da "AURORA" n° 45 (Gennaio 1998)

EDITORIALE

Giustizia, solidarietà e ipocrisia

Luigi Costa

 

È risaputo che il contenuto della rituale concione propinata agli italiani dall'Inquilino del Quirinale con gli auguri per il nuovo anno è in buona misura il risultato di richieste, pressioni e consigli dell'establishment economico-politico. Il presidente di turno ci infila di suo qualche nota marginale e nel caso particolare di Scalfaro la greve retorica patriottarda e i consueti richiami ai santi e all'Altissimo, quasi d'obbligo per un democristiano di lungo corso. Il messaggio del 31 dicembre '97 si è differenziato dai precedenti per il look ambientale: arredamento sobrio in stile calabro-piemontese, mancata esposizione della bandiera nazionale nonché per una frase, inserita nel contesto del discorso, che ha scatenato l'entusiastica ovazione del Polo delle Libertà proprio nell'immediata vigilia del dibattito alla camera dei Deputati sulla richiesta di arresto per Cesare Previti, parlamentare di Forza Italia e avvocato della Fininvest, per gravi reati di corruzione.

Sostenere, e qualcuno l'ha fatto, che tra l'invettiva scalfariana sul «tintinnare della manette», e la richiesta dell'autorizzazione all'arresto di Previti non vi sia un rapporto «dialettico» sarebbe da ingenui. Non ritenendoci tali cogliamo il nesso temporale, di causa-effetto, tra le minacce di Berlusconi di far fallire in Aula le riforme della Bicamerale, il discorso di Scalfaro e il «no» del parlamento all'arresto di Previti.

La vicenda non dovrebbe indignare più di tanto, essendo noto e consolidato l'italico costume della doppia morale, in virtù della quale i potenti godono di garanzie accessorie, precluse alla grande maggioranza dei cittadini. Ma nell'occasione è estremamente più grave per il plateale intervento del Capo dello Stato -nonché Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura- che ha pesantemente condizionato sia il dibattito che il voto parlamentare su una legittima richiesta dell'autorità giudiziaria, contribuendo, nonostante la consistenza delle accuse, a determinare il no all'arresto.

La stessa tempestività e spregiudicatezza non è stata mostrata da Scalfaro, né dai suoi predecessori, in occasione di accertati abusi ed errori di pubblici ministeri o magistrati giudicanti a danno di comuni cittadini, a riprova dell'equilibrio che carità cristiana e ipocrisia politica possono raggiungere in una candida anima democristiana.

Lo stesso equilibrio ha determinato nel Paese mezzo secolo di latitanza della Giustizia con l'applicazione selettiva e settoriale del Codice Penale, ed è stato infranto (come il caso Previti è lì a dimostrare, solo in parte) grazie alla determinazione di alcune Procure affrancatesi dai condizionamenti del potere politico.

Il continuo, quotidiano attacco all'indipendenza della Magistratura -nel quale eccellono ex-DC ed ex-socialisti che nella «bozza Boato», approvata dalla Commissione Bicamerale, condensano la summa del loro «garantismo» e della loro «democrazia»- è solo il rozzo, scoperto tentativo di ripristinare la totale impunità del ceto politico e del potere economico.

 

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Altra frase che merita di essere adeguatamente commentata è quella pronunciata da Giovanni Paolo II nel discorso di Capodanno in Piazza San Pietro. Karol Wojtyla del quale abbiamo in diverse occasioni apprezzato le poco concilianti esternazioni sul modello economico-culturale imposto dal cosiddetto libero mercato, ha sostenuto «la necessità di introdurre nella globalizzazione economica elementi di solidarietà».

Oltre alla palese contraddizione con reiterate affermazioni precedenti, le parole del Pontefice, sono un inquietante segnale dello scontro interno alla Curia vaticana tra favorevoli e contrari alla globalizzazione. Pensiamo che la Chiesa -pur avvezza ai miracoli- possa pretendere di conciliare la totale deregolamentazione dei mercati -la cui risultante altro non può essere se non quella della selvaggia anarchia del capitale, libero di agire nell'universo mondo come meglio gli aggrada con la sola stella polare degli utili di bilancio- e la solidarietà che, a regola, dovrebbe essere qualcosa di profondamente diverso dalla moneta fatta scivolare nella mano del derelitto all'angolo della strada.

La solidarietà presupponendo una regolamentata distribuzione delle risorse e riequilibrio, il più armonico possibile, tra ceti sociali, è altro rispetto l'atto cristiano dell'elemosina, spesso atto di pietà pelosa del ricco verso il povero.

Solidarietà significa lottare per la liberazione degli uomini, tutti gli uomini, dalla miseria, dall'ignoranza e dallo sfruttamento; né consegue che solidarismo e lotta alla globalizzazione sono l'un l'altro complementari. Scinderli è una forzatura ipocrita e demagogica.

Si può sostenere, alla pari di qualche commentatore celebroleso, che in fondo la globalizzazione è tutta da costruire, da adattare alle esigenze dell'umanità.

A memoria d'uomo non esiste alcun caso di cessione spontanea di risorse da parte di coloro che le possiedono; in questo senso il sistema economico statunitense che funge da modello per la liberalizzazione dei mercati ne è il plateale esempio.

Un sistema, quello USA, costruito sfruttando spietatamente, con l'utilizzo delle multinazionali, le risorse umane e naturali di un gran numero di Paesi i quali finanziano con il loro sottosviluppo gli standars di vita statunitensi. Ma certo non si può dire che la quasi inesauribile disponibilità di risorse economico-finanziarie abbia in qualche modo contribuito a livellare il benessere della società americana. Di quel paese sono proverbiali sia le sfacciate ricchezze che le spaventose miserie aggravate dalla totale noncuranza pubblica e privata sulla sorte dei più deboli, di quanti sono crollati nel tentativo di agguantare il «sogno americano».

Queste sono cose così arcinote Oltretevere e lo stesso Wojtyla ha in più occasioni segnalati i pericoli derivanti dal darwinismo sociale, pilastro portante dell'ideologia anarco-liberista.

Luigi Costa

 

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