da "AURORA" n° 46 (Febbraio 1998)

SCUOLA E SOCIETÀ

Dalla nube alla resistenza

Filippo Ronchi

Il dire e il fare

Impossibilitato ormai a nascondere il malcontento che serpeggia sempre più diffusamente nel mondo della scuola, il governo dell'Ulivo trova compenso e sfogo nelle parole. È quanto si può essere spinti a pensare considerando il cospicuo sforzo pubblicitario compiuto da Prodi e Berlinguer con tutti i mezzi della propaganda per accreditare l'immagine di una maggioranza di centrosinistra impegnata a migliorare il sistema formativo nazionale. E commisurando alla retorica delle intenzioni e delle dichiarazioni di principio, la negatività delle cose che effettivamente sono compiute, il divario tra il dire e il fare e -del resto- intrinseco di un blocco di potere come quello dell'Ulivo che si fonda certamente non solo, e però in buona parte, sulle parole. Anzi si può affermare che in questi ultimi mesi, soprattutto nel campo della istruzione, l'autonomia delle parole dai fatti, ma potremmo anche dire la scissione schizofrenica, si va accentuando. Quanto più, infatti, il governo e la sua maggioranza si sforzano di sognare se stessi come creatori di un nuova scuola «di massa e di qualità», tanto più si accentuano i segni di disfacimento, le strutture e i collegamenti dell'operare quotidiano -specialmente nelle superiori- saltano, la situazione diviene intollerabile.

 

Berlinguer su "Micromega"

Dopo le occupazione e le autogestioni ampiamente controllate dalle organizzazioni giovanili dell'«arco parlamentare», vicine cioè a Rifondazione Comunista, al PDS e ad Alleanza Nazionale, che hanno sconvolto per il quinto anno consecutivo gli istituti superiori, Berlinguer ha voluto riaprire il discorso pubblicando un lungo intervento sulla rivista liberal "Micromega" di gennaio. Ma il suo articolo ha rivelato che ormai la comunicazione tra gli studenti e gli insegnanti da una parte, il blocco di potere dell'Ulivo e di Rifondazione dall'altra è impossibile. Il ministro afferma, infatti, che nell'ultima Finanziaria non ci sono stati tagli al bilancio della Pubblica Istruzione e rispolvera le vecchie mistificazioni -che a questo punto non ingannano nessuno- sui «cali fisiologici» dovuti alla diminuzione del numero degli alunni, alla media Ocse del rapporto insegnanti-alunni, ecc. Nei numeri 43 e 45 di "Aurora" crediamo di aver dimostrato con dovizia di dati come non esistano attenuanti alla politica di smantellamento del sistema formativo pubblico intrapresa dal centrosinistra, eppure Berlinguer ha l'impudenza di dichiarare che «non solo alla scuola statale non è stata tolta una lira, ma è vero esattamente il contrario: la necessità di prendere in considerazione, sia pure in misura molto ridotta, le esigenze delle scuole non statali (...) si è tradotta in un consistente aumento di risorse a disposizione della scuola statale»!

Riguardo alle proteste degli studenti, Berlinguer se la prende con quelle che sono sfuggite di mano alla sapiente regia delle varie sigle giovanili che alle forze dell'arco parlamentare ed in particolare al suo partito fanno riferimento. Qualcuno ancora ricorda che nel '94, con il governo Berlusconi, quando il centrosinistra era all'opposizione, il Liceo Virgilio di Roma fu quasi raso al suolo, ma nessuno ci fece caso. Oggi Berlinguer sostiene, con la sicumera e la falsa volontà di dialogo che contraddistingue i liberaldemocratici, che qualunque opposizione all'attuale politica scolastica deriva dalla «non conoscenza di ciò che viene contestato», ma sviluppa un ragionamento che gli si ritorce contro. Egli afferma infatti che l'insoddisfazione dei giovani sarebbe causata da difficoltà di relazione dovute all'aumento della differenza di età fra insegnanti e studenti (ma chi ha abolito quel sistema previdenziale che consentiva fra l'altro il ricambio generazionale del corpo docente, se non le forze politiche al cui schieramento Berlinguer stesso appartiene?), dal sovraccarico di domande improprie che si sono rovesciate sulla scuola (ma non è stata proprio l'impostazione educativa voluta dal pensiero pedagogico liberaldemocratico nel corso dell'ultimo decennio a provocare l'«effetto valanga» di un numero inverosimile di «progetti» scaricati nelle scuole?) e dall'anticipo dell'inizio delle lezioni alla prima metà di settembre. Qui Berlinguer, dopo aver ripetutamente esortato insegnanti e studenti a non «fuggire dalle responsabilità», raggiunge il culmine, proponendo di riorganizzare il calendario scolastico in modo tale da prevedere istituzionalmente «un'interruzione dei lavori per una settimana all'inizio di novembre», in modo da fornire «una risposta positiva a un'esigenza fisiologica», poiché ha scoperto che il primo problema degli studenti di oggi consisterebbe nel sovraradicamento prodotto dall'«assenza di pause per un lungo periodo» (cioè mesi tre) fino a Natale. E pensare che l'anticipo dell'inizio delle lezioni era stato presentato, qualche anno fa, come un provvedimento che finalmente dava efficienza all'istituzione scolastica... L'empirismo disastroso del ceto politico liberaldemocratico ha modo -anche per questo aspetto- di trovare nuove conferme.

