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anno 1 * n° 1

FATTI E PAROLE

 

Combattentismo

il balilla rosso

 

Prodotto spurio del patriottismo -che è il più profondo e naturale sentimento di amore e di dedizione alla patria- le associazioni combattentistiche traggono origine da una fondamentale ambiguità etica che soltanto la romanità repubblicana o il codice di condotta bellica nipponico, non prevedendo trattamenti pensionistici e ricompense al valore, hanno saputo cancellare attraverso l'educazione al cosciente sacrificio della vita per il compimento di un DOVERE che trascende ogni altro valore umano.

In ordine a tali associazioni, la ricerca sociologica non ha mai superato lo stadio delle approssimazioni quantitative. Comunemente il termine combattentismo viene usato in due accezioni. In primo luogo, per indicare una sorta di sindacalismo deteriore diretto a rivendicazioni pensionistico-assistenziali; in secondo luogo per indicare il reducismo, tipico delle associazioni d'arma, la cui funzione si esaurisce in manifestazioni rievocative di fatti bellici e in attività dopolavoristiche con contorno di nostalgici canti post-prandiali. Tanto è vero che, fra non pochi ex-appartenenti ai corpi speciali della RSI e quelli omologhi del Regno del Sud (incursori, paracadutisti, lagunari, alpini, ecc.), lo spirito di corpo prevarica i motivi ideali che connotarono il combattimento dal quale rispettivamente discendono. E si fondono acriticamente in associazioni eterogenee, che danno luogo a raduni e commemorazioni promiscue. Non senza stupore tuttavia notiamo che tali associazioni stanno assumendo atteggiamenti e manifestando propositi via via più arrendevoli rispetto alla mal concepita e faziosa c.d. riconciliazione nazionale.

Esse, infatti, sono prevalentemente paragovernative, e lo sono maggiormente quando, sorte come appendici reducistiche di partiti governativi, fingono di non esserlo.

In tali contesti, salvo rarissime eccezioni, non si produce alcunché di vero, in quanto il valore di verità che ne impronta i propositi e la azioni, risultano essere affatto scissi dalla realtà etica e storica fondativa. In tal guisa, il cameratismo -che è consapevolezza di tradizioni, finalità e idealità comuni- viene svilito in un inaccettabile pressapochismo etico.

A conferma di ciò, in Italia v'è una sola eccezione: una federazione di combattenti il cui fine precipuo consiste nel fermo richiamo agli ideali del primigenio fascio romano di combattimento, per attestarne la permanente validità e per ricercarne l’affermazione che non potè essere conseguita a causa della sconfitta militare.

Comunque, al di là del composito mosaico reducistico, spicca una figura in cui tutti i veri combattenti possono specchiarsi e riconoscersi, il volontario di guerra.

Silenzioso, solitario ed antiretorico, il volontario di guerra reca in sé unitamente al più alto grado di virtù militari e all'innata tendenza alla lotta, un forte sentimento patriottico; non conoscendo però l'arte del compromesso e le astuzie fraudolente, nella vita c.d. civile, egli è spesso vittima dello sconfitta.

L'argomento non può esimere da qualche riflessione sulla guerra. Pochi, infatti, si rendono conto a Pieno dell’effimera stabilità della pace e che la guerra, imponendo come azioni necessarie il dare e il ricevere la morte, costituisce il più drammatico e meno desiderabile degli eventi.

Tali azioni, anche se compiute con lo spirito cristiano dell’amore del prossimo (difesa dei più vicini, famiglia, città, nazione) non sono di certo imprese di cui menar vanto.

La guerra perciò devo essere evitata con il massimo possibile della prudenza e dalla saggezza, ma è stolto e vile nutrire illusioni pacifistiche e mantenere un esercito a carattere assurdamente difensivo con il pretesto ipocrita di voler risolvere le controversie internazionali senza l'impiego della forza. Siffatta sciagurata impostazione genera due obbrobri: il pacifista che vuole la pace ad ogni costo e il mercenario che combatte per denaro.

Ogni riflessione sulla guerra non può prescindere, quindi, dalla considerazione essenziale che l'umanità è tutt'altro che pacificata, e che le guerre non costituiscono affatto ricordi di lontane epoche barbariche. Ciò dove esortarci a rigettare ogni considerazione astrattamente etico-pietistica e ad essere sempre preparati ad una guerra che può sorprenderci quando meno ce l'aspettiamo. Essa inoltre, attesa la nostra inconsistenza militare e le nostre inaffidabili alleanze, può conseguire da fattori e finalità del tutto estranei agli interessi del popolo italiano e a quelle istanze di alta giustizia sociale internazionale affermato con la tanto sfortunata quanto profondamente umana, guerra del sangue contro l'oro.

 

il balilla rosso

 

 

 

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