la flotta russa nel Mediterraneo, le 125 divisioni del Patto di
Varsavia, di fronte a una NATO in declino che in tutti i modi non sa rimpiazzare un
esercito europeo moderno, l'Europa potrebbe essere invasa in poche settimane, se i russi
lo decidessero. È certo che la miccia del Medio Oriente può essere l'origine di un
conflitto che sarà quasi impossibile da limitare, e in cui l'Europa potrebbe essere una
delle prime vittime, nel suo attuale stato di divisione.
Jean Thiriart: In tale visione, la Palestina Le sembra destinata a
trasformarsi in un secondo Viet-Nam e sottoposta a una guerra localizzata?
J. D. Peròn: Si perché il Medio Oriente ha una importanza strategica
molto grande. È il ponte fra due continenti che si svegliano: Asia e Africa. Ciò è la
causa della conseguente lotta fra Israele e i paesi arabi; gli americani e i russi si
affrontano in una accanita lotta di influenze il cui fine è la possessione di un punto
strategico.
Jean Thiriart: La ringrazio molto. Io ora ho finito con le mie domande.
Vuol fare una dichiarazione su temi particolari?
J. D. Peròn: Leggo abitualmente «La Nation Europeen» e condivido
interamente le sue idee. Non solamente per quanto riguarda l'Europa, ma il mondo. Un solo
rimprovero, io avrei preferito al titolo «La Nation Europeen» quello di «Mondo Nuovo».
Perché l'Europa sola, nel futuro, non avrà tutte le risorse sufficienti per la difesa
dei propri interessi. Oggi gli interessi particolari si difendono in posti lontani.
L'Europa deve pensarlo. Deve integrarsi, certo, ma nella sua integrazione deve stringere
contatti con gli altri paesi in via di integrazione.
In particolare, l'America Latina, che è un elemento essenziale, deve allearsi all'Europa.
Noi latino-americani siamo europei e non di tendenza americana. Io personalmente mi sento
più francese, più spagnolo, più tedesco che americano. Il vecchio ebreo Disraeli aveva
ragione quando diceva: «I popoli non hanno amici né nemici permanenti, hanno interessi
permanenti». Si devono associare questi interessi, anche se sono geograficamente lontani,
perché l'Europa continui ad essere la prima potenza civilizzatrice del mondo.
Ermanno Massari (trad.)
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