 

Meravigliosa autonomia

Ma la soluzione di tutti i mali della scuola italiana sta -per il ministro così come per le forze dell'arco parlamentare- in una parola magica: «autonomia». Il Regolamento attualmente in discussione sul dimensionamento delle istituzioni scolastiche e sugli organici pluriennali, che entrerà in vigore nel giro di un paio d'anni, è incardinato su quattro punti:

1) La creazione di mega-istituti con una popolazione compresa tra i 600 e i 900 alunni;

2) la mobilità di tutto il personale su «reti di scuole»;

3) l'apporto di risorse «di altri enti e di privati per l'attuazione di progetti promossi e finanziati con risorse a destinazione specifica»;

4) la delega alle Regioni e alle Province di importanti funzioni organizzative ed economiche del servizio scolastico finora spettanti allo Stato, che si limiterebbe alla determinazione di criteri e parametri generali per la definizione della rete scolastica e la valutazione del sistema e alla assegnazione di parte delle risorse finanziarie, dei capi d'istituto e dei docenti.

È evidente che simili riconversioni sono finalizzate in primo luogo a risparmi sul bilancio statale via via più ampi nel settore della formazione, per arrivare alla creazione di un sistema scolastico di tipo anglosassone. Berlinguer, di suo, ci aggiunge la visione di una «scuola dell'autonomia» dove si spezza «la gabbia delle lezioni mattutine e del gruppo classe», si destruttura e riarticola «il tempo e l'organizzazione dell'insegnamento e dell'apprendimento» mettendo in discussione «la divisione tra mattina e pomeriggio, fra curricolare ed extra-curricolare» e dove si prevedono periodi di «autogestione concordata come esperimento didattico di cui valutare i risultati». Questo, ovviamente, per ottenere una «individualizzazione dei percorsi formativi capace di offrire agli studenti un modo efficace di soddisfare le proprie vocazioni e realizzarsi». Solo chi -come Berlinguer- non ha mai lavorato in una scuola e non ha mai avuto intenzione di rapportarsi seriamente con i giovani può concepire simili fumosità, retaggio di impostazioni pedagogiche fallimentari caratteristiche di certe forze «progressiste». Ma sorge anche il dubbio che queste «innovazioni didattiche», che sicuramente verranno introdotte, con le buone o con le cattive, nel prossimo futuro, abbiano quale fine ultimo -in realtà- quello di mandare allo sbando il settore dell'istruzione pubblica a tutto vantaggio di quella privata. Su questa linea, del resto, concordano sostanzialmente anche gli ultraliberisti della Lega e del Polo della Libertà, che -al solito- fanno «opposizione» al centrosinistra rincarando ulteriormente la dose; e proponendo come modalità di finanziamento i «buoni-scuola», per assicurare l'accesso agli istituti non statali posti su un piano di «parità» in un sistema «federalista», nel quale venga lasciata carta bianca ai «gestori» delle scuole private.

 

Costruire la resistenza

Di fronte a quanto sta accadendo, crediamo che la prima azione da compiere sia di favorire il rinsaldarsi di una profonda solidarietà tra studenti e insegnanti. Corpo docente ed alunni costituiscono, infatti, le due componenti fondamentali della scuola. Esse sono unite dall'obiettivo di contrastare la devastazione delle loro comunità di vita e di studio, cui finora hanno assistito incapaci di reagire efficacemente. Dalla collaborazione fiduciosa, cordiale e affettuosa nasce la consapevolezza che il nemico comune è individuabile nelle forze liberaldemocratiche che mirano, in un modo o nell'altro, a porre alunni ed insegnanti gli uni contro gli altri per attuare più agevolmente i loro progetti. La resistenza non deve quindi snervarsi nell'inutile scontro tra studenti e professori, ma deve coinvolgerli insieme in movimenti di pressione al fine di segnare momenti di rottura nell'apparentemente inarrestabile affermazione di modelli liberisti nella scuola.

Filippo Ronchi

 

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