da "AURORA" n° 50 (Luglio - Agosto 1998)

"PRIMATO"

Silvano Moffa: una luminosa carriera

il giobertiano rosso

Da "il Giornale", organo disorganico della destra organica, incaricata di montare la guardia all'impero plurimiliardariotelevisivo del Creso di Arcore: «Classe '51, sindaco di Colleferro da due legislature, una vita in Alleanza Nazionale (sic! N.d.R.), Silvano Moffa è saggista, vicepresidente nazionale dell'Associazione Nazionale Comuni d'Italia, esperto di legislazione in materia di enti locali, tra l'altro è stato vicedirettore de "il Secolo d'Italia" e membro della commissione per le riforme delle autorità locali (sic! N.d.R.) durante il governo Berlusconi»

Perché questo ritratto da salotto di buona famiglia del signor Moffa? È presto detto: le destre si preparano alle elezioni amministrative per la provincia di Roma e, pertanto, cominciano a battere la grancassa intorno al loro candidato alla presidenza di Palazzo Valentini, peraltro già trombato nell'anno di grazia 1994 quando Gianfranco Fininvest credeva di essere ormai in pianta stabile sotto l'Arcore di Trionfo insieme al suo degno socio azionista di maggioranza del fronte maccartysta-reazionario.

Proseguendo nella sua sviolinata il redattore, un tale Carlo Marzano, afferma, lapidario: «L'esigenza dichiarata del Polo era un personaggio forte, con provate capacità politiche e amministrative, da contrapporre allo schieramento di centrosinistra». Passa quindi la parola al «personaggio forte» il quale non trova nulla di meglio da fare che dire una delle tante banalità che si raccontano in occasioni come queste. Afferma dunque il genio candidato dal Giovin Signore di Via della Scrofa alla leadership del suburbio quirite: «Il centrodestra, il Polo, sente il bisogno di rompere l'egemonia politica di D'Alema e dell'Ulivo che ha soffocato la provincia relegandola insieme alla regione e a Roma stessa in una situazione di grande difficoltà».

Il Marzano -nella sua sciatta e abborracciata cronaca, non sempre in regola con i dettami della grammatica e tipica di un fuorilegge della sintassi- dà spazio anche a un carneade, tale Bafundi Gianfranco, passato con armi (poche) e bagagli (molti) dal partitello clerico-integralista di Buttiglione a Forza Silvio che lo ha compensato con la carica di vice coordinatore regionale e di vice di Moffa nel caso che costui riuscisse ad evitare una seconda trombatura. Insomma, vice che più vice non si può. E vediamo cosa dice il doppio vice al solerte Marzano: «Come ha osservato Moffa, scopriremo chi si dichiara cattolico ma si comporta da fariseo». Non proseguiamo. Bastano infatti queste poche parole, per renderci conto che il Polo va alle elezioni provinciali di Roma sotto la guida di due imbecilli.

E qui ce la piantiamo con i ludi cartacei di Roma e dintorni per concentrarci sulla personalità di Silvano Moffa, il quale non sempre è stato quel cretino che emerge dalle sue candidature reazionarie. Tutt'altro. L'attuale primo cittadino di Colleferro nonché capo gruppo alla Provincia si fece Fiuggiasco poco prima che Gianfranco Fini si coprisse di gloria ascendendo ai fasti di Luogotenente di Berlusconi per quindi pronunciare il giuramento «antifascista» a conclusione di quella autentica pulcinellata trasformista nel raduno, appunto, di Fiuggi. Prima il Moffa era stato il più stretto collaboratore di Pino Rauti -capo della sua segreteria politica- durante la breve esperienza del leader di "Andare oltre" al timone di quel Movimento Sociale Italiano cinicamente assassinato e seppellito dal pupillo di Giorgio Almirante. Ancora: era venuto in evidenza come il più brillante interessante e persuasivo fra gli ideologi della dottrina nazionale-popolare espressa dal rautismo. Era o appariva, il più a sinistra dei rautiani, un autentico rivoluzionario, anticapitalista e antiborghese fino ai limiti della più sfrenata demagogia. Tanto da scatenare l'ira del Fini dalla tribuna del burrascoso congresso di Rimini, che, non senza qualche ragione, si chiedeva e chiedeva cosa mai potesse accomunare un Servello -Servello di nome e di fatto, essendo sempre stato legato al Creso di Arcore- a un così vivace contestatore del capitalismo, «neo» o «vetero» che fosse.

Che il buon Silvano non scherzasse né punto né poco nella ostentazione perfino provocatoria ed esagerata del suo sovversivismo sociale è dimostrato da tante cose, da tanta e tanta carta stampata. Per esempio da un volume licenziato alle stampe per i tipi delle Edizioni del Settimo Sigillo recante il significativo titolo "Uscire dal capitalismo - Prospettive di un movimento nazionalpopolare". Un libro molto impegnativo, dunque, tanto da indurre Pino Rauti che ne fu il prefatore, ad affidarne la compilazione a un «triunvirato» nel quale Enzo Palmesano e Antonio Parlato affiancavano Silvano Moffa. Per inciso rileveremo che anche il Parlato e il Palmesano furono fulminati sulla via di Arcore dalla Verità ultracapitalistica finian-berlusconiana. Altro inciso, da alcuni cenni biografici degli autori nel retrocopertina apprendiamo che il candidato alla presidenza della Provincia di Roma sostenuto dall'uomo più ricco d'Europa e uno fra i più ricchi del mondo fu anche condirettore di "Linea" bandiera ideologica del più acceso rautismo antiplutocratico, diretta, giustappunto, da Pino Rauti. Dunque, il Nostro era il Numero Due della corrente.

Ma vediamo cosa scriveva questo emerito voltagabbana -degno amico di Gennaro Malgieri, direttore ormai dimezzato de "Il Secolo d'Italia", organo delle truppe coloniali al servizio di Berlusconi- quando giocava a fare il disturbatore della quiete borghese: «Dall'analisi della società civile e della fine del marxismo a quella dei guasti della partitocrazia e della logica del profitto, vi si coglie -crediamo e speriamo- l'ansia della ricerca di una linea politica nazionalpopolare per uscire dal capitalismo e mandare la DC all'opposizione. Uno spunto per un dibattito che non si è mai fermato e che ora bisogna portare ai necessari sviluppi pratici e politici».

Quantum mutatus ab illo! Quanta acqua versata da un Moffa nel frattempo ammuffito, nel suo vino rosso! Come potrà oppugnare la «logica del profitto» stando nel «Polo» di cui l'Azzurro Cavaliere -folleggiante nelle ville hollywoodiane- è Allah e Gianfranco Fininvest il suo Profeta? In che modo potrà sfogare «l'ansia della ricerca di una linea politica nazionalpopolare» mentre è culo e camicia con Cesarone Previti e Marcello Dell'Utri, con Pier Ferdinando Casini (tanto nomini) e con Domenico Fisichella? E ce la farà ad «uscire dal capitalismo» quando vi è fragorosamente e platealmente entrato accettando di mettersi al servizio dell'Asse Arcore-Marino? Diciamoci le cose come stanno, il presidente di Alleanza Nazionale non è, soltanto l'Eroe della D'esistenza che ben conosciamo fin da prima che diventasse un... Fiuggiasco nel regno acquatico di Peppino Ciarrapico, ma è anche un omologo della ulissiaca Circe, specializzata nel trasformare in porci gli uomini che l'avvicinavano.

Non è un puro caso, infatti, che la sede di AN sia stata scelta in Via della Scrofa. Così come, del resto, quella de "Il Secolo d'Italia", semidiretto dal noto intellettuale e liberaldemocratico Gennariello da Solopaca.

il giobertiano rosso

 

articolo precedente Indice n° 50 articolo successivo